Le basi della Fisica

Giuseppe Garozzo

 

 

L’evoluzione della fisica del ‘900 ha dato adito a tutta una serie di interpretazioni e discussioni che oggigiorno riempiono i testi di filosofia della fisica. In questo scritto noi ci allontaneremo di molto dalle tematiche trattate nei più comuni testi dedicati alle questioni epistemologiche in quanto riteniamo che il dibattito attua­le sia inutile e, sopratutto, senza via di sbocco. Quindi problemi quali il ruolo dell’ossservatore in meccanica quantistica o il concetto di tempo nella meccanica relativistica per noi non sono i veri problemi da affrontare. Infatti, al fine di fare chiarezza sulla fisica moderna, riteniamo che il problema base su cui spendere le nostre fatiche sia il seguente: cosa sono le grandezze fisiche nella meccanica quantistica e nella relatività? Alcuni concetti di tipo filosofico saranno indispen­sabili per la trattazione seguente, e pertanto cercheremo di illustrarli brevemente.

 

 

1- Concetti filosofici utili

Tra i molti concetti dell’armamentario filosofico, quelli che riteniamo indispen­sabili per la nostra disamina sono i seguenti: reale, concreto e sensibile. Illustre­remo adesso i significati di tali termini con degli esempi. Dire che il sottoscritto Giuseppe Garozzo é un individuo o entità sensibile significa che lo si può incon­trare per strada, stringergli la mano e fargli gli auguri di Natale. Ovviamente tutte queste cose non si possono fare con l’individuo uomo ragno. Si osservi pure che anche l’individuo o entità Pitagora è sensibile, dato che in un determinato tempo c’è chi lo ha incontrato per strada e gli ha fatto gli auguri di buon compleanno (ovviamente il Natale non esisteva a quel tempo).

Torniamo adesso all’individuo uomo ragno. Esso non è sensibile, tuttavia è con­creto. Infatti uomo ragno è qualsiasi uomo che ha le stesse capacità dei ragni, e cioè sa arrampicarsi sui muri, può fare grandi salti, può produrre la ragnatela e può sollevare pesi dell’ordine di cinque volte il proprio peso corporeo senza pro­blemi. In definitiva cosa sia un uomo ragno è cosa ben definita. Quindi uomo ragno è un individuo concreto ma, ovviamente, non sensibile.

Adesso facciamo un salto nella teoria delle mutazioni genetiche e cerchiamo di capire se una particolare mutazione del DNA può dotare una persona degli stessi ‘poteri’ che hanno i ragni. Ebbene secondo la Fisiologia umana e la Genetica è impossibile che un un’appartenente alla specie umana possa per una qualche mutazione genetica acquistare le stesse capacità dei ragni. Pertanto concludiamo che secondo la Genetica e la Fisiologia l’individuo uomo ragno non è reale. Quindi riassumendo l’individuo (o entità) uomo ragno è concreto ma non e sensibile reale. Stressiamo ancora il concetto di reale, affinchè il lettore non creda che un individuo reale sia necessariamente sensibile. Infatti il concetto di reale è sem­pre legato ad una teoria, cioè un individuo è reale se e solo se esiste in una teoria cioè se e solo se è compatibile logicamente con una teoria. Facciamo un esempio. Consideriamo il concetto di punto materiale. Ovviamente l’entità punto materia­le non è sensibile; tuttavia è concreta. Infatti per punto materiale si intende un corpo privo di estensione. Esso poi nella meccanica razionale acquista l’attributo di reale. Infatti nella Meccanica Razionale l’individuo punto materiale è dotato di tutta una serie di proprietà compatibili logicamente fra loro e con la stessa definizione di punto materiale. Ma al di fuori della Meccanica Razionale l’entità (o individuo) punto materiale risulta solo concreto e non sensibile. Consideria­mo adesso le luci di Hessdalen, un fenomeno luminoso che si manifesta nella valle di Hessdalen in Norvegia. Tale fenomeno luminoso è simile ai fulmini globulari ma presenta caratteristiche peculiari. Ovviamente le luci di Hessdelen sono sensibili dal momento che vengono viste, fotografate e monitorate con tutta una serie di strumentazione. Esse sono pure concrete, dato che per luci di Hessdalen si intendono tutta una serie di fenomoni luminosi con particolari proprietà. Tutta­via esse non sono reali pcrchè non esiste ancora una teoria che possa giustificare quella fenomenologia.

Infine portiamo un esempio di un’entità non sensibile, non concreta e dunque non reale: l’apeiron di Anassimenc. Infatti per apeiron s’intende qualcosa di in­definito che pervade tutto l’universo. Ma ovviamente la definizione ‘qualcosa di indefinito’ è auto contraddittoria dal momento che definiamo un qualcosa dando l’attributo di indefnito. Pertanto essa risulta non sensibile (infatti nessumo ha mai visto l’indefinito) e non concreta. Infine, essendo non concreta risulta non reale.

 

2-   Le grandezze fisiche in meccanica classica

Come abbiamo già detto il confronto fra teorie diverse è possibile effettuarlo se e solo se si chiarisce cosa sia, in una data teoria, una grandezza fisica. Infatti ogni teoria fisica usa il termine grandezza fisica, ma ognuna con una particolare acce­zione. Noi dimostreremo come la confusione attuale sulla fisica moderna sia in pratica dovuta essenzialmente ad una confusione sul concetto di grandezza fisi­ca. Cominciamo a porci la seguente domanda: che cos’è una grandezza fisica nella meccanica classica?

A tale quesito risponderemo fornendo il paradigma di grandezza fisica utilizzato nella fisica di Newton.

Il paradigma della grandezza fisica in meccanica classica è quello della misura di una lunghezza. Per misurare una lunghezza banalmente si sceglie una sbarra pre­sa arbitrariamente come unità di misura (indichiamola con u e chiamiamola me­tro) e qualsiasi altro oggetto viene poi misurato per confronto diretto. Dire per esempio che una data sbarra misura 3 metri significa che essa contiene tre volte il nostro campione di lunghezza, scriveremo pertanto:

 

1 = 3 u

 

dove con l si è indicata la lunghezza della sbarra ovvero il concetto di lunghezza della sbarra. Ebbene l è il paradigma di grandezza fisica.

Ovviamente nel fare la misura, conveniamo che nel trasporto il campione non si deformi, che l’unità di misura sia una sbarra perfettamente diritta, che non com­mettiamo errori nel segnare le tacche e così via. Nel caso poi che il nostro cam­pione non sia contenuto un numero intero di volte si esegue la decomposizione in decimali, poi in centesimi, millesimi e così via. In questo paradigma possiamo affermare che in genere la lunghezza di una sbarra l e’ sempre possibile scriverla come:

 

l = l u

 

dove l è un numero (nell’esempio di sopra l = 3). Precisiamo ulteriormente la simbologia introdotta. Con le lettere in grassetto, cioè nel nostro esempio con l, indichiamo il concetto di lunghezza e più in generale la grandezza fisica; con l indichiamo il numero associato alla grandezza fisica e cioè il risultato della misu­ra, e con u la grandezza fisica fondamentale cioè la grandezza fisica associata alla sbarra scelta come unità di misura.

Quindi 1, u devono intendersi come entità concrete ma non sensibili.

Ma quando noi eseguiamo una misura col metro di un dato oggetto sensibile e scriviamo

 

1 = 3 u

 

l ed u sono sensibili o no? La risposta è sempre no! Infatti le stesse assunzioni più o meno nascoste che si fanno per eseguire una misura (ad esempio, campione perfettamente diritto, e non deformabile) fanno si che u e dunque anche l riman­gano sempre entità concrete ma non sensibili: infatti esse sono e rimangono con­cetti di lunghezza. In pratica quando noi eseguiamo una misura facciamo sempre l’assunzione che il campione sia ‘perfctto’cioè operiamo sempre col concetto di lunghezza del campione. L’unica quantità che può essere sensibile è l. Infatti è su di essa che possiamo far ricadere tutte le imperfezioni intrinseche del procedi­mento di misura. Non a caso la misura di un oggetto sensibile viene espressa, ad esempio, nel seguente modo:

 

l = (3±0.1) u

 

Ovvero il risultato, sensibile, della misura l è sempre dato con un intervallo di incertezza. All’interno poi della teoria della misura le entità l,u ed l risultano entità reali. Sintetizzando possiamo dire che nella teoria della misura, che coinci­de con la teoria delle grandezze fisiche sulla quale si fonda la meccanica classica, le grandezze fisiche del tipo l ed u sono entità reali, concrete ma non sensibili, mentre per quanto riguarda il ruolo di l ce ne occuperemo in seguito.

 

 

3-   Gli spazi vettoriali della Meccanica Classica

Come il lettore ben saprà la meccanica razionale fa uso delle seguenti entità: punti materiali, sbarre perfettamente rigide, piani perfettamente lisci e così via. Tutte queste entità ovviamente non sono sensibili; tuttavia risultano concrete, e dato che fanno parte di una teoria che stabilisce alcune assunzioni su di esse (ad esempio ne stabilisce le leggi del moto) sono pure reali. Ovviamente alla sbarra perfettamente rigida, così come al piano perfettamente liscio, è possibile associa­re direttamente una grandezza fisica (rispettivamente la lunghezza e l’area), men­tre al punto materiale possiamo solo associare indirettamente una data grandezza fisica (ad esempio lo spazio percorso). Le entità fondamentali della meccanica classica a cui è possibile associare direttamente una data grandezza fisica sono lo spazio, il tempo e la massa. A parte la massa, lo spazio ed il tempo sono concetti dati come primitivi. Come è noto le grandezze fisiche associate a tali entità sono scalari e vettoriali. In particolare per il tempo e per la massa abbiamo bisogno di eseguire solo un confronto diretto per effettuare la misura. Mentre per lo spazio, ovvero per la lunghezza, in genere le cose sono un pò più complicate. Infatti per misurare la lunghezza di una traiettoria non rettilinea abbiamo bisogno di cam­biare continuamente l’orientazione e verso del nostro campione di misura. La stessa cosa accade se vogliamo misurare la distanza di un dato corpo rispetto ad un riferimento. In tal caso dalla geometria sappiamo che o assegniamo il valore della lunghezza (cioè l) e l’orientazione oppure assegniamo tre valori della lun­ghezza riportati lungo i tre assi cartesiani. Conveniamo di indicare il numero associato ad una data grandezza vettoriale con una segnatura sotto la lettera, ad esempio

 

l= (l1, l2, l3)

 

In questo caso, dato che  (e quindi l1, l2, l3) rappresenta un risultato ideale di una data misurazione, esso non è sensibile ma solo reale e concreto. Indicati poi con i, j e k le grandezze fisiche campioni lungo i tre assi cartesiani si pone (per il teorema di Pitagora):

 

l = l1 i + l2 j + l3k                       (1.1)

 

 

dove con l abbiamo indicato la grandezza fisica vettoriale. Ovviamente la (1.1) può essere considerata come la definizione di combinazione lineare. L’insieme di entità che si ottengono dalla (1.1) al variare dei numeri (reali) l1, l2, l3 è detto spa­zio vettoriale. Per essere più precisi uno spazio vettoriale è un insieme di elemen­ti detti vettori in cui sono definiti una somma interna ed un prodotto scalare che godono rispettivamente delle comuni proprietà della somma fra numeri reali per quanto riguarda l’operazione di somma fra vettori, e della proprietà associativa e distribuitiva ed esistenza dell’elemento neutro per quanto riguarda il prodotto fra vettore e scalare. Ma ciò è ben noto al lettore: quello che noi qui vogliamo sotto­lineare è che le grandezze fisiche in meccanica classica sono dei vettori (le gran­dezze scalari sono vettori di dimensione uno) e che le proprietà dei vettori sono desunte dalla definizione operativa di grandezza fisica che abbiamo istituito per la meccanica classica. Ribadiamo ancora che il paradigma di grandezza fisica dato è determinato operativamente mediante la più semplice operazione fisica che conosciamo: il confronto diretto. Infine il confronto con la misura sensibile si ottiene mediante l che da oggetto concreto e non sensibile diventa sensibile e quindi determinato con un margine di incertezza.

 

4-   Il sensibile e l’ideale in meccanica classica

Il lettore può rimanere confuso circa il ruolo da attribuire ad l (o l nel caso di numero associato ad una grandezza vettoriale avente più di una dimensione).

Premettiamo che per semplicità di trattazione indicheremo con l’attributo di ide­ale ciò che non è sensibile ma che risulta concreto (e può pure essere reale). Supponiamo di volere affrontare il seguente problema: determinare la traiettoria di un grave lanciato orizzontalenitente con una data velocita’ iniziale trascuran­do l’attrito dell’aria.

 

Innanzitutto facciamo l’assunzione che il grave sia modellizzabile con un punto di materiale avente una massa m (ovviamente gli oggetti con cui lavoriamo sono le grandezze fisiche) e sia r(t) la sua traiettoria. In questo stadio dell’analisi pos­siamo benissimo passare dalle grandenzze fisiche ai numeri ideali ad essi asso­ciati: tali numeri sono ideali perchè possiamo pensare di associarli mediante una misurazione perfetta cosa che da un punto di vista ideale è sempre possibile fare. Pertanto possiamo supporre di avere un punto materiale di massa m e di traietto­ria r(t)=(x(t),y(t)) data da (per le leggi di Newton):

 

x(t)=v0 t + x0

 

y(t) = 1/2 gt2+y0

 

dove v0 è la velocità (orizzontale) iniziale ed x0 e y0 la posizione iniziale del punto. Alla fine si ottiene che la traittoria è una parabola.

 

Come si vede da questo esempio finchè ci limitiamo alla trattazione ideale dei sistemi fisici possiamo benissimo passare tranquillamente dalle grandezze fisi­che ai numeri ad essi associati. Ovvero in questo stadio di trattazione c’è una corrispondenza biunivoca fra entità, grandezze fisiche associate e numeri ad essi associati.

Le cose cambiano quando ad esempio vogliamo empiricamente verificare le for­mule di sopra. In questo caso le x(t) e y(t) cessano di essere quantità ideali e diventano sensibili. Tuttavia tale passaggio non è banale perchè richiede una teo­ria dell’esperimento con connessa analisi degli errori. D’ora in avanti indichere­mo con <l> i numeri sensibili associati alle grandezze fisiche: nel caso del grave avremo <x(t)> e <y(t)>.

 

Riassumendo possiamo affermare che nella relazione:

 

l = l u

 

tutte e tre le entità sono reali concrete ed ideali cioè non sensibili; tuttavia la l può diventare sensibile e pertanto qualora nella relazione di sopra sostituiamo al nu­mero l ottenuto con una misura ideale quello ottenuto con una misura sensibile si ha:

 

l = <l> u

 

Ovviamente la meccanica classica tratta solo delle grandezze fisiche e dei valori ideali. Pertanto, ripetiamo, il confronto col dato empirico richiede una non banale elaborazione mediante la teoria della misura, dei valori ideali e/o una buona pre­parazione dell’esperimento al fine da riprodurre nel miglior modo possibile le condizioni ideali (ad esempio il piano inclinato è un buon espediente per simula­re condizioni quasi ideali per la caduta dei gravi).

 

5-    La teoria della misura

Misurare significa fare interagire l’oggetto della misura con un altro oggetto det­to apparato di misura. Nella meccanica classica entrambe cose sono in linea di principio descrivibili mediante i suoi principi e le sue leggi del moto. In genere la determinazione sperimentale delle grandezze fisiche (cioè di <l>) richiede una particolare costruzione dell’apparato di misura ed una particolare costruzione dell’esperimento. Da quanto detto si evince come misurare non sia una cosa ba­nale. Nella fisica di Newton, di Galileo e di Archimede si era soliti parlare di operazioni fisiche elementari, per indicare le più semplici operazioni fisiche di misura che si possono pensare ed effettuare. Ovviamente, come già detto, la più semplice operazione fisica di misura è quella di confornto diretto. Infatti non esiste un’operazione fisica più semplice di questa. Tuttavia il lettore osservi che, per quanto semplice, essa nasconde molte assunzioni semplificative (trasporto rigido ad esempio). Però senza queste assunzioni implicite non è possibile fare nulla, infatti che senso avrebbe misurare con una sbarra deformabile?

Ribaditi questi concetti, fermiamoci a parlare brevemente della determinazione sensibile delle grandezze fisiche.

Ogni apparato di misura ha ovviamente un tempo morto, una precisione finita ed è soggetto alle interferenze dell’ambiente per quanto accuratamente noi possia­mo preparare l’esperimento. Per tale ragione si usa dire che uno strumento di misura è in grado di fornirci solo il valore medio (mediato al limite solo nel tempo) di una data grandezza fisica l (non importa se è un vettore unidimensionale o tridimensionale). Pertanto indicato con l(t) i valori ideali che essa può assumere e con f(t) la distribuzione di probabilità dei valori di l nel tempo, la determinazio­ne sensibile di l sarà:

 

                               (1.2)

 

dove τ è il tempo morto dello strumento di misura. In generale la distribuzione di probabilità non è nota. Essa può essere stimata a partire da un determinato modello dell’esperimento. Il caso ideale si ottiene per f(t)=1. Nel caso poi in cui noi supponiamo che la grandezza l non sia soggetta a fluttuazioni dovute alle interferenze dell’ambiente circostante (cosa che abbiamo modellizzato con l’introduzione della funzione di distribuzione f(t)), per l’inevitabile esistenza del tempo morto dello strumento si ha:

                                     (1.3)

 

Dalla (1.2)o dalla sua versione semplificata (1.3) segue che in generale:

 

                                         (1.4)

 

Per convincerci della validità generale della (1.4) il lettore può fare l’esercizio di applicare la (1.3) nel caso dell’oscillatore armonico unidimensionale dove il valore ideale della grandezza fisica spostamento è dato dalla seguente espressione:

 

l(t) = A sin ωt.

 

Infine vogliamo segnalare come la (1.4) e’ un caso particolare della relazione più generale:

 

                                      (1.5)

 

dove l e m sono due grandezze fisiche arbitrarie (non importa se di dimensione uno, due o tre).

 

6-    Manipolazione delle grandezze fisiche in meccanica classica

Adesso il lettore per potere proseguire oltre è bene che si ricordi la differenza fra determinazione ideale e determinazione sensibile di una grandezza fisica. Infatti mentre le grandezze fisiche e la loro determinazione ideale in meccanica classica fanno parte di uno spazio vettoriale e quindi, verficano ad esempio la proprietà associativa, e cioè

 

(l × m) = (l) × (m)

 

e quindi possono essere trattate come numeri, le loro determinazioni sensibili non la verificano!1 Infatti le loro determinazioni sensibili verificano la (1.5). Tuttavia per quanto riguarda le altre proprietà le determinazioni sensibili hanno lo stesso comportamento di quelle ideali. In sintesi possiamo affermare che mentre le grandezze fisiche e le loro determinazioni ideali verificano un’algebra associativa per quanto riguarda il prodotto, le determinazioni sensibili verificano un’algebra, in generale, non associativa e pertanto non possono essere trattate come numeri.1 Purtroppo noi non abbiamo dimestichezza con entità che verificano un’algebra non associativa per quanto riguarda l’operazione di prodotto. Tuttavia è possibile mostrare che si può passare da un’algebra (in generale) non associativa ad una associativa ma non commutaiva, a noi sicuramente più familiare. Vediamo come. Siano e due elementi di un algebra non associativa rispetto al prodotto, ovvero

Indichiamo con  e  due operatori che agiscono su vettori (appartenti ad uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare). Associamo a questi operatori gli elementi dell’algebra non associativa mediante la seguente corrispondenza:

In pratica la corrispondenza viene istituita associando ad ogni elemento dell’algebra non associativa un operatore di cui esso sia un autovalore. Stabiliamo ora che all’elemento  venga associato l’operatore  (dove il puntino indica una data operazione di prodotto fra operatori) che per semplicità di scrittura scriveremo . Quindi

 

                                          (1.6)

 

Ora se  fosse un autovettore sia di  che di  si avrebbe:

 

 

dove è stato assunto che gli elementi dell’algebra non associativa commutano con gli operatori. Allora per la supposta proprietà commutativa degli elementi e  segue che, nell’ipotesi in cui  è un autovettore sia di  che di :

 

                                      (1.7)

 

Dalla (1.6) e (1.7) segue che:

ma ciò è assurdo.

 

L’assurdo nasce proprio dall’ipotesi che è un autovettore sia di  che di ovvero che  e  posseggano un autovettore comune.

Quindi affinchè si possa istituire una corrispondenza biunivoca fra elementi di un’algebra non associativa (rispetto al prodotto) ed operatori di cui essi siano gli autovalori è necessario che in genere tali operatori non posseggano autovettori in comune, ovvero, che in genere, essi non commutino. Infatti come si può leggere nei testi base di algebra lineare due operatori che commutano hanno autovettori in comune e viceversa (si potrebbe passare ad operatori, detti superoperatori, in cui questa proprietà non risulta verificata, ma per ora questo esula dalle nostre intenzioni).

Concludiamo questo paragrafo osservando che la corrispondenza fra elementi dell’algebra non associativa ed operatori appartenenti ad un algebra non commutativa è biunivoca se e solo se si stabilisce che

 

 

dal momento che un operatore commuta sempre con una sua potenza, il che significa, nella teoria delle grandezze, che . Per ora ci basta sottolineare che è possibile descrivere le determinazioni sensibili con un’algebra non commutativa anche se con alcune importanti prescrizioni.

 

 

7-    Un esempio concreto: l’oscillatore armonico

Adesso vediamo di fare un esempio al fine di rendere più chiaro quanto esposto fino a questo momento. A tal proposito consideriamo il sistema ideale costitutito dall’oscillatore armonico. L’equazione del moto ideale (cioè che lega le grandezze fisiche ideali) è la seguente:

 

 

dove x è lo spostamento, m la massa del punto materiale e k la costante elastica. Posto

 

 

la soluzione dell’equazione del moto soddisfacente la condizione iniziale x(0) = 0 è la seguente:

 

x(t) = A sen ω t

 

A è una costante e rappresenta l’elongazione massima della molla. Ovviamente la velocità è data dalla seguente espressione:

 

 

pertanto l’impulso (cioè la quantità di moto indicata con p) è data dalla:

 

.

 

Siamo in grado adesso di calcolarci alcune quantità. Detto allora τ il tempo morto di uno strumento di misura della posizione e dell’impulso, si ha:

 

   onde   

 

 

   onde   

 

 

   onde   

 

Si osservi come:

 

                                  (1.8)

 

Invece è possibile dimostrare che la legge di Newton è ancora valida ovvero che:

 

                                    (1.9)

 

Da essa segue che l’energia media così calcolata:

 

                                 (1.10)

 

si conserva (infatti basta derivare rispetto al tempo la (1.10)). In questo caso l’energia media è data dalla seguente espressione:

 

 

Si osservi come al limite per τ che tende a zero le grandezze medie corrispondano a quelle ideali e la (1.8) cessa di essere valida. Infine per concludere vogliamo stressare sul fatto che la (1.8), cioè la validità di un’algebra non associativa, esprime il fatto che le grandezze fisiche x(t) e p(t) non sono statisticamente indipendenti.

 

 

Conclusioni

Da quanto detto si evince che prima di affrontare qualsiasi analisi di una data teoria occorre fare una disanima di quale sia la natura delle grandezze fisiche di cui essa tratta. Infatti, come abbiamo dimostrato nell’ambito della meccanica clas­sica, vi è una netta differenza fra le relazioni (cioè equazioni) che intercorrono fra entità ideali e fra entità sensibili. Le prime obbediscono alla comune algebra dei numeri ordinari, i secondi, invece, ad un’algebra non associativa e/o equivalentemente ad un’algebra non commutativa rispetto al prodotto. Ritenia­mo pertanto che queste importanti conclusioni siano propedeutiche per una ana­lisi critica della meccanica quantistica. Come infatti è noto, in tale teoria le gran­dezze fisiche sono descritte da quantità che obbediscono ad un’algebra non commutativa. Pertanto il problema che affronteremo in un prossimo scritto, alla luce di quanto detto, è il seguente: possono essere interpretate le grandezze fisi­che della meccanica quantistica come medie statistiche di grandezze ‘classiche’? Ebbene una parziale risposta è già possibile darla ed è, ovviamente, affermativa dato che abbiamo mostrato come sia possibile rappresentare con un’algebra non commutativa le determinazioni sensibili di grandezze classiche.

 

_____________

Note

 

1 Per il momento non vogliamo eccedere con il rigore matematico. Sottolineamo che tale asserto nasce da un teorema noto come teorema di Gleason.   TORNA