Perché un numero dei Quaderni

 

su Peano e la sua scuola

 

 

Anch’io, da studente, ho sofferto i meccanismi di formazione culturale della nostra scuola e ora li soffro da insegnante di Storia e Filosofia.

Quali erano e quali sono i motivi della mia sofferenza?

Da studente, tranne rarissime eccezioni, mi sentivo considerato dalla scuola come un otre vuoto da riempire di nozioni affastellate come mazzi di verdure messe alla rinfusa, dove ogni tanto si poteva trovare anche qualche sporadico fiore più o meno variopinto.

Qualunque problema mi ponessi ero costretto a rinviarlo a dopo il diploma, per scoprire, in seguito, che dovevo ancora rinviarlo a dopo la laurea, e poi ancora a dopo l’esame di abilitazione, a dopo il concorso a cattedra, a dopo …!

Sembrava che la parola d’ordine fosse non quella di “capire” ma quella di «memorizzare”. Come se la meta fosse quella di vincere un premio in uno di quei programmi televisivi a Quiz, che hanno sempre appassionato i nuovi Sapienti della televisione, i quali hanno detronizzato i famosi Sette della tradizione dell’antica Grecia.

Perciò, i moti studenteschi agli inizi degli anni settanta mi hanno entusiasmato e mi ci sono buttato dentro. Il risultato, purtroppo, è stato solo qualche piccolo cambiamento nell’apparenza, ma un peggioramento sostanziale nell’essenza.

Apparenza ed essenza: ecco due parole magiche che mi hanno sempre tormentato fin dal mio primo impatto con la storia della filosofia!

I vari insegnanti e i moltissimi libri di testo, che mi è capitato di consultare, più che chiarirmi il significato di tali termini mi confondevano ancora di più la mente! Non c’erano due definizioni che coincidessero!

Finché ero studente potevo permettermi di rinviare il momento della comprensione; ma, da insegnante, non potevo più permettermelo, sarebbe stato come tradire le ragioni stesse della mia scelta di pedagogo.

Sentivo dire che la matematica era una scienza esatta, ma l’indottrinamento di matema­tica che mi aveva offerto la Scuola era insufficiente (ora direi dannoso!) per farmi capire il perché e in che cosa consistesse l’esattezza. All’università, nel mio corso di Laurea, la Matematica era parola sconosciuta. Comunque ho voluto provare a studiarla per conto mio per vedere se con l’esattezza avrei potuto risolvere i miei problemi.

Naturalmente l’ho studiata da autodidatta e con la deformazione, ormai acquisita, di insegnante di Storia e Filosofia; per cui alla prima difficoltà che incontravo nello studio mi rivolgevo direttamente ai “Classici” della matematica, andando a ritroso nel tempo fino alla lettura diretta di Archimede e di Euclide.

Ma era chiaro che un tale metodo non poteva funzionare. I “Classici” parlavano un linguaggio diverso dai “Moderni”. Tuttavia ho guadagnato alcune cose.

Ho capito che:

1) Anche nella matematica si annida la Metafisica. Io ormai pensavo che la Metafisica fosse la causa della confusione dei linguaggi che avevo sofferto nei miei corsi scolastici. Ma ora ho cambiato opinione: senza postulati di ordine metafisico non si può costruire nessuna scienza. Il problema non è di bandire la Metafisica ma quello di bandire la Cattiva Metafisica, specialmente quando è inconscia.

Ma questo non significa che io voglia contrapporre una particolare visione del mondo ad un’altra. Niente affatto!

Tutte le visioni del mondo, per me, sono alla pari! La Cattiva Metafisica è, semplice­mente, quella che viene espressa con un linguaggio che, dopo un’analisi logica, risulta priva di alcun significato razionale!

2) Se si vuol sapere che cosa pensava un Classico bisogna leggerlo direttamente. I com­mentatori dei classici gli fanno dire sempre le più grandi corbellerie! Non ho mai capito se volutamente o per incapacità di comprensione! Del resto, per confermare empiricamente la mia tesi, basta prendere a caso due commentatori diversi dello stesso Classico; ne emergeranno due personaggi completamente diversi (tranne quando si sia già affermato un qualche paradigma, dopodicché tutti ripeteranno la stessa cosa). Anche dai traduttori bisogna guardarsi, se, putacaso, i Classici hanno usato una lingua diversa!

3) Non era molto lontano dalla verità il Leopardi quando in una delle sue Operette Morali faceva dire al suo Parini che a causa della malizia degli uomini o di altri impedimenti si verifica non di rado “che alcuni scritti degni di somma lode, e frutto di sudori infiniti, sono perpetuamente esclusi dalla celebrità, o stati pure in luce per breve tempo, cadono e si dileguano interamente dalla memoria degli uomini; dove che altri scritti o inferiori di pregio o non superiori a quelli, vengono e si conservano in grande onore.

In verità io mi persuado che l’altezza della stima e della riverenza verso gli scrittori sommi, provenga comunemente, in quelli eziandio che li leggano e trattano, piuttosto da consuetudine ciecamente abbracciata, che da giudizio proprio e dal conoscere in quelli per veruna guisa un merito tale.

…la moltitudine dei lettori, non solo nei secoli di giudizio falso e corrotto, ma in quelli ancora di sane e ben temperate lettere, è molto più dilettata dalle bellezze grosse e patenti, che dalle delicate e riposte; più dall’ardire che dalla verecondia; spesso ezian dio dall’apparente più che dal sostanziale; e per l’ordinario più dal mediocre che dall’ottimo.”

Ecco, dopo aver raggiunto tali conclusioni mi sono imbattuto in Peano e la sua scuola. Dapprima l’ho conosciuto attraverso i commentatori: ne emergeva un personaggio biz­zarro che aveva dato sì un contributo nella sistemazione assioniatica dei numeri interi, ma dopo si era chiuso su sé stesso, occupandosi di cose assolutamente folli, come quella di costruire un linguaggio universale.

Ma per la conclusione 2), di cui sopra, ho provato a leggerlo direttamente.

Molte verità che in me erano sprofondate nel subconscio, sotto la pressione dei vari paradigmi dominanti, sono invece riemerse. Ma non più in forma dubitativa, per via di un linguaggio inadeguato, ma in forma chiara ed inequivoca.

Anche se Peano non ha mai scritto, esplicitamente, su essenza ed apparenza, finalmente avevo risolto anche il mio drammatico problema.

Mi sono chiesto perché tanto astio, ai suoi tempi (ed ancora oggi!), contro un tale uomo ed i suoi amici.

L’unica risposta razionale che riesco ad intravedere è che la scuola di Peano era ed è scomoda. Se si accettano le sue regole non sarebbe più possibile l’accademismo e quindi cesserebbero le frasi roboanti e contraddittorie e quelle altisonanti e prive di alcun significato reale.

Peano ed i suoi collaboratori hanno portato avanti una profonda battaglia di rinnova­mento specialmente nella scuola e per la scuola. Ma sono stati (necessariamente!) sconfitti. Con i loro metodi si sarebbe potuto decidere, obbiettivamente, chi ha ragione su di una qualunque questione, e questo è assolutamente pericoloso come teorizzava Cicerone!

Per evitare ogni equivoco, devo chiarire che con i metodi di Peano non si può sapere chi dice il “Vero”, ma si può sempre decidere se due affermazioni sono compatibili o con­traddittorie o semplicemente senza senso.

In un mondo, come il nostro, dove il predominio culturale dei mezzi di informazione di massa diventa ogni giorno più insopportabile e più pericoloso (anche per gli allettamenti che può offrire agli “intellettuali” ! e bisogna essere un Leopardi per non soggiacervi!), dove i nuovi mezzi informatici possono essere (e di fatto sono!) usati come strumenti per il lavaggio del cervello (certi fatti che vediamo mi ricordano il 1984 di G. Orwell!), proprio in un frangente dove sono a repentaglio le basi stesse della sopravvivenza biologica del nostro pianeta, mi è sembrato utile riportare alla luce una, tra le più significative, delle Scuole Sepolte.

Devo ringraziare di cuore Salvatore Notarrigo e Angelo Pagano che entusiasticamente hanno voluto contribuire a questo numero dei Quaderni di Mondotre, avendo, anche loro, nella loro esperienza di Fisici, attraverso una diversa ma non dissimile riflessione vissuta, maturato simili convincimenti.

La nostra speranza è di trovare spiriti disposti a continuare la battaglia di Peano, non solo nella scuola e nel mondo della ricerca, come Peano fece, ma anche nella società dove oggi più drammatico appare il pericolo della massificazione sotto l’apparenza di una inau­dita pluralità di voci discordi; tutte, però, finalizzate all’essenza che, come Marx già aveva spiegato, consiste nella massimizzazione del profitto privato che, per le leggi del mercato, si traduce nel maggior potere della concentrazione più potente, e non importa se è la mafia, nelle sue multiformi manifestazioni.

 

 

Giuseppe Boscarino.