La luce: “cosa” viaggiante?
Reflections about the nature of light and
meaning of “velocity of light” through
the Galilei’s, Newton’s and Bridgman’s writings and Salvatore Notarrigo’s
personal memories.
Qualche giorno prima che
Totò Notarrigo morisse (nella notte tra il 18 e il 19 marzo del 1998) sono
andato a trovarlo, a casa sua, a Catania, come facevo da alcuni anni.
Nell’ultimo
periodo, dopo l’ennesimo ricovero ospedaliero del gennaio di quell’anno, era
rimasto un po’ debilitato e camminava a fatica. Per questo aveva deciso di
dedicare un po’ di tempo a passeggiare a casa o fuori se accompagnato da
qualcuno (s’era costruito una tabella
al computer nella quale annotava i tempi e le distanze percorse ogni
giorno per verificarne l’andamento e gli eventuali miglioramenti).
Quella
sera (sarà stato il 4 o il 5 marzo) dopo aver lavorato per qualche ora a casa
sua sui temi che stavamo affrontando (statistiche quantistiche e in particolare
sugli articoli di Bose del 1925, di Fermi del 1926 e di Einstein del 1917 che
stava traducendo dal tedesco) siamo usciti per una passeggiata.
In una
serata precocemente primaverile abbiamo continuato le nostre discussioni per le
strade vicine a casa sua. Si parlava di tantissime cose. Come sempre. Dei
presocratici, e Parmenide in particolare, e di Bach e delle sue suite per
violoncello e per liuto (da giovane Totò era stato un suonatore di violoncello
e aveva mantenuto un certo interesse per la musica condiviso da me dilettante
suonatore di chitarra classica), delle equazioni di Maxwell, e le leggi di Ohm,
e di calcio (in gioventù aveva giocato nella Pro Enna, con il ruolo di
mediano).
Mentre
passeggiavamo, incuneandoci tra le macchine posteggiate anche sui marciapiedi,
in qualunque modo (come succede, purtroppo, in alcune parti della città), e
commentavamo tale “usanza” (io affermai che bisognava mettere all’inizio della
città il cartello: “La civiltà non abita qui”, lui mi corresse proponendo: “La
civiltà ha abitato qui”) fummo attirati da un’insegna luminosa, di quelle nella
quale le luci “sembrano” rincorrersi attraverso il sincronismo di accensioni e
spegnimenti. Commentavamo che quella poteva essere una buona immagine per la
luce che “sembra” muoversi, come quel “segnale” dell’insegna luminosa, quando
in realtà non c’è niente che si muove (le lampadine dell’insegna sono ben
fissate!). E ci ricordammo di alcuni passi degli “Scritti di Ottica” di
Newton e delle considerazioni di Bridgman sulla natura della luce ripromettendoci,
con quell’immagine, di tornare su tali questioni, pur essendo state diverse
volte affrontate1. Non fu più possibile, per
la sopravvenuta morte di Totò.
Qualche
mese fa, rivedendo un’altra di quelle insegne luminose, mi ricordai delle
considerazioni fatte quella sera.
Ho
ripreso alcuni passi di Newton; in particolare alcuni (dalle “Lettere a Oldenburg”) nei quali l’autore
si difende dalle “considerazioni [fatte
da Hooke sulla presunta ipotesi corpuscolare della luce] che consistono nell’assegnarmi [a Newton] un’ipotesi che non mi appartiene”.
Afferma
Newton: E’ vero che dalla mia teoria
deduco la corporeità della luce, ma lo faccio senza assoluta certezza, come
implica la parola forse [in corsivo nel testo] che al massimo la rende nient’altro che una conseguenza molto
plausibile della dottrina, e non una supposizione fondamentale, né una parte
essenziale di essa interamente compresa nelle precedenti proposizioni. E mi
sorprende che il Signor Hooke possa supporre che mentre ho asserito la teoria
col massimo rigore, sia poi così negligente da asserire quella medesima
proposizione fondamentale con non più di un forse. Se mi fossi proposto di
sostenere una tale ipotesi, l’avrei in qualche modo spiegata. Ma io sapevo che le
asserite proprietà della luce potevano, in una certa misura, essere spiegate
non solo con quella ma anche con molte altre ipotesi meccaniche. Ho quindi
preferito tralasciarle tutte e parlare della luce in termini generali
considerandola, in modo astratto, come questa o quella cosa propagata in tutti
i sensi, secondo linee rette, dai corpi luminosi, senza specificare che cosa
sia quella cosa, se una confusa mescolanza di qualità dissimili, o modi di
corpi, o corpi stessi, o potenze di virtù o di esseri qualsiasi”2.
E continua: “Se
dovessi assumere un’ipotesi, essa sarebbe questa, ma a condizione che venisse
proposta in termini più generali, in modo da non determinare che cosa sia la
luce, salvo il fatto che è questa o quella cosa capace di eccitare vibrazioni
nell’etere [con buona pace dell’ipotesi corpuscolare!] così, infatti, essa diventerà talmente generale e comprensiva di altre
ipotesi da lasciare poco spazio all’invenzione di nuove ipotesi…Ho trovato che
alcuni quando non riuscivo a far loro
intendere la mia idea, allorché ho parlato della natura della luce e dei
colori in modo astratto, l’hanno invece appresa prontamente quando ho
illustrato il mio lavoro con una ipotesi…E sebbene non assumerò né questa né
alcun’altra ipotesi, non ritenendo necessario, per quanto mi concerne, che le
proprietà della luce da me scoperte vengano spiegate con questa ipotesi o
quella del Signor Hooke, oppure con qualsiasi altra ipotesi in grado di
spiegarle, nondimeno nel descrivere questa, eviterò ogni perifrasi e la esporrò
nel modo più conveniente, parlandone come se l’assumessi e la proponessi come
vera”3.
E conclude: Ho ritenuto giusto chiarire ciò, affinché
nessuno possa confondere questo con altri miei discorsi, o misurare la certezza
dell’uno sulla base dell’altro, o possa ritenermi obbligato a rispondere alle
obiezioni contro questo scritto. Desidero, infatti, evitare di essere coinvolto
in tali fastidiose dispute prive di significato”4[!].
Le
ipotesi aggiuntive che, eventualmente, facciamo sulla luce servono, dunque, a
renderla a noi più accessibile. Anche nella Bibbia si proclama, nel libro di
Baruc (3, 33-34): “lui che invia la luce
ed essa va, che la richiama ed essa obbedisce con tremore. Le stelle brillano
dalle loro vedette e gioiscono; egli le chiama e rispondono:
<<Eccoci!>>…
Nel
libro di Bridgman “La logica della fisica
moderna” vengono analizzati i concetti fondamentali sui quali basiamo la
nostra ricostruzione razionale della realtà. Tra questi vengono considerate le
ipotesi sulla natura della luce, visto che i fenomeni luminosi investono quasi
tutta la fisica moderna.
Scrive
Bridgman: “Praticamente tutto il nostro
pensiero intorno ai fenomeni ottici si impernea su un’invenzione, mediante la
quale questi fenomeni vengono assimilati a quelli dell’esperienza meccanica
ordinaria e così resi più accessibili all’intelligenza…L’esame più elementare
di ciò che significa la luce in termini di esperienza diretta mostra che noi
non sperimentiamo mai la luce stessa, dato che la nostra esperienza ha a che
fare soltanto con oggetti illuminati…Queste varie proprietà della luce hanno
portato in modo naturale e quasi inevitabile all’invenzione della luce come
cosa che viaggia, non intendendosi necessariamente con <<cosa>> un
oggetto materiale”5.
E conclude: “ Non
vi sono fenomeni fisici con cui si possa rivelare la luce oltre quelli della
sorgente e del ricevitore (intendendo per ricevitore anche uno specchio); cioè
non esiste fenomeno indipendente da quello che ci ha condotto all’invenzione
della cosa che viaggia. Dal punto di vista operativo è pertanto privo di senso
l’attribuire una realtà fisica alla luce nello spazio intermedio, e bisogna
riconoscere che la luce come cosa che viaggia è soltanto un’invenzione”6.
Non mi
pare ci sia il bisogno di aggiungere
commenti ai passi sopra riportati data la loro chiarezza e linearità.
In
questi anni, con il compianto Totò, diverse volte e in diversi lavori (come si
è detto all’inizio) ci si è occupati di rispondere alle domande che cos’è la
luce e cos’è la sua velocità, arrivando alle conclusioni di Newton e di Bridgman,
e ricavando che la luce ha a che fare con l’interazione tra i corpi e l’energia
ad essa associata7.
E,
d’altra parte, occupandosi di relatività e di teoria dei quanti e in genere di
fisica moderna, non è possibile non chiedersi che cos’è la luce e cosa
rappresenti la sua velocità.
Lo
stesso Einstein, come abbiamo altre volte riportato, rispondendo a chi lo
criticava per aver “fondato” tutta la relatività utilizzando la luce e le sue
“proprietà” diceva (nel 1922): “Si
critica spesso la teoria della relatività perché attribuisce, senza
giustificazione, un’importanza concettuale preminente alla propagazione della
luce: il concetto di tempo, infatti, si basa sulla legge di tale propagazione.
La questione, però, va posta nei seguenti termini. Per attribuire un
significato fisico al concetto di tempo, si richiedono processi che permettano
di stabilire delle relazioni fra posti differenti. Non ha importanza quali tipi
di processi si scelgano per tale definizione del tempo, ma è teoricamente
vantaggioso scegliere soltanto quei processi sui quali si conosca qualcosa di
sicuro. Ciò avviene per la propagazione della luce nel vuoto in misura maggiore
che per qualunque altro processo, grazie alle indagini di Maxwell e Lorentz” 8.
Anche se alcuni anni dopo sarà
costretto ad ammettere, scrivendo all’amico Michele Besso (il 12/12/1951): “Tutti questi cinquant’anni di consapevoli
meditazioni non mi hanno avvicinato affatto alla risposta all’interrogativo:
‘Che cosa sono i quanti di luce?’ Al giorno d’oggi, ogni Tizio, Caio e
Sempronio crede di saperlo, ma si sbaglia” 9.
Lo
stesso può dirsi per la velocità c.
Viene
utilizzata con significati diversi e in
diversi contesti 10. C’è una “cosa” che
viaggia? Anche nel caso dell’insegna luminosa, considerata all’inizio, potrebbe
sembrare che ci sia qualcosa che viaggi ed è possibile perfino definire e
trovare la velocità di questo “segnale viaggiante”, che può essere anche uguale
o maggiore della stessa c!
Supponiamo di avere n
lampade, poste a distanza D l’una
dall’altra, collegate, ciascuna da un filo di lunghezza l, ad n interruttori
posti, in modo equidistante, lungo la circonferenza di una ruota (un motore
elettrico con frequenza di rotazione f)
di raggio R qualunque. La rotazione
chiude gli interruttori che permettono l’alimentazione e l’accensione delle
lampade.
E’ possibile definire una velocità del segnale luminoso
che “passa” dalla lampada 1 alla 2, dalla 2 alla 3, e così via, data da:
1) V
= D
/ T
essendo T
l’intervallo di tempo considerato a partire da quando si chiude il circuito della
lampada 1 fino a quando arriva all’osservatore (posto supponiamo al centro
della ruota, equidistante da tutte le lampade) la luce della lampada 2 e sotto
le ipotesi che il segnale elettrico nei fili di lunghezza l si propaghi con la stessa
velocità del segnale luminoso c e che i contatti di chiusura ed
apertura dei circuiti, come l’accensione delle lampade, siano istantanee (o se
si vuole con tempi molto più brevi rispetto a quelli in gioco!). Cioè:
2) T = 2l / c + t
- 2l / c = t.
Questo T è dunque, al netto, uguale a t, cioè al ritardo tra la propagazione di
un segnale e del suo successivo, e dipende esclusivamente dalla frequenza di
rotazione della nostra ruota (del motore elettrico) e dal numero n (il numero di suddivisioni della circonferenza)
che nel nostro modello coincide con il
numero di interruttori equidistanti posti sulla circonferenza e determina, quindi, il tempo che intercorre
tra la chiusura di un interruttore e un altro; infatti:
3) t
= 1
/ n f.
Sostituendo nella 1)
la 2) e la 3) si ottiene:
4) V
= n D f.
Questa si può considerare la velocità del segnale che
passa dalla lampada 1 alla 2, alla 3 e così via per le n lampade.
Nella 4) non ci
sono limitazioni (nemmeno relativistiche!) se non quelle eventualmente legate
alla costruzione del sistema. Per opportuni valori di n, D e f è possibile avere, dalla 4), diversi
valori di V, minore, uguali
o maggiori di c.
Per esempio, se
n = 100 e D = 100 m. basta avere una
f = 30.000 Hz per ottenere V = c e, aumentando qualcuna di queste
grandezze ottenere, una V > c.
Le
stesse considerazioni è possibile farle anche utilizzando, anziché il sistema
con il motore elettrico, un sistema con
trigger e circuiti sequenziali (con l’utilizzo di transistor): anche in
questo caso si potrà definire un t,
caratteristico del circuito, anche in termini di n e f.
Si è voluto, in questo modo, dare un esempio di come è
possibile dare la definizione di “velocità” di qualcosa (in questo caso il
segnale che “passa” da una lampada all’altra) in modo coerente arrivando a
conclusioni in contrasto con le affermazioni sostenute dalle teorie moderne
della fisica.
Il punto
è sempre quello. Bisogna avere chiaro il valore semantico delle definizioni e
dei concetti utilizzati dai quali deduciamo le conclusioni.
Diceva
spesso Notarrigo: “Non è possibile
dimostrare la coerenza di un sistema deduttivo se non a mezzo di “operazioni
fisiche elementari” (quelle con “riga e compasso” e delle leve) da cui ricavare
i postulati fondamentali (proposizioni primitive) di certa verità”. E
ancora: “Le equazioni fondamentali della
fisica (di Newton, di Maxwell, ecc...) non sono vere per il fatto che si possa
verificarle o falsificarle empiricamente, ma lo sono perché è possibile dedurle
razionalmente in un sistema i cui assiomi di base sono fondati su operazioni
fisiche elementari, facilmente controllabili e non sull’impossibile verifica di
principi empirici difficilmente controllabili”.
Senza questo è impossibile costruire teorie
di alcun genere e dedurre conclusioni coerenti con i presupposti. E’
impossibile, nel caso specifico, costruire intere impalcature, quali la
relatività, senza preliminarmente chiarire di “cosa” è la velocità c, che significato può avere nei diversi
contesti utilizzati in modo da eliminare tutte le confusioni e gli slittamenti
semantici, con buona pace dei diversi fisici che, per esempio, di tanto in
tanto annunciano di aver misurato velocità superiori a quella della luce (come
quello dato, in pompa magna, sui quotidiani del 31/05/2000) o di aver
“spremuto” e “rallentato” la luce a velocità nettamente inferiori a c (la notizia è di qualche anno fa,
anche questa data con enfasi dai mass-media).
Seguendo
ancora Bridgman si legge: “Vi è ancora un
altro modo assai interessante di definire la velocità, in cui non si compie
affatto l’analisi in termini di spazio e di tempo [prima definizione] bensì la velocità viene misurata
direttamente ricostruendo la velocità data mediante l’addizione fisica di una
unità di velocità scelta arbitrariamente... Noi possiamo anzitutto costruire un
campione di velocità, per esempio stendendo un filo tra due sostegni con un
peso fisso per tenerlo in tensione. Se urtiamo il filo, lungo di esso si
propaga un disturbo che possiamo seguire con l’occhio; definiamo unità di
velocità la velocità di questo disturbo. Possiamo ora duplicare il nostro
campione costruendo un altro sistema di sostegni con filo teso,... Definiamo
due unità di velocità la velocità di qualcosa che corra insieme col disturbo
del filo del secondo sistema, quando il secondo sistema si muove a una velocità
tale che esso corre insieme al disturbo del primo filo... Se si adotta questa
definizione di velocità si trova che la velocità della luce è infinita...; la luce
come fatto fondamentale caratterizza l’intero schema della relatività
ristretta, e ciò ha indotto Einstein ad adottare la prima definizione di
velocità [con spazio e tempo]. Si può
non avere nulla in contrario a questo desiderio e considerare la luce come cosa
fondamentale... e, se le proprietà della luce vengono trattate matematicamente,
si vede subito l’utilità del liberarsi dagli attributi infiniti e si ammette
quindi l’utilità del rendere finita la velocità della luce. Tutto ciò implica
però un altro presupposto insidioso, che anche noi abbiamo tacitamente
accettato in tutta la nostra discussione precedente, e cioè che la nozione di
velocità sia applicabile senz’altro alla luce. Einstein ha decisamente adottato
questo punto di vista, e determina con ciò il carattere dell’intera struttura
della relatività. Io credo invece che sia assai discutibile l’identificazione
della luce come cosa che viaggia”11.
E
ancora: “Il rinunciare al concetto della
luce come cosa che viaggia ci porrebbe in grado, inoltre, di adottare un altro
metodo per descrivere la natura, basato su un diverso concetto della velocità;
abbiamo visto che è possibile definire la velocità in termini di operazioni
diverse da quelle ordinarie,... in modo da avere per la luce una velocità
infinita... Possiamo, se vogliamo, continuare per comodità a parlare di
velocità della luce, sottointendendo esplicitamente che il valore infinito da
attribuire a questa velocità non si applica alla luce sotto alcun riguardo...
Quest’idea della luce [come cosa che viaggia] è fondamentale in tutto lo svolgimento della relatività ristretta;
senza questa immagine della luce tutte le deduzioni matematiche perderebbero la
loro semplicità ed il loro potere di convinzione, in quanto in tutte le
deduzioni inevitabilmente pensiamo a noi stessi come ad un osservatore esterno,
che guardi una cosa, cui diamo il nome di luce, capace di viaggiare su e giù
come un qualunque oggetto fisico... Mi sembra lecito chiedere se Einstein e
tutti gli altri fisici moderni, ..., non hanno pagato troppo cara la semplicità
e la possibilità di trattamento matematico scegliendo di considerare la luce
come una cosa che viaggia. Dal punto di vista fisico, costituisce l’essenza
della luce il fatto che essa non [in corsivo nel testo] è una cosa che viaggia, e non vedo come si
possa sperare di evitare serie
difficoltà scegliendo di trattarla come una cosa del genere. Naturalmente
l’intero problema della natura della luce presenta ora le massime difficoltà.
Il punto di vista della luce quale cosa che viaggia, anche come sviluppato da
Einstein, non ci conduce ad una situazione del tutto soddisfacente sotto
l’aspetto logico... L’aspetto esplicativo manca del tutto nel lavoro di
Einstein”12.
Tutto
questo non è possibile ignorarlo se si vuole fare un discorso serio (una fisica
seria!) in tutti gli ambiti in cui vengono “utilizzati” i fenomeni luminosi
come “fatti” fondamentali!
Ma già
Galilei, tre secoli prima, ha chiari i termini della questione.
Quando
descrive l’esperimento dei due amici muniti di lumi posti a distanza per “accertar se l’illuminazione, cioè se
l’espansion del lume fusse veramente istantanea” fa dire a Salviati: “Veramente non l’ho sperimentata, salvo che
in lontananza piccola, cioè manco d’un miglio, dal che non ho potuto
assicurarmi se veramente la comparsa del lume opposto sia istantanea; ma ben,
se non istantanea, velocissima, e direi momentanea, è ella, e per ora
l’assimiglierei a quel moto che veggiamo farsi dallo splendore del baleno
veduto tra le nugole lontane otto o dieci miglia: del qual lume distinguiamo il
principio, e dirò il capo e fonte, in luogo particolare tra esse nugole, ma
bene immediatamente segue la sua espansione amplissima per le altre
circostanti; che mi pare argomento, quella farsi con qualche poco di tempo;
perché quando l’illuminazione fusse fatta tutta insieme, e non per parti, non
par che si potesse distinguer la sua origine, e dirò il suo centro, dalle sue
falde e dilatazioni estreme. Ma in quali pelaghi ci andiamo noi
inavvertitamente pian piano ingolfando? Tra i vacui, tra gl’infiniti, tra gli
indivisibili, tra i movimenti istantanei per non poter mai, dopo mille
discorsi, giugnere a riva?”13.
Viene
riportato in Appendice la Comunicazione data il 26/09/1996 a nome mio e di
Salvatore Notarrigo, dell’Unità di Catania del gruppo Nazionale di Storia della
Fisica, al LXXXII Congresso S.I.F., Verona 23-28 settembre 1996, dal titolo “Sul
significato fisico della velocità della luce nel vuoto”, nella sua versione
originale e integrale.
“Sul significato
fisico della velocità della luce nel vuoto”
P. Di Mauro, S. Notarrigo
CNR – Unità di Catania del
Gruppo Nazionale di Storia della Fisica
A cominciare dagli esperimenti di Weber e Kohlraush del
1856 si è trovato che la costante c,
presente nella legge di Biot – Savart e quindi nelle equazioni di Maxwell, che
ha le dimensioni di una velocità, è numericamente uguale alla velocità della
luce nel vuoto, misurata fin dal 1675 da Roemer mediante l’osservazione di
variazioni nella periodicità dei tempi di rivoluzione dei satelliti di Giove.
Quella fatta da Roemer, come quasi tutte le misure fatte tra la metà del ‘900,
riguardano la velocità dell’ipotetico segnale luminoso che percorre un certo
spazio in un certo tempo.
Bridgman ha fatto notare che l’idea della luce come “cosa
che viaggia” si deve considerare soltanto come un’invenzione: “dal punto di
vista operativo è privo di senso attribuire una realtà fisica alla luce nello
spazio intermedio (tra sorgente e rivelatore)”14. E inoltre nota che in tutti i lavori di Einstein sulla
relatività, dove si pone la luce e le sue proprietà come “fatto” fondamentale,
manca del tutto “l’aspetto esplicativo”15.
Abbiamo già riferito16 che all’interno della teoria classica delle particelle è possibile
derivare le equazioni di Maxwell, avendo definito opportunamente i vettori in
gioco, dove, per omogeneità dimensionale, è necessario introdurre una costante,
c, con le dimensioni fisiche di una velocità.
Ci proponiamo, all’interno di questo paradigma, di dare
un possibile significato a c.
In accordo con la visione newtoniana – democritea, immaginiamo un universo finito costituito da particelle elementari (cioè prive di moti interni), legate tra loro da forze inversamente proporzionali al quadrato delle loro distanze relative.
Indichiamo con H la sua hamiltoniana.
Consideriamo una particella elementare di massa m
e sia il suo raggio vettore
rispetto a un sistema di riferimento fisso rispetto al baricentro, O,
dell’universo. Sia la velocità della particella rispetto a
tale riferimento.
Prendiamo
come assi fissi di tale riferimento tre assi cartesiani ortogonali, uno dei
quali coincida con il momento angolare totale,, dell’universo, individuato dal versore k, cioè k
= , essendo L il modulo costante del momento angolare
totale dell’universo.
Basterà
individuare un altro versore fisso, diciamo i, ortogonale a k, per
individuare la terna fissa, infatti dopo basterà prendere il terzo versore
ponendo j = k i.
Allo
scopo di individuare il secondo versore i, supponiamo che la distanza
della nostra particella dal baricentro dell’universo sia molto grande rispetto
alle distanze delle altre particelle da
tale baricentro, di modo che la particella resti legata al resto dell’universo
da una forza centrale con legge proporzionale all’inverso del quadrato della
distanza .
Infatti,
per le nostre ipotesi, la forza che lega la nostra particella alle altre
particelle è:
per
diventa:
avendo indicato con M
la massa totale dell’universo.
In tal caso si ha un altro invariante del moto, chiamato
usualmente vettore di Laplace – Runge – Lenz17:
.
Supponiamo
ora che le osservazioni vengano effettuate rispetto ad un sistema di
riferimento diverso, legato al precedente da una trasformazione unitaria, , la velocità della particella nel nuovo riferimento sarà con , essendo il vettore della
trasformazione assiale , cioè .
Scomponiamo
l’hamiltoniana totale del sistema, nel riferimento che abbiamo chiamato fisso,
nelle componenti:
,
conenergia cinetica della particella, energia interna totale del resto dell’universo, energia di interazione tra la particella ed il resto
dell’universo.
Supponendo
costante l’energia totale, cioè H
= E = costante, si ha:
.
Per
note formule di analisi vettoriale si ha:
e quindi:
.
D’altra
parte:
.
Quindi
possiamo porre:
.
Ma
nell’ipotesi , si ha , per cui:
.
Quindi:
.
Notiamo
che tiene conto del
flusso totale di potenza che la particella scambia con il resto dell’universo,
in parte dovuto alle variazioni di e in parte dovuto
alle variazioni di ; quest’ultima parte dipende esclusivamente dal movimento
delle altre particelle, per cui si può porre: , e avremo:
ovvero:
.
Se scegliamo un sistema di
unità di misure in cui si ponga M = 1, l’energia totale dell’universo
avrà le dimensioni di una velocità al quadrato e possiamo porre e dall’ultima equazione si trae:
,
che, se identifichiamo con il quadrato della velocità della luce nel vuoto, non è
altro che il gauge di Lorentz.
Nel
nostro contesto ha il significato di
energia totale riferita all’unità di massa e renderebbe conto dell’equazione E
= m .
D’altra parte nell’analisi di un sistema di n
oscillatori lineari di uguali masse con uguale interazione solo tra i primi
vicini e con condizioni iniziali corrispondenti ad un impulso dato al primo
oscillatore della catena si può introdurre una “quasi-particella” che descrive
opportunamente la propagazione dell’energia lungo la riga di oscillatori18. L’energia si propaga lungo il
sistema con una velocità che per un certo periodo resta costante, dipendente
solo da una costante fisica che caratterizza il sistema di oscillatori. Col tempo
la velocità della “quasi-particella” si annulla in media e questo corrisponde a
un moto disordinato della “quasi-particella” che genera rumore di fondo.
Il moto della “quasi-particella” simula il comportamento
della luce e i risultati per questo modello unidimensionale è plausibile che si
verifichino in un sistema tridimensionale. Il problema matematico però è
irrisolvibile finché non si riesce a risolvere il problema a molti corpi.
E così è possibile, come d’altronde fece Newton (!), dare
alla velocità della luce nel vuoto il significato di una costante legata
all’energia d’interazione tra le particelle e alla sua propagazione.
1 Cfr: P. Di Mauro, S. Notarrigo, A. Pagano, Mondotre/Quaderni, Anno V, N° 9, ottobre 1993, Ed. Cooperativa Laboratorio, Siracusa, pag. 27; S. Notarrigo, Mondotre/Quaderni, Anno VI, N° 10, novembre 1994, Ed. Cooperativa Laboratorio, Siracusa, pag. 33; P. Di Mauro, S. Notarrigo, “Sul significato della velocità della luce nel vuoto”, Comunicazione al LXXXII Congresso Nazionale S.I.F., Verona 1996, riportato in Appendice al presente scritto; P. Di Mauro, Mondotre, Anno I, N° 1 Nuova Serie, dicembre 1999, La Scuola Italica, Sortino (SR), pag. 15; A.Pagano, Mondotre, Anno II, N° 2 Nuova Serie, dicembre 2000, La Scuola Italica, Sortino (SR), pag. 53. TORNA
9 B. Hoffman, H. Dukas: “Albert Einstein, creatore e ribelle”, Tascabili Bompiani, 1984, pag. 209-210. TORNA
13 G. Galilei: “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, Giornata prima, Ed. Naz. VIII, pag. 87. TORNA