Atti del Convegno “E. Majorana”, Caltagirone, Liceo scientifico “E. Majorana”, 8-9 Maggio 1989, pubblicato su «Le sfide della scienza alla fine del 2° millennio» a cura del Circolo Insegnanti d’Europa.

Pre-print a cura dell’autore.

 

 

SVILUPPO ECONOMICO E CRISI AMBIENTALE

di  Salvatore Notarrigo

 

Una ventina d’anni or sono, un famoso economista americano, J.K. Galbraith, ha criticato il mito degli economisti e dei responsabili governativi delle politiche economiche di individuare lo sviluppo con il prodotto inter­no lordo (PIL). A distanza di molti anni, nonostante le menzionate critiche, provenienti da una fonte insospettata, niente è cambiato nè nelle politiche economiche nè nei criteri degli economisti. E interessante chiedersene la ragione.

Una prima ragione è legata alle nostre abitudini linguistiche; infatti, quando sentiamo il termine sviluppo, automaticamente, lo associamo alle familiari immagini dello sviluppo di un uomo, di un animale, di una pianta. Qui, la natura ha provveduto a far si che nella stragrande maggioranza dei casi, lo sviluppo degli esseri viventi avvenga in modo armonico; per cui, co­me parametro per misurare la crescita, si può prendere una grandezza qual­siasi come il peso del corpo, o la sua altezza o, nel caso delle piante, la quantità di fogliame o altri parametri più facilmente misurabili, avendo fatto l’ipote­si che una crescita patologica sia poco probabile. Infatti nessuno oserebbe dire che un bambino si sviluppi regolarmente se questo fosse nato con la gobba e che questa, con l’età, si sviluppasse in modo abnorme a spese del resto del corpo.

Nel caso dello sviluppo economico può succedere e di fatto succede che la gobba si sviluppi molto di più degli organi e il PIL, analogamente al peso del corpo, non è in grado di avvertirne la differenza.

Faremo vedere ciò, ma per farlo dobbiamo analizzare il processo dello sviluppo economico a partire dai suoi elementi costitutivi, nel farlo, scopri­remo una seconda ragione, molto più profonda, del fatto sopra menzionato che nessuno abbia tentato finora di sostituire il PIL con un altro parametro più adeguato per misurare il grado di sviluppo economico.

È un fatto banale, di mera osservazione empirica, che il processo econo­mico è basato sulla necessità di consumo di determinati beni, che ancor pri­ma che si possano consumare, si devono produrre e distribuire. Nelle comunità primitive i processi di produzione, distribuzione e consumo dei beni necessari alla sopravvivenza erano legati tutti assieme e concentrati nel­la stessa persona o, al massimo entro la cerchia della famiglia, o del dan. La civiltà contadina è paradigmatica di questo tipo di economia.

In una certa epoca storica, tale tipo di formazione economica si è anda­ta evolvendo, passando dall’autoconsumo al baratto, allo scambio e via via alle formazioni mercantili, a quelle capitalistiche fino alle formazioni indu­striali della nostra epoca con il conseguente fenomeno dei monopoli, delle società per azioni e delle multinazionali.

Di pari passo si è andato allargando il raggio di azione del processo eco­nomico, passando dall’individuo, alla famiglia, al clan, al feudo, allo stato nazionale, al continente, per arrivare al mondo intero, come ai nostri giorni; e ciò a dispetto del fatto, come del resto si è verificato nel passato, che l’or­ganizzazione giuridica e amministrativa restasse sempre indietro alla real­tà economica (si vedano, oggi, le difficoltà che si incontrano per creare l’Europa Politica, nonostante che l’Europa Economica esista già da parec­chi anni e che questa, a dispetto degli intralci di natura politica, si è andata sempre più allargando).

Il meccanismo basilare di una tale evoluzione era già stato individuato dagli economisti classici (Smith, Ricardo e Marx) nel passaggio graduale dal valore d’uso dei beni al loro valore di scambio. Per cui i beni si vanno trasfor­mando in merci. Alla fine, quello che è importante per le merci, in quanto ta­li, non è la loro utilità ma la loro profittevole vendibilità. Al giorno d’oggi si vendono con profitto anche veleni terribili come i diserbanti e la droga, per non par­lare delle armi, nucleari e no.

A questo punto ci imbattiamo su di un altro fatto banale e di mera osservazione empirica: per produrre delle merci sono necessarie altre merci!

Questa osservazione banale ha delle conseguenze strabilianti quando esa­minate con gli strumenti della logica e della matematica.

Infatti, per produrre una data merce occorrono altre merci in una pro­porzione rigorosamente determinata dalle tecnologie disponibili in una da­ta epoca. Questo porta, come conseguenza, che nel sistema produttivo, considerato nel suo complesso, risulta inutile e persino dannosa la produ­zione di merci che siano sovrabbondanti ai fini della riproduzione e quindi della crescita economica, in quanto non si otterrebbe altro che l’aumento sconsiderato dei rifiuti con le conseguenti spese per il loro smaltimento, am­messo che si riesca, tecnicamente, a smaltirli.

D’altra parte la sottoproduzione di una data merce porterebbe, nel tem­po, alla crisi economica e al crollo del sistema. Tutto ciò si può studiare con l’aiuto di un po’ di matematica. [Nota: Vedi G. Amata e S. Notarrigo, Energia e Ambiente. - Una ridefinizione della teoria economica., C.U.E.C.M., Catania, 1987]. Ma, nel produrre, distribuire e consumare le merci bisogna, necessariamente, produrre dei rifiuti, anche dannosi e non smaltibili. Se il fine fosse solo la riproduzione e la crescita dei beni utili, si sceglierebbero e si migliorerebbero quelle tecniche produttive che produ­cono meno, e comunque meno dannosi, rifiuti, anche se dal punto di vista strettamente economico potrebbero risultare improduttive ai fini del pro­fitto. Ma in una organizzazione economica il cui fine ultimo è il profitto, non c’è nessuna garanzia che ciò si verifichi e la storia ci dimostra che si verifica esattamente il contrario e la termodinamica, come diremo, spiega teorica­mente questa osservazione empirica.

Con le opportune idealizzazioni della fisica teorica, si può scrivere un sistema di equazioni esattamente analogo a quello che descrive un sistema fisico di atomi in interazioni fra loro. Nel nostro caso gli atomi sono rappre­sentati dalle singole merci e le costanti di interazione dai coefficienti tecno­logici di produzione.

Il sistema risulta estremamente instabile, nel senso che se ci si allonta­na, anche di pochissimo, dal percorso di massima efficienza produttiva, il sistema crolla. È stato sempre un mistero per gli economisti il fatto che il sistema economico reale invece appare sostanzialmente stabile, a parte cer­te crisi ricorrenti, le quali, tuttavia negli ultimi tempi si sono attenuate in intensità.

L’affermazione di Adamo Smith che il sistema economico si autocorregga per il semplice fatto che gli operatori economici, nel cercare di massimizza­re il loro profitto personale, raggiungano, anche senza volerlo, il benessere della collettività, appariva vera empiricamente ma inspiegabile teoricamente.

La spiegazione di questo apparente mistero è stata trovata da K. Marx con l’introduzione di quelle che egli chiamava le leggi coercitive della concorrenza. Marx suffragava la sua tesi con l’aiuto di esempi numerici; ma il risultato si può ottenere in modo del tutto astratto e generale con gli strumenti della matematica moderna; e questa porta alla spiegazione delle leggi di mercato, alla spiegazione del sistema dei prezzi e al loro legame con i valori di scambio.

Già lo stesso Marx, oltre a vedere i lati positivi del meccanismo di svi­luppo ne intuiva anche i lati negativi; ma è stato sfortunato perchè, da una lato, i cosiddetti Marxisti hanno esagerato l’importanza di certi fatti margi­nali connessi alla particolare epoca storica; d’altro lato, i difensori ad oltranza del sistema capitalistico hanno smesso di cercare la ragione della stabilità del sistema perchè non ne apparissero anche i lati negativi e si sono perciò accontentati di assumere come postulato l’affermazione di Adamo Smith. (È bene osservare, a questo punto e a scanso di equivoci, che tali conseguen­ze negative sono connesse alla fisica del sistema e non alla sua conformazio­ne economica, per cui esse si verificano, anche se in forma un pò più attenuata, anche nei paesi socialisti).

Ma, come si dice, tutti i nodi vengono al pettine. Il raggiungimento del percorso di massima efficienza produttiva, sulla base della legge del profit­to, porta, da un lato, alla crescita di tipo esponenziale, dall’altro ad un enor­me produzione di merci inutili o dannose e, in ogni caso, ad un’ancora più enorme produzione di rifiuti. Tant’è che, in tempi moderni, si è dovuto co­niare un nuovo termine per descrivere questo fenomeno: consumismo. Per cui si può concludere che la gobba cresce più del resto del corpo.

Questo è quello che si dice la matematica. Ma vediamo che cosa ci può dire la fisica.

Partiamo dall’osservazione altrettanto banale che per ottenere un pro­fitto bisogna produrre di più (in termini monetari) di quanto si impiega per la produzione e, in ogni caso, avere a disposizione delle merci gratis (mate­rie prime) o ad un prezzo inferiore al prezzo di mercato (energia libera).

Le materie prime vengono fornite gratuitamente dalla natura, sotto for­ma di aria, acqua, terra e altri prodotti naturali. Per tali ragioni gli econo­misti hanno chiamato queste cose con il nome di beni liberi. Il nome è mistificante in vista dell’universalmente accettata (ma a nostro avviso sem­plicemente falsa) teoria che il prezzo delle merci dipende dalla loro scarsi­tà, presupponendo con ciò che i beni naturali siano inesauribili. Naturalmente, oggi possiamo immediatamente constatare che l’aria, l’acqua la terra pulite cominciano a scarseggiare in favore di quelle inquinate e cosi per molti altri prodotti naturali; e per molti di essi la teoria dei succedanei e dell’infinita sostituibilità non funziona affatto.

Per quanto riguarda l’energia (o, come i presocratici avrebbero detto, il fuoco) ai tempi di Marx era ancora rappresentata prevalentemente da lavo­ro umano, ma ora, e in quantità spropositate, è rappresentata dai combustibili fossili le cui riserve non sono inesauribili, per cui si va sostituendo con la fissione e si va pensando anche alla fusione calda o fredda che sia, per­chè, si dice, che sono energie pulite. Ma è banale osservare che l’essere pulite o meno, non dipende solo dalla qualità ma anche, e soprattutto, dalla quan­tità: una stanza con dieci grammi di polvere è pulita mentre con qualche chilo di polvere è sporca e con qualche quintale è inabitabile!

Per l’energia, in modo più specifico, possiamo verificare questo fatto con un esempio molto illuminante: supponiamo di sistemare in un’orbita attor­no alla terra degli enormi specchi, in modo da riflettere sulla terra una con­siderevole quantità di energia raggiante, che altrimenti si sarebbe persa negli spazi interstellari. È ovvio che non possiamo immaginare nessuna forma di energia più pulita di quella del sole! Tuttavia le leggi della fisica ci dicono che necessariamente deve aumentare la temperatura di equilibrio della terra e, se dovesse continuare la legge esponenziale di crescita, dati i consumi attuali di energia, in poco tempo si creerebbero, sul pianeta, condizioni tali da rendere impossibile la vita sulla terra.

Per capire gli effetti straordinari della legge esponenziale di crescita è divertente una storiella che si racconta sul mitico inventore del gioco degli scacchi. Si racconta, infatti, che tale inventore abbia offerto al suo signore la sua invenzione e ne abbia ricevuto la promessa di vedere esaudito ogni suo possibile desiderio. L’inventore disse che si accontentava di avere tutto il grano che si poteva ricavare con le seguenti operazioni: si metta un chicco di grano sulla prima casella della scacchiera, due chicchi sulla seconda ca­sella, quattro sulla terza, otto sulla quarta e dosi via raddoppiando sino alla sessantaquattresima. Il signore rimase sorpreso di tale, a suo giudizio, mo­desta richiesta ma volle accontentarlo lo stesso e chiese ai suoi servitori di provvedere. Ma il contabile, dopo aver fatto i conti necessari, si accorse che per accontentare l’inventore non sarebbe bastato tutto il grano prodotto sulla terra da quel tempo lontano fino ai giorni nostri!

Il problema dell’aumento della temperatura media sulla terra si avve­rerebbe allo stesso modo con qualunque forma di energia, anche con la fu­sione fredda! Ma esso è un problema a più lunga scadenza di quelli che incombono sul nostro pianeta per effetto, anche indiretto, dei consumi ener­getici di qualsiasi grado di pulizia.

In termini di teoria fisica il problema generale si può sintetizzare in un aumento disastroso dell’entropia dell’ecosfera.

Per dare un’idea del concetto di entropia raccontiamo un’altra storiella dovuta a Boltzmann, l’ideatore dell’interpretazione statistica dell’entropia: supponiamo che due asini si incontrino e, a partire da quel momento, prose­guano insieme per un lungo percorso. Si supponga altresì che all’inizio del percorso uno degli asini sia infestato dalle mosche cavalline mentre l’altro ne sia indenne. È ovvio che delle mosche passeranno da un asino all’altro e viceversa, con una probabilità per cui non si vede alcuna ragione che non debba essere costante nel tempo. Ferma restando la probabilità, il flusso di mosche, che all’unità di tempo passano da un asino all’altro, è proporziona­le al numero di mosche che si trovano, in quel momento, su di un determinato asino, meno il flusso in direzione contraria calcolato con questa regola. All’inizio del cammino il flusso sarà in direzione che va dall’asino infestato a quello indenne. Ma, col crescere del numero di mosche sull’altro asino es­so tenderà a zero quando il numero di mosche sui due asini sarà uguale, nel qual caso i due flussi saranno uguali e in direzione contraria a meno delle usuali fluttuazioni statistiche; e tale resterà per tutto il tempo successivo. Il fenomeno è naturalmente irreversibile.

Uno studente che abbia studiato un pò di fisica si accorgerà subito che il processo descritto è esattamente analogo all’espansione adiabatica e irre­versibile di Joule, basterà sostituire le mosche con le molecole del gas e gli asini con i due recipienti connessi da un forellino che fissa il valore della probabilità. All’istante iniziale, l’entropia è bassa; all’equilibrio essa diventa alta, anzi assume il valore massimo. Ad ogni variazione di entropia, operan­do opportunamente, si può far corrispondere una proporzionale quantità di lavoro utile, come nel caso dell’espansione di gas, quando si sostituisce alla parete con il forellino un pistone mobile che possa azionare una ruota.

Il processo di crescita dell’entropia, con il conseguente aumento di di­sordine, di perdita di informazione sul sistema e, quindi, di sempre minore possibilità di estrarre lavoro utile, è del tutto generale, ogni qual volta e per una qualsiasi ragione si introduca un elemento casuale. Questa legge gene­rale viene espressa dal secondo principio della termodinamica che si può riassumere dicendo che in ogni trasformazione, l’entropia interna propria del sistema che la subisce può solo aumentare e mai diminuire, tuttavia po­trebbe diminuire se i flussi entropici da e verso l’esterno sono negativi.

Se aggiugiamo a questo il primo principio della termodinamica o prin­cipio generale di conservazione dell’energia possiamo dedurre che, in ogni trasformazione che voglia mantenere costante la temperatura e il volume del sistema, l’energia in entrata all’inizio della trasformazione deve essere uguale all’energia in uscita alla fine della trasformazione. Tuttavia, a causa delle reazioni chimiche che si svolgono durante la trasformazione, la diffe­renza tra l’entropia iniziale e quella finale può anche essere diversa da zero; se positiva il sistema si avvia verso lo spegnimento, se negativa esso può cre­scere e svilupparsi. Quindi l’energia non è altro che il veicolo di quello che i sistemi hanno realmente bisogno e cioè una variazione negativa della entropia.

La generalità degli assiomi della termodinamica permette di adattarle, con un mero cambio del significato dei simboli anche al processo economi­co, propriamente detto (si veda il riferimento citato alla nota precedente).

Ma, per i sistemi viventi, compreso l’ecosistema terrestre, e anche per le macchine, non tutte le forme di energia effettivamente utilizzabile sono buoni veicoli di entropia negativa. Infatti, col petrolio le macchine funzio­nano ma gli esseri viventi no! Questi hanno bisogno di altre forme di com­bustibile costituite dalle catene alimentari, tutte riconducibili alla fotosintesi clorofilliana operata dalle piante verdi, che è il solo processo conosciuto, ma che solo la natura è capace di operare, col quale si trasforma e si imma­gazzina l’entropia negativa fornita dal sole, che è a sua volta, il solo combustibile dell’ecosistema; gli stessi combustibili fossili ne sono una di­retta provenienza.

Tuttavia, tutte le forme di energia, necessariamente, quando utilizzate e ridotte in calore alla temperatura ambiente, producono entropia o, in al­tre parole, inquinamento!

Anzi, attraverso i processi economici dell’uomo, dal momento che la mac­china economica è accoppiata strettamente alle macchine termiche che reg­gono l’ecosistema, le quantità di energia consumate innescano una miriade di processi fisici chimici e biologici che moltiplicano a dismisura la produ­zione di entropia o inquinamento che si voglia chiamare. Allora il pericolo di disastro ecologico è molto più imminente di quanto si possa attribuire al paventato aumento della temperatura media del pianeta.

Qui conviene fare qualche rapido conto: il flusso di energia solare è di 54 x 1023 Joule all’anno. I consumi energetici mondiali nel 1985 sono stati di circa 3 x 1020 Joule. Tenuto conto della radiazione termica verso gli spazi cosmici, se la legge esponenziale dovesse continuare al ritmo dei decenni pas­sati, trascurando l’effetto dell’aumento dell’effetto serra che, ovviamente, peggiorerebbe le cose, la temperatura media terrestre aumenterebbe di un grado nei prossimi 150 anni, di dieci gradi nel 2150, di 100 gradi nel 2180, di 1000 gradi nel 2210. Questa è la conseguenza della legge esponenziale! [Nota: Negli ultimi anni la crescita economica, a livello mondiale si è praticamente arrestata, con ogni probabilità, per l’aumento esagerato del prezzo dei combustibili rispetto a quello delle altre merci. Vedi riferimento citato nella nota precedente]

Ma abbiamo detto che i pericoli di catastrofe ecologica sono a più breve scadenza. Qui è praticamente impossibile fare dei conti ragionevoli data la complessità dell’ecosistema terrestre e le forti interazioni tra i vari sottosi­stemi, ivi compreso, ed è il più importante ai nostri fini, il sistema economi­co mondiale strettamente accoppiato ai cicli naturali.

Ma sappiamo che i consumi energetici annuali sono più del 10% dell’e­nergia libera accumulata annualmente in biomassa dalla fotosintesi cloro­filliana. La cifra è spaventosa e gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: laghi, fiumi, mari, falde acquifere inquinati. Intere specie scomparse o in via di estinzione, piogge acide, buchi di ozono, aumento dell’effetto serra per effetto dell’anidride carbonica, contaminazioni chimiche e radioattive per in­cidenti vari e sempre più frequenti e chi più ne ha più ne metta. A questo si aggiunga la politica di rapina della natura operata dalla legge del profitto che porta alla distruzione volontaria e deliberata di intere foreste anche di vitale importanza per l’intero ecosistema terrestre, come le foreste dell’A­mazzonia.

L’estrema gravità di questi fatti fa crescere i movimenti ambientalisti, la conseguente presa di coscienza dell’opinione pubblica più larga porta i governi a prendere delle misure che spesso risultano più gravi del male! Valga l’esempio dell’obbligo dei depuratori che depurano l’acqua all’uscita per in­quinare le falde acquifere! Il principio generale dell’entropia ci dice che l’in­quinamento non lo possiamo estirpare, lo possiamo solo spostare da un posto ad un altro e nel far questo dobbiamo inquinare di più.

D’altra parte tutto questo dà origine all’industria del disinquinamento; ma la legge del profitto, necessariamente, la si può solo utilizzare per inquinare di più. Vale ancora il principio dell’entropia!

Nasce il mito della fusione fredda! Esso non è molto diverso, dal punto di vista delle aspettative, dal mito dell’amplificatore. Come tutti sanno, l’am­plificatore è un oggetto che riceve una piccola quantità di energia all’entra­ta e ne fornisce una grande quantità in uscita. Dà l’illusione che si sia violato il principio di conservazione dell’energia per cui ci si dimentica che l’ampli­ficatore non fa altro che controllare il flusso di energia che, tuttavia, si deve già avere da un’altra fonte. Come la metteva un illustre cultore di ciberneti­ca, è come il caso del giovane che aveva risolto il problema di caricare enor­mi pesi sulla nave perchè c’era suo padre disposto a farlo per lui.

Ma, in ogni caso, ammesso che l’amplificatore si comporti secondo la magica illusione, il problema resta sempre quello di smaltire l’inevitabile entropia prodotta; ma questo lo sa fare solo la natura con i suoi tempi lun­ghi; i nostri tempi ormai sono diventati troppo rapidi!

Noi non abbiamo bisogno di più energia, ma di meno! Abbiamo bisogno di più entropia negativa, ovverossia di più ordine e di più informazione!

Ma la legge del profitto lo impedisce. Gli ambientalisti si illudono che si possano prendere provvedimenti opportuni per contenere l’inquinamen­to in termini ragionevoli. Non è possibile! Il sistema crollerebbe. Basti un semplice esempio: se si volesse applicare coerentemente il principio che chi inquina paga e se come parametro si volesse tenere la contabilità in termini di entropia, tutte le industrie andrebbero in fallimento per effetto del secondo principio della termodinamica!

Non c’è proprio niente da fare? Un fatto è certo: gli sprechi del nostro sistema sono enormi! Non sembra che ci sia altra strada che un ritorno a un tipo di civiltà contadina dotata di tutti i confort che la tecnologia moder­na può darci, una volta indirizzata allo scopo. Forse il motto il piccolo è bello non è solo uno slogan pubblicitario!

A questo punto la domanda che più spesso mi sento rivolgere dopo que­sti discorsi è: ma come è possibile questo? E mi si fa una lunga lista di sup­poste impossibilità di principio. La cosa che so rispondere a tale domanda e a un tale elenco (che ovviamente varia a seconda dell’interlocutore) è col racconto di un’antica favola giapponese: C’era una volta un tempo che il Giap­pone era abitato dai ranocchi. Un giorno i ranocchi dell’antica e bellissima città di Kioto sentirono parlare di una grande, moderna e superba città che stava crescendo al di là del Fusijama, di nome Tokio. Si diceva che come Kioto rappresentava il passato, così Tokio rappresentava il futuro.

I ranocchi di Kioto erano curiosi di vedere la nuova fantastica città. De­cisero di inviare un loro drappello in avanscoperta per verificare se valeva la pena di trasferirsi tutti colà. Il gruppo di ranocchi si inerpicò su per il Fusijama. Arrivati in cima si sporsero e guardarono in giù. Dopo avere bene osservato conclusero che Tokio non era per niente diversa da Kioto e se ne tornarono sconsolati verso casa. C’era un uomo che aveva assistito alla sce­na e notò che, avendo i ranocchi gli occhi al di sopra della testa, nello spor­gersi, stavano continuando a guardare verso Kioto!

 

Salvatore Notarrigo