Introduzione
alla Teoria Unificata
di G.
R. Boscovich
Giuseppe Garozzo e Angela Mancuso
Abstract
In this article we present some passages taken from G. R. Boscovich Philosophiae Naturalis Theoria Redacta ad
Unicam Legem Virium in Natura Existentium, which we have translated into
Italian.
These excerpts are accompanied by an analysis of the first part of the
essay, which is aimed at emphasizing the most important contents of Boscovich’s
atomism: distance interaction and the
problem of mechanism. We will also
dwell upon the relationship between continuous
and discreet as well as between Geometry and the Theory of Physics, in the light of a conventionalistical
interpretation of atomism.
Finally, we will present a simple application of Boscovich’s Theory to
the problem of Ether, which so much
fascinated nineteenth-century physicists.
[Traduzione di Concetta
Simona Condorelli]
I modelli di comportamento e di
pensiero che ci provengono dalle varie ‘fonti del sapere’ non condizionano
soltanto la vita politica ed il costume di una società, ma purtroppo anche il
“pensiero” in tutte le sue manifestazioni, non ultimo quello scientifico. E
così che anche nella cultura ufficiale si impone una “moda” o, per essere più
precisi, un paradigma.
L’affermazione di un dato
paradigma ha fondamentalmente due conseguenze nefaste:
- l’esclusione di alcuni libri
dal normale circuito di fruizione;
- la reinterpretazione di testi
che non rientrano nel paradigma;
Ad esempio, riferendoci al
cambio di paradigma che si ebbe alla fine dell’ottocento, basta ricordare la
reinterpretazione dei Principi di
Newton ad opera di Mach. Per quanto riguarda, poi, le opere dimenticate, esse
sono innumerevoli se si pensa che la lettura dei testi di Archimede, Galileo,
Laplace e Boltzmann non rientra per nulla nel background scientifico usuale.
L’obiettivo primario che si intende raggiungere con questo scritto équello di
introdurre il lettore ad un’opera scientifica di altissimo livello (di cui
riportiamo in appendice alcuni stralci, riservandoci di pubblicare in un numero
speciale di questa rivista la traduzione completa), ma che non rientra nella
cultura “ufficiale”, e fornirgli gli strumenti adeguati per quella che
riteniamo essere la sua più corretta interpretazione anche, e soprattutto, al fine
di comprendere (e semmai criticare) le teorie contemporanee (sic!). LaPhilosophiae Naturalis Theoria redacta
adunicam legem virium in natura existentium di Giuseppe Ruggero Boscovich,
del 1758, si pone all’interno del paradigma newtoniano e di quel dibattito
scientifico che sorse proprio grazie alla diffusione ed accettazione dei Principi di Newton.
Nell’affrontare la traduzione
dal latino, abbiamo pensato che sarebbe stata necessaria una confluenza di
competenze. La classica traduzione del latinista erudito avrebbe potuto
rivelarsi non ‘perfetta’ senza l’ausilio di un ‘tecnico della fisica’;
viceversa il ‘tecnico della fisica’, da solo, non avrebbe potuto accedere a
tale opera.
Tale prospettiva fortemente
innovativa si pone come una dura critica alla frammentazione della scienza
moderna ed alla sua esasperata specializzazione e spera di fornire un modello
di ricerca alternativo e concreto al tempo stesso.
Un altro punto di scontro col
pensiero ufficiale investe il problema dell’utilità della lettura di un testo
di fisica del 1758.
Secondo il modo di pensare
comune (ci riferiamo soprattutto agli ambienti tecnico-scientifici), dato che
in quel periodo non esisteva ancora la Meccanica Quantistica nonché la Teoria
della Relatività, la lettura di un tale testo non può interessare che lo
storico della fisica. Ma il nostro pensiero è un po’ diverso: non escludiamo
che da uno studio attento di tale opera si possano evincere elementi di
stupefacente attualità, che si possono rivelare utili per comprendere anche l’explanandum(1) cui i fisici moderni devono dare una
giustificazione.
Il
problema dell’utilità dell’opera è intimamente connesso anche con quello della
sua attualità. Tuttavia, un testo oggigiorno risulta attuale solo se rientra
nella ‘moda culturale’ dominante, altrimenti viene ritenuto un obsoleto e
superato testo, nel nostro caso, di storia della fisica. Ed invero uno scritto,
in cui la ‘fisica è un’appendice della filosofia’(2) (su questo punto ci soffermeremo meglio in
seguito), dalla nostra cultura ufficiale non può che essere ‘deriso’ o visto
come una mera curiosità storica. Questo perché la frammentazione della scienza
non è un effetto perverso del nostro sistema di ricerca, bensì è un qualcosa di
organico alla stessa nozione moderna di “scienza”(3).
Alcune precisazioni
intorno alla traduzione
Meillet
ha scritto che è quasi impossibile che uno scienziato veda le proprie teorie
citate e riprodotte senza deformazioni. Ebbene: se le cose stanno così, come
sarà mai possibile tradurre, che è in qualche modo anche un riprodurre ciò che
è stato detto da altri?
Se il
linguaggio è un sistema di valori variabili ad ogni momento secondo la
situazione, secondo le capacità espressive e l’individualità di colui che
parla, si potrà capire l’interlocutore soltanto quando, con un atto di simpatia
intellettuale, si riuscirà ad entrare in sintonia, a far aderire il suo sistema
di valori col proprio. Ma poiché suppone un atto di adesione tra sistemi
individuali di valore differente, dobbiamo domandarci se esistono limiti alla
comprensione. Il problema trascende il campo puramente linguistico, pur avendo
in esso radice.
La
verità è che tradurre è anzitutto comprendere, ma non è poi semplicemente
riprodurre quanto si è compreso. Infatti, la traduzione nasce da una distanza
culturale, per lieve che sia, e il vero e proprio tradurre, da lingua a lingua,
non sarà riprodurre formalmente il linguaggio altrui, ma trasporlo da una forma
culturale ad un’altra.
È
opportuno riconoscere quanto di attuale sia manifestato in termini che non sono
più nostri, e la cui estraneità può rendere difficile cogliere, senza
fraintendimenti, le connessioni della teoria con l’oggetto della nostra
ricerca. Se si supera la diversità di linguaggio, però, esse ci appariranno
vitali e, come già detto, di sconcertante attualità.
Accostandoci
alla traduzione di quest’opera, come a qualunque altra opera di scienza o
filosofia, è opportuno fare alcune osservazioni preliminari. Bisogna
innanzitutto tenere conto del fatto che, se si guarda alle forme mentali del
passato mantenendosi liberi da qualunque impostazione storica, allora la nostra
esperienza moderna diviene un peso nel momento stesso della traduzione.
Infatti, è inevitabile misurare i concetti e persino la terminologia sul metro
di una forma di pensiero e di espressione che appare più ‘avanzata’.
Per una comprensione maggiore
dell’opera abbiamo, pertanto, eseguito uno studio del pensiero atomistico in
Fisica passando da Democrito a Lucrezio, da Galileo a Boltzmann e soffermandoci
anche sul dibattito fra Weber e Faraday, ovvero fra i fautori dell’azione a
distanza e i fautori dell’azione mediata da un campo nell’interpretazione dei
fenomeni elettromagnetici. Tutto questo al fine di cogliere ciò che di
‘universale’ è contenuto nell’Opera a prescindere del suo contesto storico e,
soprattutto, a prescindere dal nostro contesto storico, nel quale questi
dibattiti, per esempio quello fra teorie di particelle e teorie di campo, sono
ritenuti superati e pertanto risultano assenti(4). Da un’impostazione simile, però, il testo originale
potrebbe uscirne indebitamente modernizzato oppure confuso ed equivoco.
Certamente le propensioni e il gusto personale del traduttore devono avere
spazio, pur essendo limitati da una posizione ‘storica’ che permette di non
falsare e di conservare ciò che per noi è più prezioso: il pensiero(5).
Bisogna considerare, inoltre,
un altro fattore importante: la distanza che ci separa dal mondo dell’autore e
che ce ne offusca la comprensione. In tal senso, speriamo che il nostro studio
di ‘reinserimento’ all’interno della cultura scientifica del periodo e,
soprattutto, all’interno della cultura scientifica dell’Autore abbia colmato
quella parte di lontananza intellettuale dovuta al ‘contesto scientifico’ (che
tutto sommato si è rivelata essere minore del previsto data la nostra
formazione di matrice ‘razionalista’) e che almeno abbia lenito quella parte
legata all’utilizzo di una lingua non più diffusa quale è il latino.
Una puntuale interpretazione
del nostro Autore, allora, deve anche tenere conto di un problema filologico
preliminare: una messa a punto storica della sua lingua. Il punto di partenza
però sarà sempre lo stesso: la comprensione interna dell’originale. Tuttavia,
per fissarla e determinarla è necessario un lavoro comparativo.
A questo proposito, per il
nostro lavoro di traduzione ci si è potuti avvalere di un importante documento:
una lettera in italiano di Boscovich a Giovan Stefano Conti, in cui egli, fra
l’altro, espone a grandi linee i concetti principali della sua teoria(6). Questo
fondamentale termine di paragone ha permesso un approccio più adeguato alla
lingua e alla terminologia boscoviciana (e soprattutto al pensiero(7)!) e un raffronto diretto del testo latino con un
breve passo della lettera e con uno stralcio del trattato sarà, a questo
riguardo, fortemente esplicativo:
Lex autem virium est
ejusmondi, ut in minimis distantiis sint repulsivae, atque eo majores in
infinitum, quo distantiae ipsae minuuntur in infinitum, ita, ut pares sint
extinguendae cuivis velocitati utcumque magnae, cum qua punctum alterum
ad alterum possint accedere, antequam eorum distantia evanescat (Philosophiae Naturalis Theoria, par. 10) Ma nulla meno facilmente ne
de-ducono le forze repulsive tali che, scemando la distanza in infinito,
crescano esse in infinito in modo, che sieno capaci di elidere qualunque
velocità comunque grande (Lettere a Giovan Stefano Conti, p. 57) La legge delle forze è tale
che nelle minime distanze esse sieno repulsive, e tanto infinitamente
maggiori quanto le stesse distanze diminuiscono all’infinito, così che
siano capaci di elidere una velocità comunque grande, con la quale un
punto può avvicinarsi all’altro prima che scompaia la loro distanza (Teoria della filosofia naturale, par. 10)
Abbiamo quindi ritenuto
opportuno attenerci ad una traduzione quanto più possibile letterale: questo
non è indice di un’interpretazione approssimativa, ma vuol avere il preciso
fine di far accostare il lettore non solo ai concetti, ma anche alle modalità
formali in cui sono espressi. Una fedeltà allo stile dell’autore che, in un
grado superiore di padronanza linguistica, può servire a chi legge per assicurarsi
di comprendere e possedere bene il testo in tutte le sue possibilità.
La veste formale utilizzata è
quella della prosa, di certo meno vincolante dei versi e più adatta allo scopo
perseguito dall’Autore, che inizialmente intendeva limitarsi ad una breve
dissertazione, ma a poco a poco si rese conto di non poter esporre tutta la
teoria nel suo ordine, rivendicarla ed applicarla alla meccanica ed alla
‘fisica’(8), e decise di
scrivere un’opera di più ampio respiro.
La scelta linguistica del
latino ha una sua precisa e studiata motivazione, che si può individuare
innanzitutto nel suo status di lingua
ufficiale della cultura: il che equivale all’intenzione dell’Autore di
immettere la propria teoria in un circuito culturale definito e circoscritto,
quale quello dell’Accademia. Tutto ciò è in linea con una tradizione
consolidata, che imponeva la redazione in latino delle opere di matrice
teoretica.
Naturalmente,
il latino di Boscovich non è quello aulico, classico, ma il latino di un uomo
colto del settecento: una lingua che si è modificata e plasmata di pari passo
con la naturale evoluzione della storia, della scienza, della tecnica, e che,
per non rimanere sterile, ha tenuto conto della comparsa di oggetti, situazioni
diverse che, se fosse rimasta chiusa nel suo bozzolo, non avrebbe mai potuto
esprimere. Ecco, perciò, comparire dei neologismi oppure dei termini già noti,
utilizzati in accezioni differenti.
L’impostazione
generale dell’opera è chiaramente definita a partire dalla classica
suddivisione atomista, che prevede prima l’esposizione della teoria, poi la
sua rivendicazione e, infine, la sua applicazione alla meccanica e alla fisica(9). La chiarezza
dell’impostazione generale, però, si scontra con uno stile più complesso,
caratterizzato da un periodare ampio, scarsamente paratattico e ricco di
subordinate: in questo si riflette lo sforzo e l’impegno di Boscovich per
trovare adeguata espressione a concetti ardui da ricondurre ad una dignitosa e
comprensibile veste formale. Complessità e chiarezza perciò coesistono a
delineare uno stile tutto personale, in cui il pensiero è chiaramente definito
attraverso una terminologia tecnica. Il gusto e il senso latino della
chiarezza, inoltre, permettono che nella frase si ripetano le stesse parole, le
stesse costruzioni, senza limiti, cosa che in una lingua moderna genera
monotonia e fastidio.
Come
già detto, l’opera è articolata in tre parti, e più precisamente:
Pars I
- Theoriae expositio, analytica deductio
et vindicatio
Pars II
— Applicatio Theoriae ad Mechanicam
Pars
III — Applicatio Theoriae ad Physicam
Nel
seguito dell’articolo verrà analizzata da un punto di vista “tecnico”
soltanto
la I parte.
La “Teoria”
Nella Teoria vengono esposti
gli elementi primi con i quali il Nostro intende ricostruire la realtà. Questi elementi primi sono i punti materiali della Meccanica
Razionale. Essi sono pensati nel vuoto e si postula che possano agire a
distanza: in pratica sono gli ‘atomi’ degli antichi filosofi greci, ma posti
all’interno di una teoria che gli oppositori di Boscovich definivano
spregiativamente ‘immeccanica’ (a causa della presenza, nel suo Sistema,
dell’azione a distanza). Questo concetto verrà meglio chiarito nel seguito;
qui al fine di evidenziare la differenza fra l’atomismo di Boscovich e quello
di origine greca citiamo un passo tratto dal De Rerum Natura di Lucrezio: ‘Dal
magnete anzitutto fuoriescono atomi, un soffio di semi che battono e scacciano
l’aria interposta tra il ferro e la pietra. Appena è rimasto pertanto vuoto lo
spazio, subito i semi del ferro, attratti nel vuoto, vi cadon congiunti, così
che lo stesso anello di ferro li segue con tutto il suo corpo’. (I Classici Del
Pensiero, Fabbri Editore, 1996)
In un teoria chiaramente
atomista, due sono le posizioni che si possono sostenere:
1. gli
atomi sono ontologicamente esistenti, ovvero essi sono l’essenza di quella
realtà a noi esterna, che ci appare solo sotto forma di ‘noumeno’(10).
2. gli
atomi sono solo logicamente esistenti, cioè esistono solo all’interno di una
teoria ben strutturata(11).
La prima posizione sembra
banale ed ovvia. Comunemente si ritiene che gli atomi esistano così come
esistono le piramidi o come esistiamo noi stessi. Ebbene, ribadiamo che qui per
‘atomo’ si intende il punto materiale e
non il sistema ‘protoni-neutroni-elettroni’;
tale precisazione può apparire superflua ma forse è utile farla al fine di
evitare qualsiasi incomprensione. Premesso questo, ritorniamo al problema
inerente l’affermazione: ‘gli atomi sono oggetti ontologicamente esistenti’.
Affermare che esiste una realtà esterna a noi, in cui siamo immersi (e ne
facciamo parte) e che ci appare solo come ‘fenomeno’, mentre noi come tanti
detective cerchiamo, a partire dai fenomeni che colpiscono i nostri sensi, di
farcene un ‘immagine, è una posizione filosofica e non scientifica: essa è solo
extrascientifica. Nessuno può affermare che è corretta e nessuno può affermare
che è errata. È una posizione utile? La risposta a questa domanda è assai
ardua. Semplicemente non esiste. L’insegnamento che si trae dalla metodologia
di Boscovich lo si può apprezzare, secondo il nostro modestissimo parere,
nell’analisi della seconda posizione.
L’unica cosa che noi possiamo
fare senza entrare in contraddizione e senza fare affermazioni metafisiche(12) è sostenere che gli atomi
sono entità logiche, esistenti solo all’interno della teoria, che ci
permettono di ricostruire il mondo (cioè, ciò che ci appare ‘mondo’) e dunque
di spiegarlo. Qualsiasi altra affermazione (“esiste una realtà esterna a noi”
, “gli atomi fanno parte di questa realtà”) deve essere risolta ad un livello
estraneo a quello scientifico. In effetti, in tale opera Boscovich non si pone
il problema del ‘realismo atomistico’. Tuttavia, quando egli deve giustificare
una data assunzione ricorre sempre al principio di non contraddittorietà della
suddetta all’interno del suo Sistema. Se da un lato il Nostro usa ‘l’induzione’
per giustificare una data assunzione, alla fine è solo la dimostrazione metafisica (intesa stavolta come
dimostrazione della non contraddittorietà all’interno del Sistema) che ne
attesta la validità. D’altronde, come l’Autore stesso afferma, i sensi sono
fallaci e pertanto bisogna passare al vaglio della riflessione i frutti
dell’induzione che egli riconosce essere sempre parziale.
A tal proposito, mettiamo in
evidenza un altro punto che alla fine si riallaccerà al discorso di
(parafrasando Boscovich) ‘questioni che devono essere risolte altrove’. In una
teoria atomista (a prescindere dall’interpretazione convenzionalista o ontologista)
tutto (si perdoni per il momento questo termine sfumato) deve essere
spiegato in termini di atomi e vuoto - e nel nostro caso anche in
termini di interazione a distanza. Cioè
percepito e percipiente, soggetto ed oggetto della misura devono essere tutti
spiegati in termini di atomi, vuoto ed interazione a distanza. Ebbene, qui
risiede il primo carattere che rende tale teoria ‘unificata’. Ciò peraltro è
connesso con le già citate ‘questioni che devono essere risolte altrove’.
Per essere più chiari: il fatto
che esistano esseri coscienti delle proprie sensazioni in una teoria fisica
non dovrebbe avere nessuna importanza; nulla vieta però di parlare di
‘coscienza’ purché si sia consapevoli di stare entrando nella sfera
etico-religiosa. Infatti, come si potrebbe giudicare una teoria che
attribuisce un ruolo privilegiato all’osservatore solo perché è osservatore e
dunque è cosciente delle proprie percezioni?(13). Certamente non sarebbe scientifica, dato che
postula una realtà qualitativamente diversa dell’osservatore rispetto a quella
delle cose osservate (e se poi l’osservatore diventa oggetto
dell’osservazione, che cosa succede? Ne segue la necessità di un osservatore
supremo, cioè di una specie di Dio; oseremmo chiamarlo il Dio dei filosofi, o,
peggio ancora, il Dio degli scienziati(14)!).
Il ridurre tutto l’explanandum in termini di atomi, vuoto
e interazione a distanza si può fare ma con qualche precisazione. Intanto un
tale sistema deve rendere conto della presenza di entità che sono consapevoli
delle continue interazioni (ad esempio, l’uomo al contrario della pietra ha coscienza
della sensazione di calore che gli proviene dall’interazione con le molecole
scaldate dal sole); ma occorre essere consapevoli del pericolo che si corre se
si ammettono ‘atomi’ di specie diversa per potere spiegare cose che, alla fine,
non sono oggetto di una teoria che giovi a fondare la fisica(15) (il pericolo è sempre quello di fondare una
teoria pseudo-scientifica dell’etica). Ebbene la consapevolezza delle
sensazioni altro non è che uno stato fisico del cervello e dunque è sempre
riconducibile allo schema atomi-vuoto-interazione a distanza (in breve AVID);
il secondo punto mostra la lucidità intellettuale del pensiero atomista di
Boscovich. Partendo da Leibnitz, osserva che non ha senso immaginare atomi di
specie diversa (come invece fanno Epicuro e Lucrezio), per il semplice fatto
che a lui non interessa spiegare l’anima all’interno di una teoria atta a
fondare la fisica(16). Si
osservi, però, che da buon gesuita non esclude l’esistenza dell’anima, anzi.
Tuttavia ritiene che l’anima sia costituita di una sostanza che non rientra
nello schema AVID, pertanto non è rilevabile ai nostri sensi e, soprattutto,
non è descrivibile mediante la teoria della fisica (si ricordi invece che la
‘macchina uomo’ è un aggregato di atomi(17)!).
La questione dell’esistenza dell’anima (e quindi alla fine di Dio) ‘deve essere
risolta altrove’ (ad un livello di conoscenza chiaramente non scientifico)(18).
Un altro punto che nella Teoria
viene investigato è il problema del continuo
e del discreto in matematica.
Leibniz lo risolse identificando i punti della retta con le monadi e
quindi attribuendo la contiguità a queste ultime. Ma questo porta a delle
severe contraddizioni. Ci si potrebbe chiedere: non è invece contraddittorio
affermare che i punti che costituiscono la materia sono discreti ed invece
quelli che costituiscono le figure geometriche sono contigui, dato che poi
utilizziamo le figure geometriche per rappresentare i corpi? Ebbene la
contraddizione non esiste, primo perché non è detto che sia lecito identificare
i punti matematici con i punti materiali, anzi; e poi se il sistema assiomatico
dei punti materiali risulta coerente solo ammettendo il vuoto (cioè il
discreto) ed invece il sistema assiomatico dei punti matematici(19) risulta coerente solo ammettendo la contiguità,
che cosa c’è di male?
Questa distinzione che si
ritrova in Boscovich unita al suo modo di trattare la questione dell’anima è
ciò che ci fa propendere ad un interpretazione più convenzionalista che non
ontologista(20) del suo
atomismo (anche se in alcuni passi l’Autore sembri cedere al realismo).
I cardini della sua geometria
sono la nozione di volume, superficie,
linea e punto. La superficie è il
limite del volume; la linea è il limite dclla superficie ed il punto è il
limite della linea (si presti attenzione a come dal continuo si perviene al
punto). Per il volume e per la superficie ha senso attribuire una
misura, che sarà una misura di volume nel
caso del volume e una misura di superficie
nel caso di una superficie. Tuttavia, deve essere stabilito che non ha
alcun senso dire che il volume di una
figura piana (cioè di una superficie) è
zero: non ha la misura di volume
punto e basta. Così anche per la linea ha
senso attribuire una misura, che sarà una misura
di linea e non di superficie; risulta
invece privo di significato attribuire una misura al punto. Quindi ha senso affermare che un segmento contiene un
insieme continuo di punti ma non è un insieme continuo di punti; solo con queste
assunzioni non si hanno quei rompicapi che derivano dall’attribuire misura
nulla al punto ed una misura finita al segmento, facendo appello a teorie della
misura assai strane(21). Per
Boscovich il punto è il limite fra un segmento ed il successivo: pertanto è il
‘segno’ di cui in sostanza parlava Euclide(22).
Per quanto riguarda il problema
dell’interazione a distanza vediamo da quali considerazioni logiche fa
scaturire la necessità di tale assunzione.
Supponiamo di considerare due corpi (questo vuol dire che gli stiamo
attribuendo l’estensione) che si muovono lungo la stessa direzione e con lo
stesso verso, ma rispettivamente uno (chiamiamolo A) con velocità superiore, l’altro (B) con velocità minore. Supponiamo pure per semplicità di
trattazione che A e B hanno eguale massa inerziale, e che
inizialmente A preceda B; attribuiamo, infine, ai nostri corpi
la impenetrabilità. Dopo un pò di
tempo avverrà un urto (stiamo ragionando in termini di contatto fra due palle
da biliardo, per comprenderci), allora in maniera subitanea A e B
muteranno la loro velocità. Cioè le velocità di A e di B subiranno una
discontinuità nel contatto. Ma le velocità, così come la posizione, ci danno
lo stato della ‘particella’(23).
Pertanto, in un urto, lo stato
(di velocità) della particella subisce una discontinuità del tipo (per la
particella A) illustrato in figura:
Se fissiamo in ascissa il tempo
e nell’ordinata il modulo della velocità (stiamo trattando un moto
unidimensionale per semplicità) si arguisce che al tempo tc (istante del contatto) si ha una discontinuità nello
stato della particella A. Ma tc
è un ‘istante di tempo’ e per Boscovich tale istante è solo un punto della
retta ‘tempo’, cioé é solo il limite fra un intervallo di tempo ed il
successivo; cioé quello che vuole dire é che fisicamente non ha senso
attribuire misura di tempo all’istante di tempo ma solo all’intervallo di
tempo (così come non ha senso attribuire misura al punto dello spazio ma solo
al segmento). Allora l’istante tc
è simultaneamente limite superiore del segmento 0tc e limite inferiore del segmento tct. Ossia la particella si trova in uno stesso istante
di tempo in due stati di velocità diversi! Dato che per Boscovich il principio
di sovrapposizione degli stati sarebbe
stato inconcepibile, attribuì tale paradosso (che si manifesta anche in
termini di discontinuità in alcune grandezze fisiche, ad esempio, nel nostro caso,
la velocità) al problema dell’interazione per contatto(24).
Mentre alcuni scienziati
dell’epoca aderirono alla ‘discontinuità’, come ad esempio Mac Laurin, egli
ritenne necessario rimuoverla dalla Teoria e, tenendo conto del lavoro di
Newton, arguì che per eliminarla bastava semplicemente osservare (o convenire,
come più correttamente si dovrebbe dire) che A e B interagiscono a distanza, ovvero mutano il loro stato di
velocità, via via che si avvicinano. Dato poi che in un tale schema
l’impenetrabilità dei corpi è facilmente riconducibile all’effetto di una forza
repulsiva a corto range, egli arguì che in una teoria dell’azione a distanza
bisognava trattare solo di particelle puntiformi (immaginate dunque come
centri di forza). Per essere più chiari: il modello ‘palline da biliardo
(dotate però del solo moto di traslazione) che urtando cambiano il loro stato
di moto non è valido in questo sistema’; a causa di queste sue assunzioni la
sua teoria fu giudicata dai suoi avversari ‘immeccanica’. Ma così anche la
teoria di Newton risulterebbe ‘immeccanica’. Viene allora spontaneo
domandarsi: che cosa si intende precisamente per meccanicismo’? Più in
generale, quando si dice che la fisica classica (e pertanto quella di Newton) è
meccanicistica si vuole sostenere la
tesi secondo la quale anche l’interazione a distanza è un ‘meccanismo’ (che è
la tesi di Boscovich) alla stessa stregua del ‘contatto immediato’, oppure si
vuole dire che, a parte la teoria della gravità, la fisica classica e
meccanicistica (ma dobbiamo escludere solo la gravità?)?
Tuttavia tale concezione non è
poi così lontana da alcune applicazioni moderne. Infatti per raggio del nucleo
atomico non si intende il raggio di una sfera rigida, bensì il raggio d’azione
della forza nucleare.
Boscovich pertanto propone una
legge di forze fra ‘particelle’ del tipo:
In ascissa è presente la
distanza fra due particelle, in ordinata l’intensità della forza. La parte
asintotica esprime l’impossibilità del ‘contatto’ (peraltro dato che le
particelle sono supposte puntiformi parlare di contatto, come già detto, non
avrebbe senso); le varie creste stanno ad indicare che, secondo le distanze, la
forza può essere repulsiva o attrattiva (questo per potere spiegare la
formazione della materia); l’ultima parte invece tende a zero come 1/r2 e questo perché egli ipotizza che su scala interplanetaria debba
valere la legge di attrazione di Newton (25).
A questo punto il Nostro è in
grado di fondere la teoria della conoscenza con la teoria della fisica.
Infatti egli osserva che i nostri sensi avvertono il continuo solo perché il
potere risolutivo dei nostri organi percettivi non è in grado di avvertire la
discontinuità della materia, a causa della estrema piccolezza dei segmenti di
ascissa rispetto a cui la forza è attrattiva (si ricordi che è la forza
attrattiva la responsabile della formazione della ‘materia’). E noi sin da
bambini quando ci muoviamo nell’utero materno ci convinciamo della continuità
della materia e della sua impenetrabilità (quest’ultima dovuta alla componente
repulsiva asintotica rispetto all’asse delle ordinate) perché, appunto, ci
lasciamo convincere dai puri dati di senso. Tuttavia, se riflettiamo sulle
contraddizioni che queste proprietà dedotte dall’esperienza presentano qualora
volessimo fare una teoria coerente della materia, dobbiamo convenire che gli
elementi con cui dobbiamo costruire il mondo non devono essere desunti
dall’esperienza, bensì devono essere costruiti a partire dalla “riflessione”.
Possiamo dunque affermare che in un certo senso la teoria della fisica
coincide con la teoria della conoscenza, in quanto conoscere significa
avvertire gli stimoli esterni; ma avvertire gli stimoli esterni significa
interagire col ‘mondo esterno’ mediante quella determinata legge della forza.
Rimane da sottolineare che le idee desunte dall’esperienza non servono a
fondare la Teoria perché, come detto precedentemente, conducono a contraddizioni;
pertanto bisogna ricostruirsi il mondo esterno vagliando tale ricostruzione
con la ragione (cioè appurando che tale ricostruzione non sia contraddittoria).
Nel caso sia contraddittoria vuol dire che i nostri sensi ci ingannano e che
dunque dobbiamo forgiare gli ‘elementi’ dalla pura ragione; ma questi elementi
oltre a spiegarci il mondo devono anche spiegarci perché (e come) i nostri
organi di senso ci ingannano: la curva delle forze di cui sopra è l’espressione
analitica di tale richiesta.
In sintesi il Sistema che
propone può essere sintetizzato così:
1. particelle
puntiformi disseminate nel vuoto con eguale massa inerziale;
2. esistenza
della sola interazione a distanza ed impossibilità del contatto;
3. una
legge di forza che secondo le distanze può essere attrattiva e repulsiva.
Questa è la sua ‘Teoria’. Nella
parte II, egli costruirà la Meccanica di
tali elementi, che possiamo identificare con la Meccanica Razionale. Nella
parte III, invece, tenterà di applicare il suo Sistema (cioè il sistema
‘elementi’ più relative ‘leggi del moto’) per spiegare la Fisica, cioè l’insieme
dei fenomeni che in tale opera spaziano dal moto dei pianeti all’azione
elettrica e magnetica. Ecco un altro aspetto che rende la sua Teoria
‘unificata’: essa non fa distinzione fra fenomeni da spiegare, perché tutto
deve essere ricondotto in termini di atomi e vuoto ed interazione a distanza.
In questo paragrafo ci siamo limitati a mettere in
risalto quello che noi riteniamo essere gli elementi più importanti per la
comprensione dell’Opera per quanto riguarda l’aspetto più spiccatamente
‘fisico-maternatico’. Altri aspetti, quali ad esempio l’uso del principio di
induzione, la critica al principio della ragion sufficiente e il problema
inerente il carattere convenzionalista o realista del suo atomismo, saranno
oggetto di interventi più puntuali e maggiormente dedicati.
Attualità della
Teoria
In questo paragrafo faremo
utilizzo di tale teoria per criticare alcuni aspetti della fisica moderna e per
mostrare eventuali limiti del Sistema di Boscovich. Tutto ciò può sembrare
strano e di poca utilità, ma penso che chi continuerà nella lettura capirà
invece l’estrema importanza della Teoria di Boscovich per riuscire a
‘risolvere’ alcuni rompicapi della fisica moderna.
Uno dei problemi legati alla
scoperta delle onde elettromagnetiche era, come è a tutti noto, l’eventuale
esistenza dell’etere. Infatti si ragionava e tuttora si ragiona così. Se le
onde meccaniche per propagarsi hanno bisogno di un mezzo(26) (proposizione 1), allora anche le onde luminose
dovranno avere bisogno di un mezzo per propagarsi (proposizione 2). La storia
la conosciamo bene. Alla fine si scoprì che l’etere non esisteva(27) e che le onde luminose, al contrario delle onde
meccaniche, si propagano nel vuoto. Tutto questo dibattito si concluse con la
nascita della teoria della relatività ristretta. Ricordiamo che uno dei
postulati fondamentali della relatività è l’invarianza della velocità della
luce, cioè la proprietà per la quale la luce ha la medesima velocità di
propagazione indipendentemente della velocità della sorgente e del ricevitore.
Cominciamo ad analizzare la
proposizione 1. Come esempio di onda meccanica prendiamo l’onda sonora. Essa si
propaga nell’aria, o come si usa dire, perché c’è l’aria. Ma l’aria cos’è? E’
un mezzo continuo? E’ un insieme di molecole e vuoto. A loro volta le molecole
non sono ritenute essere solo un aggregato di elettroni-protoni-neutroni sparsi
nel vuoto? Allora dove sta la differenza fra onda sonora ed onda luminosa?
Risiede forse solo nella diversa densità del mezzo?
Andiamo adesso all’invarianza
della velocità della luce, una proprietà (si usa dire) inimmaginabile ma reale. Ebbene,
supponiamo di essere su di uno yacht ancorato in mezzo al mare,(28) e supponiamo di inviare un’onda sonora sulla
superficie del mare: la sua velocità sia v.
Il lettore si chiederà: dov’è il simbolo di vettore? La risposta banale è:
la velocità di un’onda non è una grandezza vettoriale così come la lunghezza
d’onda, anche se si misura in metri. Quindi non è lecito applicare lo schema
della composizione vettoriale della velocità se non con le dovute cautele. Si
ricordi poi che tale velocità dipende solo dalla densità del mezzo (e da
un’altra proprietà intrinseca del mezzo: la compressibilità).
Pertanto un tizio a cavallo su di un motoscafo che ci sorpassi a 100 km/ora dirà banalmente che l’onda
che il timoniere dello yacht ha emesso ha velocità v per il semplice fatto che è una velocità di propagazione in un mezzo; cioè è invariante! Se poi il
Tizio si fosse letto Boscovich, direbbe che il mare non è altro che un
aggregato di particelle (le molecole d’acqua o i sempiterni elettroni, protoni e
neutroni) sparse nel vuoto (in effetti la fisica moderna lo indurrebbe a dire
la medesima cosa!).
La conclusione di questo
ragionamento qual è?
Secondo noi è la seguente: il
problema dell’esistenza dell’etere era un falso problema, e se poi si pensa
che ad una domanda mal posta corrisponde sempre una risposta errata, la
conclusione è ovvia.
Questo è un banalissimo esempio
di applicazione della Teoria. Per applicazioni più raffinate rimandiamo ad un
prossimo lavoro. Ora invece cerchiamo di esaminare eventuali limiti della Teoria.
Per spiegare la formazione
della materia non è necessario far ricorso ad una legge di forza che sia
repulsiva ed attrattiva secondo le distanze(29). Infatti, invece di avere le entità
tutte con la medesima massa inerziale, possiamo convenire che esse abbiamo due
masse inerziali distinte: una più piccola e l’altra di gran lunga superiore.
Possiamo poi convenire che esse abbiano una ‘qualità’, la ‘carica’, e che
esistano due cariche che chiameremo ‘negativa’ (e la attribuiremo alla
particella di massa inerziale minore) e ‘positiva’ (che attribuiremo alla
particella avente massa inerziale superiore). In questo nostro mondo possiamo
supporre che cariche dello stesso segno si respingono e cariche di segno opposto
si attraggono. In pratica stiamo trattando degli ‘elettroni’ e ‘protoni’ e
dell’interazione elettromagnetica che viene descritta con una legge di forza
senza creste (la legge di Coulomb) e dalle equazioni di Maxwell (in un
successivo lavoro dimostreremo come sia possibile ricavare le equazioni di
Maxwell in un sistema del tipo AVID) . Ebbene se ci calcolassimo (per esempio
mediante l’ausilio di un simulatore) cosa accade a due nubi di
elettroni-protoni (sarebbe più lecito investigare il sistema elettrone-ione,
ma il risultato della simulazione sarebbe lo stesso), saremo sorpresi nel
vedere che le due nubi si fonderebbero insieme per formare una struttura a
spirale, cioè una bellissima galassia (ovvero: si forma la materia!) e tutto
questo senza far ricorso a bizzarri Big Bang ed a fantomatiche curve
spazio-tempora1i(30).
Desideriamo
ringraziare il Dott. Pagano per la sua disponibilità nel parlare di Fisica
senza pregiudizi, il Dott. Ronsivalle che pazientemente si è dedicato alla
lettura di questo scritto e i cui preziosi consigli sono stati fondamentali per
la sua stesura ed il prof. Boscarino per avere ripreso l’avventura di
‘Mondotre’. Infine, un pensiero particolare va al compianto Prof. Notarrigo di
cui indimenticabili rimarranno le Sue lezioni di Fisica Superiore.
NOTE
1) Cioè ‘ciò che deve essere
spiegato’, ovvero i ‘fenomeni’. TORNA
2) Per filosofia intendiamo,
qui, la teoria della conoscenza e del metodo scientifico. TORNA
3) Si osservi che
modernamente i filosofi sono soliti discutere delle implicazioni filosofiche di
alcuni risultati delle teorie fisiche piuttosto che esaminare le fondamenta di
una data teoria. Ciò risulta impossibile dato che il filosofo oggigiorno non è
un tecnico della fisica ed il fisico non conosce affatto la filosofia
(teoretica). TORNA
4) Dopo queste letture ci
siamo convinti che le nostre forme di pensiero (cioè quelle con cui ci
accostiamo alla Fisica e la interpretiamo) sono tutt’altro che avanzate! TORNA
5) Ad
esempio, è chiaro che Boscovich non critica il concetto moderno di ‘campo’,
tuttavia è da ciechi non osservare che le critiche che egli muove alle teorie
di campo sono di carattere fondamentale e pertanto sono indipendenti da come
una impostazione campistica della fisica viene realizzata in un dato momento
storico. Perciò, quando parliamo di ‘variabile storica’ o ‘posizione storica’,
bisogna puntualizzare che l’aggettivo ‘storico’ è, in questi casi, sempre da
intendersi riferito alla ‘storia della fisica’. Per essere più chiari: quando
ci siamo imbattuti nelle critiche che il Nostro rivolgeva alle teorie di campo,
ci siamo sforzati di trattare il termine ‘campo’ con il significato che poteva
avere per uno scienziato di quel periodo ed inoltre, per quanto ci è stato
possibile, abbiamo sempre cercato di trovare i significati dei termini
utilizzati dall’Autore nell’ambito della sua produzione. TORNA
6) R. G. Boscovich, Lettere a Giovan Stefano Conti, a cura
di Gino Arrighi, “Accademia toscana di scienze e lettere La colombaria”, studi
LV, 1980, pp. 46-85. TORNA
7) Vedi nota 5.
TORNA
8) Come
verrà meglio esposto nel seguito, per ‘fisica’, nell’accezione usata da
Boscovich, si deve intendere l’insieme dei fenomeni cui dare una spiegazione,
quindi essa coincide con l’explanandum.
TORNA
9) Si osservi però, come a differenza di Lucrezio, il Nostro eviti
di parlare di problemi ‘etici’ e interponga fra la Teoria e la Fisica (cioè i
‘fenomeni’ da spiegare) la Meccanica. Questo, a nostro parere, è segno di una
grande lucidità intellettuale dell’Autore nonché di un modo diverso di
intendere l’atomismo. Ovvero, il Nostro restringe il campo di applicabilità
dell’atomismo alla sola scienza e ciò in contrasto col pensiero atomista di
origine epicurea. Rimane pertanto irrisolto il problema dell’etica che, secondo
l’Autore, ‘si deve risolvere altrove’ (ovvero nelle verità rivelate). TORNA
10) Questa posizione potremmo chiamarla ‘epicurea’. TORNA
11) Quest’altra, invece, potremmo definirla ‘democritea’. TORNA
12) Qui il termine ‘metafisico’ è inteso nell’accezione moderna,
che è del tutto diversa dall’accezione con cui lo usa Boscovich. TORNA
13) Ogni
riferimento alla Meccanica Quantistica è del tutto voluto! TORNA
14) Il
nostro pensiero è che ognuno ovviamente è libero di credere a Dio: l’importante
è che nessuno affermi (o neghi!) l’esistenza di Dio mediante la scienza. TORNA
15) ‘...ché
gli atomi appunto dell’anima sono più piccoli assai che non quelli onde in noi
si compongono il corpo e le carni...’ De Rerum Natura, op.
cit. TORNA
16) Al
fine di mostrare la ‘modernità’ della sua posizione di religioso-scienziato ci
piace riportare questo brano: ‘Ma a me prima di tutto non è mai piaciuto, nè
piacerà mai utilizzare, nell’indagine sulla natura, le cause finali...’ (tratto
dalla nostra traduzione dell’Opera in questione). TORNA
17) Per
quanto riguarda il problema inerente la ‘macchina uomo’ e la ‘coscienza’, si
rimanda 7 all’articolo del Dott. Ronsivalle in questo stesso numero. Sotto
certi aspetti, il lettore osserverà che questi due interventi sono simili; la
sostanziale differenza risiede solo nella diversità dell’explanandum, che nel
nostro caso è la ‘Fisica’, nel suo invece la ‘Sociologia’. E così come noi, in
questo intervento, stiamo analizzando una particolare Teoria della Fisica (che
possiamo schematizzare, con qualche imprecisione, con la Meccanica Razionale), il Dott. Ronsivalle analizza il problema
connesso alla possibilità di una Teoria della Sociologia (che potremmo
identificare, sempre con qualche imprecisione, con la Psicologia). TORNA
18) Quindi
non rientra nemmeno nella Psicologia dato che questa è (nonostante tutto) una
‘scienza’ TORNA
19) Riconosciamo
che è illecito chiamare la geometria in questo modo, soprattutto tenendo conto
che per Boscovich il segmento non è un insieme continuo di punti. Infatti
sostiene: “i punti sono nelle linee limiti indivisibili delle parti continue
della linea, non parti della stessa linea” (tratto dalla nostra traduzione
dell’Opera in questione). TORNA
20) In
questo contesto i termini ‘ontologista’ e ‘realista’ sono intercambiabili. TORNA
21) Queste
teorie assai strane sono quelle che vengono oggigiorno ritenute
validissime. TORNA
22) In
sintesi, per Boscovich, così come per Euclide dal Nostro sempre citato, in
geometria bisogna partire dal continuo per arrivare al discreto (cioè al punto
matematico); si deve a Dedekind l’aver rovesciato di nuovo la questione ponendo
il problema di costruire il continuo a partire dal discreto con tutti i
paradossi che sappiamo. TORNA
23) Che
in questo esempio stiamo pensando estesa.
TORNA
24) Boscovich
parla di replicatio, che noi abbiamo
tradotto con ‘donazione’; infatti in quell’istante il corpo avrebbe dovuto
‘replicarsi’ ovvero si sarebbe dovuto ‘donare’ per potere simultaneamente
appartenere a due traiettorie diverse.
TORNA
25) Si
osservi come questa curva, qualora si consideri solo un cresta, ricorda la
curva di Wan der Waals. TORNA
26) Chiaramente
ragionavano e ragionano così i fisici che interpretano il ‘meccanismo’ della
fisica classica in termini di urti fra palline da biliardo, ma noi sappiamo,
anche grazie a Boscovich che esiste un altro ‘meccanismo’: quello
dell’interazione a distanza. Anzi, nella fisica classica (newtoniana) esso è il
solo “meccanismo” TORNA
27) Anche
se una nutrita schiera di fisici oggigiorno argomenta il contrario, per esempio
il prof. Selleri dell’Università di Bari (v. ‘GIORNALE DI FISICA
VOL.XL, N. I) TORNA
28) L’idea
iniziale dell’isomorfismo esistente
fra trasmissione delle onde nel mare e trasmissione delle onde luminose è
dovuta al Dott. Angelo Pagano. TORNA
29) Nasce
infatti il problema che, se la sorgente della forza è puntiforme, la forza non
può non dipendere che dall’inverso del quadrato della distanza. TORNA
30) Per
ulteriori informazioni su questo punto si consultino i seguenti testi: Eric J.
Lerner, Il Big Bang non c’è mai stato, ed.
Dedalo, 1991 (testo non specialistico e dunque facilmente accessibile); Symposium of Plasma Dynamics, A.V.
Pergamon Press, 1960 (testo consigliato ai soli ‘tecnici’). TORNA