Il linguaggio scientifico dei Presocratici
analizzato con lideografia di Peano
Preambolo
La lingua naturale uno strumento essenziale
per risolvere i problemi che luomo deve affrontare nel suo vivere sociale.
Senza di essa non potrebbero esistere n scienza, n poesia, n rapporti
sociali e nemmeno chiacchiere inutili; in una parola, non potrebbe esistere la societ. Ma proprio per tale ragione
le lingue naturali, attraverso il loro lungo e contorto sviluppo nel corso
della storia delle singole comunit linguistiche, vanno accumulando ambiguit,
ridondanze, contraddizioni, paradossi.
Da ci la necessit di creare gerghi
particolari per determinate attivit che a loro volta ed alla lunga
contribuiscono ad aumentare la confusione nella lingua comune; e non a caso fin
da tempi remoti si tramanda il mito della torre di Babele!
Un particolare gergo, creatosi allinterno di
una qualche comunit, pu assolvere il compito per cui s formato solo finch
resta circoscritto a quella comunit ed allo scopo per cui nato. Ma cos
facendo si chiude inesorabilmente allinterno di se stesso e muore con il
cambiare delle condizioni al contorno relative alle attivit per il cui scopo
il gergo si era venuto formando; condizioni al contorno che a loro volta si
vanno modificando anche per effetto dello stesso sviluppo sia dellattivit che
dello stesso gergo.
La riprova di ci il fatto che tutti i
tentativi di creare una lingua universale, come lesperanto o il latino sine
flessione di Peano, ecc., sono miseramente, ma necessariamente, falliti.
Qualche volta il gergo resiste solo perch si
venuto trasformando in un coacervo di dogmi che, pur avendo perso ogni
significato reale, hanno strutturato in qualche modo la comunit che lo usa;
trasformandola alla fine in una setta che continua a scambiarsi messaggi che
ormai risultano incomprensibili ai suoi stessi membri; per cui il gergo assume
la sola funzione di mantenere i rapporti gerarchici che si sono stabiliti
allinterno di essa.
Anche nella matematica e nella logica, la cui
essenza proprio consiste nella corretta manipolazione di simboli, si
verificato il fenomeno prima considerato e nel corso della loro storia
stato necessario rivoluzionare tutto per conseguire reali progressi; per cui,
come giustamente notava il Peano, la storia della matematica e quella della
logica praticamente coincidono con la storia dei loro simboli.
Ma non necessariamente il cambiamento
dovuto allesigenza di progredire perch spesso gli interessi costituiti di
determinati settori della societ impongono il cambiamento proprio allo scopo
di impedire una rivoluzione. E non mai stato facile distinguere la
rivoluzione dalla reazione; anche se ognuno ritiene di essere in grado di
farlo; anche se poi scopre che la sua particolare bipartizione diversa da
quella degli altri; ma la cosa, in genere, non lo preoccupa minimamente perch
sempre pronto a ritenere che gli altri o sono in malafede o sono dei semplici
imbecilli.1
Solo a poche persone riservata la capacit
di distinguere senza farsi distogliere da pregiudizi di parte.
Uno dei rari esempi tra questi
laristocratico Tomasi di Lampedusa il quale fa dire, durante lavanzare della
classe borghese, a uno dei suoi aristocratici personaggi che bisognava cambiare
qualche cosa perch tutto potesse rimanere come prima!
***
Poich il fenomeno di cui stiamo parlando,
cio linstabilit dei gerghi, , al contrario, estremamente stabile,
necessariamente deve esistere un meccanismo sottostante che lo regola (per
evitare equivoci chiariamo che il termine instabilit viene qui usato nel
senso tecnico della teoria matematica dei sistemi complessi e cio nel senso di
una situazione che per un certo tempo si muove cos lentamente da apparire
praticamente ferma finch non incontra un punto di catastrofe che ne cambia
radicalmente laspetto qualitativo).
In generale, per scoprire un meccanismo,
bisogna prima ridurre il fenomeno ai suoi elementi fondamentali ed alle forze
che li sospingono. Per tale ragione, in modo n esaustivo n definitivo,
distingueremo quattro aspetti del linguaggio e due forze contrastanti alle
quali per va sempre aggiunto il principio generale dellentropia.
Il primo aspetto rappresentato dal
linguaggio pratico; questo serve,
in modo (pi o meno) razionale, a risolvere tutti i problemi quotidiani e di
routine. Il suo fondamento costituito precipuamente dalla regola del provare
e riprovare empiricamente cercando di correggere gli errori con la metodologia
del caso per caso.
La forza che lo spinge la necessit della sopravvivenza.
Ed la stessa forza che anche lo spinge a
creare un linguaggio pi sintetico ma pi potente, svincolato dallempiria e
dal caso per caso. Proprio per questa ragione esso devessere astratto e
generale e tuttavia estremamente preciso e quindi capace di affrontare
situazioni nuove, mai prima sperimentate. Questo costituisce il secondo aspetto
e cio il linguaggio scientifico.
Tale forza in avanti automaticamente crea la
sua controreazione (la necessit del progresso):
infatti lestrema precisione del linguaggio scientifico crea una specie di
prigione che impedisce qualsiasi evoluzione. A ci contribuiscono le Vestali
che presto o tardi, magari proprio quando esso ha perduto ogni sua funzione, si
costituiscono a custodi delle regole del linguaggio che perci da funzionali
diventano ferree. Per uscire fuori dalla prigione occorre volare via spaziando
con estrema audacia nel regno dellignoto o comunque del non ancora ben noto.
E cos si viene a creare il linguaggio poetico, terzo degli aspetti
sopramenzionati.
Dallo scontro di queste due forze uguali e
contrarie si genera il quarto aspetto del linguaggio e cio quello delle chiacchiere inutili.
Queste non contribuiscono menomamente al
progresso ma lo ostacolano; e non contribuiscono alla sua precisione ma ne
aumentano la confusione e servono solo ad erigere la torre di Babele.
La causa di ci il principio generale dellentropia: la necessit della precisione, insieme ai veri scienziati, tende a produrre il
fenomeno negativo delle Vestali o falsi
scienziati; daltronde, la necessit
del progresso porta seco, insieme ai veri
poeti, gli istrioni o falsi poeti.
Vestali ed istrioni vengono, spesso a loro
insaputa, rimescolati ed usati dalla necessit della pratica che, nel frattempo trasformatasi in interessi costituiti, sfruttando le spinte contrastanti dei
microinteressi individuali o corporativi diventa la sola legge imperante.
E, allo stesso modo di come si verifica in
termodinamica statistica, la legge del caso trasforma un sistema deterministico
ma reversibile in un sistema ancora deterministico ma apparentemente casuale ed
irreversibile. Venendosi cos a confermare il principio generale dellentropia
secondo il quale i sistemi isolati devono marciare inesorabilmente dallordine
verso il disordine.
E tuttavia le chiacchiere inutili hanno una grande funzione sociale in quanto,
anche se in s non significano niente, servono ad unire i simili con i simili;
creando cos le varie chiese, o corporazioni, o consorterie.
Attraverso queste, molte CHIACCHIERE
INUTILI vengono pomposamente ribattezzate LA SCIENZA e LA POESIA.
Di tanto in tanto, tuttavia, emergono i geni che, rifacendosi alle conquiste del
pensiero passato, ma ormai sepolto dalle infinite diatribe tra falsi scienziati
e falsi poeti (cumulativamente li chiameremo falsi profeti!), tendono a
procurare qualche avanzamento; ed in minima parte vi riescono lasciando la loro
traccia; anche se, subito dopo, i falsi profeti tendono ad annebbiare tutto di
nuovo (magari abusando del nome degli stessi geni che vengono trasformati, ormai che sono morti e non possono
pi reagire, in santoni)
proclamando il nuovo verbo, che ormai falsato, non si riesce pi a
distinguere da quello vecchio che preesisteva al genio; e, arrogandosi il
diritto di diffondere questo nuovo vangelo e distribuendosi le cariche di
vescovi e di papi, giudicano inappellabilmente di chi tra i fedeli sia un
ortodosso o un eretico.
Per tale scopo i falsi profeti hanno la
necessit di forgiarsi la teoria delle PULCI (cio del Progresso Universale
Lineare Continuo Infinito); quando, al contrario, la storia rivela un caotico
succedersi di avanzate e retrocessioni che spesso rasentano di nuovo lo zero
assoluto! Ma la teoria del progresso ininterrotto molto comoda e difficile da
abbandonare; con tale teoria viene permesso infatti ad un moderno, anche se imbecille, di avere sempre ragione su di un antico, anche se un genio; allo stesso
modo dei grandi che pretendono di avere sempre ragione sui bambini, nonostante
la sequenza temporale , nel nostro caso, invertita.
Notiamo che lapparizione dei geni non contraddice lanalogia
termodinamica in quanto questultima scienza prevede anche situazioni lontane
dallequilibrio in cui la riduzione del contenuto entropico del sistema si
ottiene a spese di sorgenti esterne o sfruttando riserve precedentemente
accumulate in una parte di un sistema pi ampio (pensiamo alle riserve di
combustibili della terra come sistema pi ampio della biosfera).
Nel caso del linguaggio scientifico lesterno rappresentato dai contatti
con altre culture e le riserve si
trovano nascoste nelle biblioteche sotto forma di libri che nessuno ha mai
letto perch non servono al paradigma dominante
e di tanto in tanto anzi si provvede con qualche incendio ad arrestare
lincombente pericolo della scienza (questa volta scritta in minuscolo!) che
farebbe sgonfiare tutti i palloni che a forza erano stati gonfiati.
Si dice che il califfo Omar, ritenuto
lennesimo incendiario della biblioteca di Alessandria, abbia detto per
spiegare (naturalmente non per giustificare!) il suo operato: Se i vostri libri
dicono le stesse cose che dico io allora sono inutili; se dicono cose diverse
allora sono dannosi.
***
Nelle discussioni sulla scienza e quindi sul
suo linguaggio si sono fatte molte chiacchiere, data la sua enorme rilevanza
sociale. Ai nostri fini menzioneremo solo due problemi sui quali lungamente si
dibattuto.
Il primo riguarda la nascita della scienza,
il secondo la sua evoluzione. Per entrambi si sono sostenute tesi contrapposte.
Nasce la scienza dalle esigenze pratiche e dal perfezionamento del lavoro
tecnico o non piuttosto dalle religioni e dai miti?
La prima tesi viene prevalentemente sostenuta
da coloro che si mettono in posizione critica nei confronti del sistema; per
costoro gli attori del processo di creazione della scienza sono ovviamente i
lavoratori; da questi si formano i tecnici e da questi, a loro volta, emergono
gli scienziati. La formazione dei sacerdoti o bramini della scienza sono un
fatto involutivo dovuto a cause sociali esterne. I sostenitori di tale tesi
tendono a rispondere al problema dellevoluzione della scienza ricorrendo a
cause esterne e cio alla struttura sociale.
La seconda tesi viene sostenuta
principalmente dagli apologeti del sistema; naturalmente per costoro la scienza
nasce dal mito e dalla religione; gli attori del processo sono i sacerdoti che
hanno il tempo sufficiente per occuparsi di cose che vanno oltre le necessit
immediate. Il problema dellevoluzione della scienza viene quindi risolto
ricorrendo alla dinamica interna della scienza che trascende i mutamenti
delle strutture sociali. Se una societ viene distrutta o si autodistrugge, la
scienza, come anima immortale, si trasferisce altrove e continua a crescere
indisturbata.
Ma non sono solo questi ultimi a sostenere
quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI, anche i primi la sostengono.
Entrambi per sostenerla sono costretti a mutilare la scienza: i primi,
identificando praticamente la scienza con la tecnica, guardano allaccumularsi
delle conoscenze tecniche e trascurano quasi totalmente, almeno nei fatti, gli
elementi teorici che sotto il nome di ideologia
vengono semplicemente derisi; spesso buttando via il bambino insieme
allacqua sporca. Stranamente, poi, lidentificazione della scienza con la
tecnica viene invece diffusa tra le masse proprio dai detentori del potere
economico dopo averne operato solo una piccola, ma non neutrale e non senza
conseguenze, sostituzione: il lavoro viene sostituito con la grande industria
come motore delle conoscenze scientifiche.
Gli apologeti del sistema, invece, per
mutilare la scienza sono costretti a mutilare la storia, classificando come
barbari ed incolti tutti i popoli che non stanno dentro il paradigma,
inventandosi capziose provenienze culturali; come p. es. gli europei hanno
fatto con la cultura greca: tagliando completamente fuori tutte le filosofie
medioevali da cui pi propriamente la nostra cultura immediatamente deriva e
gettando un diretto ma impossibile ponte verso la scienza greca.
La nostra idea che entrambe queste tesi
siano parziali e adialettiche.
Come si verifica in tutti i sistemi
complessi, e la cosa ha una spiegazione matematica, si hanno consecutivi rami
evolutivi, qualitativamente diversi, e intervallati da punti di diramazione
con caratteristiche catastrofiche tali da annullare quasi tutto quello a cui
precedentemente si era dato il nome di scienza. In ogni punto di diramazione
si aprono altri rami possibili, che il futuro potrebbe in teoria percorrere,
diversi tra loro dal punto di vista qualitativo; limboccare luno o laltro
ramo dipende da fattori esterni quasi esclusivamente di natura economica e
sociale.
A partire da tale punto di instabilit,
superata la fase iniziale, in cui ogni volta si riparte praticamnente da zero,
il sistema socio-economico-culturale si stabilizza; anche sviluppando
meccanismi di autoprotezione, e procede con uninflessibile logica interna
fino a che le forze entropiche non lo distruggeranno di nuovo quando si sar
raggiunto il prossimo pulito di diramazione.
In questo scritto vogliamo, in un primo
momento, descrivere levoluzione del linguaggio scientifico tra due successivi
punti catastrofici e per concretezza il materiale empirico lo prenderemo dalla
storia dellevoluzione del pensiero scientifico nato, quasi contemporaneamente,
nella Ionia e nellItalia di alcuni millenni f. Questo per due ragioni: luna
che tale periodo storico abbastanza lontano nel tempo, riducendo cos la
probabilit (anche se non la possibilit!) di lasciarci coinvolgere
completamente nelle passioni ideologiche; laltra ragione che questo periodo
della storia della cultura sufficientemente documentato per poterne azzardare
una descrizione teorica.
Per fare questo, senza incorrere nel sempre
presente pericolo delle chiacchiere
inutili sar prima necessario costruirsi gli strumenti adatti.
Anche se tali strumenti sono stati usati,
spesso con grande maestria, fin dai tempi di Pitagora e, molto probabilmente
anche prima, il loro perfezionamento e la riflessione su di essi opera molto
recente e quasi esclusivamente dovuta a Peano ed alla sua scuola.
A tal riguardo potrebbe apparire strano il
fatto che tale scuola sia oggi quasi completamente dimenticata ed al suo posto
si sia affermata una sua derivazione distorta ed assurda (come andremo notando
nel seguito) iniziata dal Russell; ma alla luce delle considerazioni precedenti
il fatto, pi che strano, appare invece assolutamente naturale e difficilmente
si sarebbe potuto immaginare il contrario (vedi in proposito larticolo di
Boscarino in questo stesso numero dei Quaderni che sar indicato nel seguito
colla sigla PF).
Dal momento che, oggi, lideografia di Peano
praticamente sconosciuta ed i simboli da lui inventati vengono usati con
significati del tutto diversi o, comunque, distorti e poich essa avr un ruolo
fondamentale per sviluppare il nostro discorso, questa sezione ad essa dedicata
assumer, necessariamente, una forma piuttosto didascalica.
Dal punto di vista filosofico, i contributi
fondamentali di Peano alla scienza della logica (non considerando i molti ed
importantissimi contributi da lui apportati dal punto di vista pi
specificatamente tecnico) sono due: la distinzione tra i diversi significati
che si nascondono sotto lunico termine rappresentato nella lingua comune dal
verbo essere ed il chiarimento
concettuale dei termini fondamentali e del significato di quello che oggi si
chiama un sistema deduttivo.
Cercheremo di capire, in questa sezione,
lessenza di tali contributi straordinari ed estremamente fecondi.
Consideriamo le seguenti proposizioni della lingua italiana:
1) Mongibello lEtna.
2) Il mais granoturco.
3) LEtna il vulcano pit alto.
4) Socrate mortale.
5) Socrate un uomo.
6) Aristotele un uomo.
7) Luomo mortale.
8) Il cane un animale.
9) Qualcosa mortale.
10) Qualcuno mortale.
Secondo la logica grammaticale, le dieci
proposizioni sono tutte della forma: soggetto,
copula, predicato.
Al contrario, i loro significati reali (cio quello che effettivamente significano,
indipendentemente dalla forma nella quale sono state espresse) sono tutti
diversi.
Tuttavia, dal punto di vista della logica, alcune hanno significato formale (cio la forma
logica in cui sono espresse, indipendentemente dal loro, eventuale, significato reale) identico ed altre, invece,
diverso:
Nella 1), i termini a sinistra e a destra della copula sono entramnbi degli individui 2
Nella lingua italiana gli individui sono, generalmente,
rappresentati da nomi propri (propri ad un solo e ben determinato individuo).
Nella 2), i termini a sinistra e a destra della copula sono entrambi delle propriet.
Nella lingua italiana le propriet sono, generalmente, rappresentate da nomi comuni (comuni
a pi individui).
E, tuttavia, le 1) e 2) hanno qualcosa in
comune che li distingue formalmente dalle altre. Infatti, in entrambe, si
intende dire che i due termini a
sinistra e a destra della copula, anche se diversi tra loro, hanno identico significato (reale); in altre parole,
sono due nomi diversi per la stessa cosa; il che implica che lun termine si pu sostituire allaltro, e
viceversa, in ogni contesto in cui compaiano; purch detti termini intendano
riferirsi ai loro significati e non ai segni stessi.
Per esempio, se dico mais ha quattro lettere non posso sostituire al termine mais
il termine granoturco. E
non posso sostituire mais a granoturco nella proposizione:
granoturco una parola composta dalle due parole grano e
turco.
Possiamo convenire di scrivere, al posto
della copula, il segno =
e cos le 1) e 2) diventano:
Mongibello = Etna
mais = granoturco
secondo lo schema di proposizione:
(F1) a
= b,
da leggere: a identico a b;
ovvero a significa b; dove a e b sono due simboli che
rappresentano due termini generici. Cio termini dotati di un significato (e di
uno solo) ma che non ci interessa di sapere perch noi siamo interessati solo
alla relazione che li lega, denotata dal segno =.
Nelle 3), 4), 5), 6), invece, a sinistra ci
sta un individuo e a destra una propriet. Questo basterebbe a dirci che
la copula, in questo caso, non pu significare lidentit dei due termini. Di
fatto, in queste proposizioni, si vuole intendere che a sinistra della copula
ci sta un individuo che ha la propriet nominata a destra.
Converremo, in questo caso, di indicare la
copula semplicemente con il segno e scrivere:
Etna vulcano pi
alto
Socrate mortale
Socrate uomo
Aristotele uomo.
Secondo lo schema:
(F2) a
b,
da leggere: a un b ovvero: lindividuo a ha la propriet b.
Nelle 7) e 8), a sinistra e a destra della
copula ci sono due propriet, come nella 2), ma i due termini non sono
reciprocamente sostituibili in quanto il primo esprime un concetto che parte
del secondo; o, in altre parole, la prima propriet implica la seconda ma non
viceversa.
Per questaltro significato del verbo essere,
useremno il segno secondo
lo schema:
(F3) a
b,
che leggeremo: la propriet a
implica la propriet b, ovvero la
propriet a include la propriet b o, ancora: gli individui che hanno la propriet a sono inclusi tra gli individui
che hanno la propriet b.3
Infine, nelle 9) e 10), a sinistra della
copula ci sono degli individui e a destra delle propriet, come nelle 3), 4),
5) e 6), ma lindividuo non rappresentato da un nome proprio ma da un pronome
indefinito che, quindi, indica un individuo generico e le proposizioni, pi che
asserire qualcosa sugli individui, asseriscono qualcosa sulle propriet stesse.
In particolare, con la 9) si asserisce che la
propriet mortale non una
propriet assurda, cio senza individui che la possano avere; ma, al contrario,
non affatto impossibile lesistenza di individui che hanno la propriet di
essere mortali.
Con la 10) si vuole dire la stessa cosa, solo
che, nellaccezione comune, il termine qualcuno,
a differenza di qualcosa, vuole
indicare un uomo; per cui la 10) si
potrebbe esprimere con, qualcosa uomo
e mortale. Se indichiamno con il segno ∩ la congiunzione e, si pu formare la propriet composta: uomo ∩ mortale e la 10) si riconduce allo schema 9) che possiamo simbolizzare con:
(F4) $ a ,
dove a rappresenta una
propriet (eventualmente, anche composta),
ed il segno $ indica che possono esistere individui che hanno
tale propriet.
La (F4)
si pu leggere: vi sono degli a o,
anche, vi almeno un a, ecc.
Le (F1), (F2), (F3), (F4) individuano quattro significati diversi del verbo
essere che necessario distinguere formalmente in un sistema deduttivo per evitare conclusioni assurde a partire da
determinate premesse.
Pu essere talvolta utile esprimere anche le (F1),
(F3), (F4) sotto la forma della (F2), cioe: soggetto, copula, predicato.
Ci si pu ottenere stipulando opportune
convenzioni:
Se conveniamo di indicare con il segno ι la propriet di essere identico a qualcosa, allora formalmente le (F1) ed (F2) si possono esprimere con la formula:
(F1) a
ι b,
che si pu leggere: a
identico a b (cio, a ha la
propriet di essere identico a b).
Intendendo, quindi, che i termini logici = e ι hanno lo stesso
significato. Cio il segno = unabbreviazione dei due segni accostati e ι .
Cio:
(A1) = .=. ι
Notiamo che nella (A1) i due segni = e .
= . hanno lo stesso significato reale ma un diverso significato formale, in quanto il primo
appartiene al linguaggio simbolico che si ha intenzione di costruire (linguaggio
oggetto); mentre il secondo appartiene al
linguaggio che, necessariamente, dobbiamo usare per costruire il primo (metalinguaggio).
Se conveniamo di indicare con il segno la propriet di implicare la propriet b (quindi b
una propriet di propriet)
, possiamo scrivere:4
(F3) a
b .
Si pu, quindi, asserire:
(A2) .=. .
Nella (F3),
la propriet a assume la funzione
logica di individuo rispetto alla
propriet di secondo livello b .
Quindi se ne deduce che i concetti di individuo e di propriet, tranne casi particolari, hanno valore relativo e non
assoluto; cio se un termine ha il ruolo di propriet
in una determinata proposizione essa pu assumere il ruolo di individuo in unaltra, come in: Socrate mortale e mortale propriet.
Anche la (F4)
pu essere messa nella forma (F2); per
far ci conviene introdurre la propriet
assurda che non pu essere posseduta da alcun individuo e rappresentata
dal segno .
Con luso di tale segno si pu esprimere
lidea che una data propriet a
assurda o contraddittoria scrivendo:
(F5) a =
che per la decoposizione dellidentit si pu scrivere:
(F6) a
ι
che si pu anche leggere: non
possono esistere individui che possiedono la propriet a.
Se conveniamo di usare il segno ~
per negare una propriet, cio per indicare la propriet complementare della
propriet data, (nel nostro caso, la ι , cio la propriet di essere identica alla propriet assurda) potremo scrivere:
(A3) $ a .=. a ~ ι
.
cio: dire che vi sono degli a
la stessa cosa che dire che la propriet a non identica alla propriet
assurda.
importante
notare che lidea di esistenza in
logica coincide con lidea di esistenza
possibile. Altri significati del termine sono propri delle scienze
empiriche e devono essere descritti e menzionati esplicitamente come
particolari propriet di determinati individui.
Notiamo, ancora, che la distinzione tra i
significati del verbo essere espressi
dai due termini logici e di estrema importanza;
in quanto, oltre ai diversi significati reali, i due segni hanno propriet
formali molto diverse tra loro.
Infatti consideriamo le due proposizioni seguenti:
0a) Socrate mortale,
0b) gli italiani sono dotti.
Il verbo essere nelle due frasi precedenti ha
un significato logico diverso come si
pu subito mostrare.
Notiamo prima che, tra gli innumerevoli
altri, ci sono due modi diversi per negare le due frasi:
1a) non vero che Socrate
mortale,
2a) Socrate immortale (= non mortale);
1b) non vero che gli italiani
sono dotti,
2b) gli italiani sono ignoranti (= non dotti).
Le proposizioni
1a) e 2a) hanno ovviamente lo stesso significato
(a meno che non si cambi il significato di immortale riferendosi, come spesso si usa, non alluomo ma alla sua
opera od al suo nome); mentre, altrettanto ovviamente, le 1b) e 2b) hanno significato diverso.
La 1b) ci dice che possono esserci degli
italiani che sono ignoranti ma non nega che ci possano essere degli italiani
dotti; la 2b) invece nega esplicitamuente anche questa seconda possibilit.
Spesso per evitare ambiguit si preferisce dire al posto della 1b): non vero che tutti gli italiani sono
ignoranti.
Tutto questo ci fa vedere che il verbo essere, nei due casi 0a) e 0b), assume significato diverso; infatti non
possibile pensare che ammesso, per ipotesi assurda, che abbia lo stesso significato si debba comportare in modo
diverso quando le due proposizioni vengano
sottoposte alle stesse possibili operazioni
di negazione.
Esprimeremo le frasi precedenti in modo pi
preciso con:
0a) Socrate mortale,
0b) italiano dotto,
1a) Socrate ~
mortale,
2a) Socrate ~ mortale,
1b) italiano ~ dotto,
2b) italiano ~ dotto.
Abbiamo abbreviato con i segni ~
e ~ la negazione delle relazioni5 e
rispettivamente (il che
equivale a negare le proposizioni stesse
nella loro globalit); e con i segni ~ e ~ la negazione dei soli
termini di destra della proposizione, cio
mortale e dotto rispettivamente.
Si pu quindi scrivere in modo generale ed
astratto, cio formale:
~ .=. ~
Cio:
i segni ~ e
~ hanno lo stesso significato.
E, daltra parte:
~ ( ~ .=. ~ ) .
Le parentesi servono solo ad indicare che il
primo ~ si riferisce a tutta la proposizione,
compresa tra le due parentesi, retta da
.=. .
Si pu evitare luso delle parentesi
scrivendo:
~ . ~ =. ~ ;
o, pi semplicemente, abbreviando:
~ = con il segno :
~ . . ~ .
Cio le ultime tre, con segni diversi, dicono
tutte che:
non vero che ~ e ~ hanno
lo stesso significato
o equivalentemente:
~ .non significa. ~ .
Pu risultare utile fare anche le
abbreviazioni al posto di ~ e al posto di ~ scrivendo:
.=. ~ .=. ~
ed invece si avra:
.=. ~ .
. ~
In matematica si dice brevemente che la coppia di segni ~ e gode della propriet commutativa mentre per la
coppia ~ e tale propriet non vale.
Unaltra importante diversit formale tra i
segni e si pu notare dai seguenti
esempi:
dalle asserzioni
luomo mortale
e
ogni mortale un essere vivente
segue necessariamente lasserzione:
luomo un essere vivente
(sillogismo).
O, detto in modo pi preciso:
uomo
mortale e mortale
essere vivente implicano: uomo essere
vivente.
O, in simboli: (a b) ∩ (b c ) .. (a c) ;
Luso di tra proposizioni,
col significato di implica (come
quello che nellultima formula sta tra i due punti), invece che tra propriet, sar chiarito in seguito.
I matematici dicono che la relazione gode della propriet transitiva. Propriet che
invece non vale per la relazione ; infatti da Socrate mortale e mortale una propriet non segue che Socrate una propriet o in scrittura
pi precisa: da Socrate mortale
e mortale propriet
non segue Socrate propriet.
Ancora, banalmente: mentre gode della propriet riflessiva, p.es.: uomo uomo; non avrebbe alcun senso dire
uomo uomo o Socrate Socrate;
tuttavia potrebbe avere senso dire: un
uomo uomo: perch con il termine un uomo si
vuole intendere un individuo generico
del concetto di uomo, cio, che ha
la propriet di essere uomo.
***
In un sistema
deduttivo si deve distinguere tra termini
primitivi di cui gi se ne suppone noto il significato reale, e termini
derivati di cui, invece, se ne d una definizione
nominale, a partire dai termini
primitivi, mediante luso dei vari termini
logici.
Una definizione
nominale non dice niente sui significati
reali dei termini definiti, almeno direttamente. Essa si riferisce solo ai
nomi.
La forma pi usuale :
(F7) a
. = . b,
dove a il nuovo termine
(o complesso di termini) da definire e b il complesso di termini, di
significato gi noto, che danno il significato
formale di a e,
indirettamente, anche il suo significato
reale a partire da quello proprio di b.
Un esempio :
pentagono . =. poligono con cinque angoli.
Dove si suppone noto il significato reale di
tutti i termini a destra dellidentit e si intende introdurre il nuovo termine
pentagono come semplice abbreviazione
dei termini a destra di . = . .
Il significato
reale dei termini primitivi (o alloccorrenza, come ulteriore
schiarimento, anche di quelli derivati) si pu dare solo mediante una descrizione, eventualmente corredata
da opportuni esempi.
Anche se praticamente impossibile
circoscrivere il significato di un termine, mediante una descrizione, in modo da ridurre a zero ogni ambiguit, tuttavia,
nella pratica scientifica, si riesce a ridurre le ambiguit a limiti pi che
soddisfacenti.
Del resto, in modo del tutto spontaneo,
quando un linguaggio scientifico si viene formando, i suoi utenti, anche se
nel parlare comune attribuiscono significati diversi ai singoli termini,
devono, allinterno del contesto della loro formalizzazione mettersi necessariamente
daccordo per restringerne il significato al loro nucleo comune; fermo restando
che fuori dal contesto ognuno pu dare ad essi il significato che pi gli
aggrada purch non affermi in questo caso di fare affermazioni scientifiche.
Senza che per questo si debba svalutare il
linguaggio non scientifico; e questo non solo perch, come gi detto nel Preambolo, si annullerebbe il valore
della poesia la quale si basa essenzialmente sullambiguit dei termini (il cui
scopo quello di suggerire, attraverso i canali dellemotivit, significati
pregnanti sul piano esistenziale) ma anche perch il linguaggio scientifico
troppo restrittivo e, usato indiscriminatamente, verrebbe a costituire una
prigione e si trasformerebbe nel contrario della scienza stessa impedendo
qualsiasi reale progresso scientifico. Una parola di moda che comprende anche
questo fenomeno di sociologia della scienza paradigma.
Si pu quindi dire che il linguaggio
scientifico serve per capire ed il linguaggio poetico serve per progredire; ma,
dialetticamente, non si pu progredire senza prima avere capito e non si pu
capire senza tentare di progredire. Ecco perch i veri scienziati sono anche in
parte poeti ed i veri poeti sono anche in parte scienziati. Non a caso i grandi
scienziati del nostro lontano passato scrivevano la loro scienza in versi
poetici come Parmenide ed Empedocle, per citare solo quelli di cui ci sono
pervenuti ampi frammenti.
***
Dopo che si siano definiti i vari termini e
se ne sia ristretto il significato in modo da ridurre le ambiguit al minimo
possibile, bene, anche se non strettamente necessario, inventare per essi dei
simboli adatti creando cos unideografia
cio una corrispondenza biunivoca tra lidea
che si vuole rappresentare ed il segno
introdotto.
Il procedimento che abbiamo descritto per
restringere il significato dei termini del discorso costituisce, appunto, la descrizione del termine. Esso lunico
modo possibile per assegnare al termine un significato
reale (nel seguito, spesso, lo indicheremo semplicemnente con significato) in quanto distinto
dalleventuale suo significato formale (nel
seguito, spesso, indicheremo questultimo semplicemente con definizione). Appunto per questo,
spesso, la descrizione viene anche
chiamata definizione reale del termine,
da distinguersi dalla definizione
nominale che fa astrazione dal significato
reale e ne d invece il significato
formale (vedi PF).
Poich il segno, che viene formalmente
introdotto per designare il termine, di cui se ne sia gi data la descrizione, in generale diverso dai
pi o meno corrispondenti termini del linguaggio comune sar pi facile evitare
gli usuali slittamenti semantici che conducono a paralogismi ed a paradossi. Ed
per la stessa ragione che la corrispondenza tra idee e segni deve essere
biunivoca (cio ad ogni segno deve corrispondere un solo termine e viceversa);
per cui nel linguaggio veramente scientifico non dovrebbero ammettersi n omonimi n sinonimi; a meno di utili e non ambigue eccezioni, come quando
per quanto riguarda i sinonimi possa risultare utile lintroduzione di un
nuovo segno che stia come semplice abbreviazione di una pi lunga sequenza di
segni precedentementi introdotti, in tal caso si parla appunto di definizione nominale; come nellesempio
citato: pentagono = poligono con cinque angoli o per quanto riguarda gli
omonimi lassegnare lo stesso segno a relazioni ed operazioni che siano
correlate da una corrispondenza tra insiemi diversi di oggetti (cio nei casi
in cui i matematici parlano di isomorfismo
o, pi generalmente, di omomorfismo),
finch non sorgano pericoli di ambiguit.
Anche una macchina, che sia in grado di
riconoscere i segni che corrispondono alle lettere dellalfabeto, pu essere in
grado di sostituire alla parola pentagono
tutte le parole che lo definiscono (che stanno a destra del segno =) e
viceversa; e ci anche se non conosce menomamente il significato reale delle parole che tratta. Del resto proprio per
questo che un computer riesce a fare tutte quelle belle cose che tutti sanno, nonostante
non capisca niente dei significati reali delle parole che elabora! Tuttavia tale macchina funziona molto meglio di qualsiasi uomo per quanto
riguarda i significati formali appunto perch non condizionato dai
significati reali e bada solo alle regole di trasformazione che sono state
memorizzate una volta per tutte nel suo programma e per di pi di gran lunga
pi veloce!
Il linguaggio del calcolatore, quello della
logica formale e della matematica hanno questo in comune, cio quello di realizzare
il sogno di Leibniz attuato compiutamente dal Peano, di poter decidere ogni
diatriba semplicemente dicendo calculemus
e procedendo formalmente alle necessarie logiche deduzioni a partire dalle
definizioni formali (cio nominali) date
e dagli assiomi anchessi formalizzati ed esplicitamente presupposti.6
Tuttavia non da pensare che il calcolatore
possa fare della matematica o stabilire gli assiomi della logica; non fossaltro
perch non ne capisce i significati reali; esso pu solo effettuare dei
calcoli, una volta che il matematico e/o il logico gli abbiano fornito
definizioni, assiomi e regole di trasformazione; ed per questo che non
sbaglia! (naturalmente limitatamente al suo compito abbastanza ristretto che,
per lappunto, consiste in quello di calcolare
o, pi generalmente, di elaborare).
Il matematico ed il logico invece possono
sbagliare perch non facile individuare tali inputs per il calcolatore non essendo
facile liberarsi da pregiudizi metafisici o di ogni altra natura; a parte
losservazione banale che quello dei logici e dei matematici (o almeno
dovrebbe essere) un lavoro creativo e non di semplice elaborazione. Ne consegue
che il calcolatore pu fare quasi tutto, anche dimostrare teoremi, ma non pu
sostituire il matematico; e pu fare
financo le poesie ma non certamente potr fare mai il poeta! Naturalmente finch non si voglia ridefinire il ruolo di
matematici e poeti come spesso avviene e ci capita, e non di rado, anche a
tali medesimi attori come si desume leggendo certe loro enunciazioni o
guardando a certe loro pratiche.
***
Esempi di definizioni
reali sono appunto quelli che abbiamo dato descrivendo il termine definizione
nominale e quelli che andremo facendo per descrivere il termine stesso di definizione reale. In modo pi formale,
possiamo descriverle cos:
Supponiamo di voler descrivere un termimie che chiameremo x,
supponiamo che a, b, c, d, e,
f, ecc., siano delle propriet di
cui, anche se in modo non privo di ambiguit, ne conosciamo gi il significato;
allora cominciamo a precisare che: x e un a o un b ed anche un c ma pu essere anche un d o un e ma non un f. E
cos seguitando, in modo pi o meno analogo, usando le particelle un, e, o, non, ... , o altre
particelle che abbiano la stessa funzione, cio quella di connettivi operanti
tra le varie propriet di partenza; e
adducendo, eventualmente, opportuni esempi.
Ma gi possiamo notare che le particelle:
un, ed, o, ma, non ecc.
sono anchesse dotate di una notevole dose di ambiguit. Infatti, quando usiamo
la disgiunzione o inserita tra le propriet d ed e, la dobbiamo intendere in senso inclusivo o in senso esclusivo?
o, in altre parole, intendiamo riferirci ad una qualunque delle tre
possibilit, per x, di essere: un d
senza essere un e, un e senza essere un d o, anche, un d e
nello stesso tempo pure un e? oppure
vogliamo escludere lultima possibilit cio che x possa avere
entramnbe le propriet d ed e insieme?
E la stessa congiunzione e (o ed)
che significa?
Spesso nella lingua comune la si usa col
sigmiificato della o inclusiva, come
quando al botteghino del teatro incontriamo un cartello con su scritto: Riduzione per militari e studenti.
Certamente si vuole dire che per avere la riduzione bisogna essere o militari o studenti o entrambe le cose; e non certo che bisogna essere contemporaneamente sia militari che studenti, cio studenti che fanno il militare o militari che sono studenti.
Dellambiguit di un
abbiamo gi detto.
Allora per evitare ambiguit scriveremo un
segno speciale per ogni possibile significato, evitando i pericoli
dellomonimia; p.es:
U per la disgiunzione
inclusiva,
∩ per la congiunzione,
~
per la negazione, ecc.
Poi, potremmo scoprire che i segni introdotti non sono tutti
indipendenti e che alcuni di essi si possono definire, questa volta nominalmente, come combinazioni degli
altri; p.es. la disgiunzione esclusiva si
pu rendere con la formula: (d ∩ ~ e) U (~
d ∩ e); cio: d e non e o non d ed e. Risparmiandoci,
in questo modo, lintroduzione di un nuovo segno.
(Per ragioni puramente estetiche nella presentazione grafica delle formule
scriveremo qualche volta, al
posto di ~a; per cui la
formula precedente diventa ).
Daremo ora alcuni significati reali di termini che useremo in seguito; altri (spesso
in nota) li daremo al momento opportuno, a meno che non emergano chiaramente
dal contesto. Ovviamente, assumeremo noti (almeno approssimativamente) i
significati delle parole che useremo per descriverli.
Il risultato finale potrebbe risultare diverso da quello a cui siamo
abituati. Ma poco male, se abbiamo guadagnato in precisione potremo
sopportarne il sacrificio. Naturalmente, se alla precisione che siamo
interessati! Ma purtroppo senza precisione semantica non si pu dedurre un bel niente ma si potr fare
solamente una gran confusione.
Chiameremo segno un singolo atto della percezione sensibile,
indipendentemente dal fatto che tale atto abbia per noi umi significato o meno;
quindi anche uno scarabocchio o un rumore qualsiasi sar per noi un segno. (Nel dizionario tale
significato incluso tra i possibili ma non il solo e nemmeno quello
originario o etimologico).
Chiameremo termine un segno che
invece abbia per noi un significato ben definito come: Socrate, uomo, animale,
u, ecc. Quindi, secondo le superiori descrizioni, tutti i termini sono segni, ma non tutti i segni sono termini.
Chiameremo simbolo un segno dotato s di significato ma non
fissato; cio si suppone che il segno abbia
un significato ma non ci interessa di conoscerlo. Come nelloperazione formale d
U e in cui si suppone che i simboli d ed e abbiano un significato ma non ci interessa di conoscerlo perch
noi siamo interessati, invece, solo alla loro relazione formale individuata dal
termine U.
Spesso si indicano con i segni costante e variabile
i significati che noi invece abbiamo attribuito ai segni termine e simbolo. Noi
lo eviteremo perch si sono dimostrati ambigui. Non siamo sicuri che la nostra scelta
potr risultare migliore ma, al momento, la giudichiamo tale. Sarebbe bene
inventare dei segni del tutto nuovi e convenzionali, ma quasi sempre, come gi
adombrato nel Preambolo, una
precisione eccessiva riduce la facilit di comprensione immediata e questo,
alla fine, potrebbe provocare leffetto opposto.
Per tutti i termini che abbiamo descritto,
comunque, la confusione , attualmente, massima anche nel linguaggio della
logica, per non parlare degli altri linguaggi scientifici; quindi non c soverchio
pericolo nellusare un nome con un significato particolare, purch
convenientemente descritto.
Useremo il termine proprieta come sinonimo di predicato,
di nome comune, di attributo, di aggettivo, ecc.
Useremo, invece, il termine individuo come sinonimo di cosa, di oggetto, di nome proprio,
ecc.
Naturalmente con lintesa che i termini
precedenti devono essere usati nei significati appropriati, cio quando i
termini sopraelencati rappresentino effettivamente dei sinonimi, quindi, devono
essere usati con quel significato che lintersezione di tutte quelle proprieta alle quali nella lingua comune
si fa riferimento usando tali termini, come abbiamo chiarito nel descrivere le descrizioni.7
Come gi detto, questo lunico modo con cui si pu restringere il significato di un dato termine, data lambiguit del linguaggio naturale.
Abbiamo chiamato tale processo la descrizione o definizione reale del termine.
Per esempio, come notava il Padoa, illustre
collaboratore di Peano, non potremo mai ottenere il significato reale del termine significa
mediante una sua possibile definizione
nominale perch dovremmo scrivere:
significa .significa. (un certo complesso di segni).
E, una volta trovato tale complesso di segni
che definisce la parola significa, ne avremmo gi dovuto conoscere il
significato per poterlo riferire alla seconda apparizione di significa. In altre parole, il
formalismo della logica non si occupa di significati
ma solo di relazioni formali tra termini dotati di significato. Anche se
molti sembrano pensare esattamente il contrario e cio che si occupi del
significato di relazioni formali tra termini senza significato!
Abbiamo scritto delle frasi come:
a) Socrate mortale, uomo mortale, mais = granoturco,
ma anche delle formule come
b) x a , x a , x = a .
Nelle a) compaiono oltre ai termini logici , , = anche i termini extralogiciSocrate, uomo, mortale,
mais, granoturco.
Queste sono proposizioni con un valore semantico ben definito e non fanno parte
della logica.
Le formule b) invece sono proprie della
logica la quale tratta solo schemi
formali che stanno per proposizioni arbitrarie.
Quando sar necessario essere pi precisi li chiameremo schemi di proposizioni invece che proposizioni. Peano li chiama proposizioni
condizionali per distinguerle dalle prime che chiama proposizioni categoriche. La terminologia attuale varia.
Quindi, negli schemi di proposizioni, oltre ai termini logici compaiono solo dei simboli, che non hanno significato definito, espressi usualmente
con singole lettere minuscole dellalfabeto (possibilmente dotate di indici);
ma tali simboli non sono senza significato; ch uno necessariamente lo devono
avere anche se al formalismo della logica non interessa conoscerlo; gli basta
sapere che uno (ed uno solo!) ce labbiano. Tali simboli, come gi detto,
vengono chiamati (tradizionalmente ma non molto opportunamente) variabili.
Il nome variabile
poco opportuno perch, preso alla lettera, potrebbe significare che noi
potremmo effettuare, lungo il corso dun ragionamento, degli slittamenti
semantici per cui dalla formula sillogistica: a b e b c implica a c, potremmo
concludere assurdamente: Elisei venti e venti numero implica Elisei numero; cio dal momento che gli Elisei sono venti e venti un numero ne segue
che gli Elisei sono un numero!
Anche formule del tipo x numero o simili, cio quelle in cui compaia un qualunque termine extralogico, non fanno parte della logica anche se possono
fare parte di altre scienze formalizzate come laritmetica. Nei libri di
logica, di tradizione russelliana che poi sono la stragrande maggioranza,
questa regola non viene osservata arrivando a conclusioni paradossali, perch
si mantiene lillusione che tutto, ed in particolare laritmetica, sia
riducibile a logica; identificando la logica con la metafisica, come chiarito
in PF.
Non necessario nemmeno menzionare
(nellassiomatizzazione della logica) i termini propriet ed individuo e
non interessa nemmeno conoscerne il significato, ammesso che ne abbiano alcuno
oltre quello formale.
Il decidere se hanno un significato non
puramente formale non una questione di facile soluzione essendo un problema
di metafisica.
Non stiamo usando tale ultimo termine nel suo
senso deteriore ma semplicemente per dire che la questione non risolvibile n
con la logica, n empiricamente; ma che bisogna necessariamente ricorrerre a
postulati preliminari di ordine teoretico dei quali, nel costituire qualunque
scienza, logica compresa, non si pu fare assolutamente a meno.
Ci costituisce la pi grande costernazione
dei neopositivisti che, pur di non ammettere questa banale verit, finiscono
con lo scambiare la peggiore metafisica con le scienze, empiriche o formali che
esse siano.8
***
Dal punto di vista puramente formale, cio puramente logico, possiamo (meglio dobbiamo) fare finta di non conoscere il significato che tali termini hanno
nel linguaggio comune e dire che una propriet
qualunque cosa che venga rappresentata da un segno, qualunque ne sia il suo significato (purch ne abbia uno e
uno solo!), che stia a destra di , ed
invece un individuo ci che
rappresentato da un segno, qualunque
ne sia il significato, che stia a sinistra di .
Se non si osserva la regola che le lettere
minuscole dellalfabeto, che abbiamo usato come simboli per generici ma determinati termini, debbano avere uno (e uno solo) significato (per cui di
fatto sono costanti!)
si potr facilmente arrivare alle pi assurde conclusioni come quelle gi
menzionate o di altro tipo; p.es. si potrebbe dedurre, dallosservazione che il
cane abbaia e che il cane un sostantivo maschile, la verit (!?) che il
sostantivo maschile debba necessariamente abbaiare!
Se vogliamo esplicitamente asserire che a rappresenta una propriet scriveremno a C; dove
ora C, al contrario di a, non un simbolo arbitrario (nel qual caso avrebbe un significato variabile, nel particolare senso che il
significato del simbolo varierebbe da una proposizione
allaltra per cui bisogner fissarlo di volta in volta in ogni singola proposizione). Invece C un termine che ha sempre un significato costante nel senso che rester invariato in tutto il nostro
discorso.
Quindi intendererno sempre: C =
propriet (si pu dire che C il nome comune dei nomi comuni!).
Allo stesso modo scriveremo a I se
voglianmo dire che a rappresenta un
individuo, quindi I =
individuo .
Nella formalizzazione della logica pura (intendendo con tale
locuzione linsieme dei simboli, degli assiomi e dei teoremi pertinenti ad
essa, con lesclusione quindi della metalogica cio del linguaggio con cui si parla
di essa) non necessario usare i termini C
e I, bastando la convenzione
metalinguistica che deriva dallo stare il simbolo a destra o a sinistra del
segno , come gi detto.
Nel caso che la logica venga usata come metalinguaggio
per la costruzione di altri linguaggi scientifici (p.es., la matematica, nel
qual caso le formule di logica funzioneranno da metamatematica) pu risultare utile (anche se non necessario:
infatti sempre possibile introdurre apposite convenzioni nelluso dei segni
per evitarlo) menzionare lipotesi che un dato simbolo indichi una propriet,
scrivendo: a C ; questo
bisogner farlo, in ogni caso, quando ci sia pericolo di ambiguit sul
significato logico del simbolo a.
***
Faremo ancora finta di non sapere il
significato della parola propriet ma
affermeremo che se a e b sono simboli che denotano propriet,
allora anche loperazione:9 una propriet.
Questo un esempio di quelle che si dicono definizioni ricorsive cio: si elencano
prima gli oggetti elementari che
possiedono la propriet da definire
(in questo caso, le propriet elementari sono
rappresentate dai simboli semplici a,
b) e poi si d una regola per definire gli oggetti composti (nel nostro caso, le propriet composte sono quelle del tipo ). Con ci ovviamente non si d il
significato reale del termine definito ricorsivamente (nel nostro caso, il
termine propriet), che invece
dobbiamo gi possedere, ma soltanto quello formale; quindi le definizioni
ricorsive sono definizioni nominali anche
se non ne hanno la forma esplicita che abbiamo descritto sopra.
Possiamo simbolizzare quanto detto con la
formula:
(M1) ,
cio
se a e b sono propriet lo anche e viceversa.
Dal punto di vista puramente formale non necessario sapere il
significato reale di (fermo restando il suo significato formale di operazione che date due propriet ne produce una terza); ma se
ne pu dare una definizione reale (= descrizione) dicendo che significa la propriet
complementare della propriet intersezione
di a e b, cio la propriet di
non essere a e b contemporaneamente.
In modo pi formale: se qualcosa, p. es.: x,
ha la propriet allora necessariamente x non ha la propriet intersezione di a e b, cio o non ha la propriet
a o non ha la b; o, ancora, x
non pu essere a e b nello stesso tempo.
***
Per il significato che abbiamo dato al segno ι,
possiamo convenire che ιa significa il concetto determinato completamente
dalla propriet a. Cio:
ιa .=. concetto di a.
Notiamo che, dal momento che si ha sempre a = a
e quindi a ιa, a ha la funzione di individuo
nei confronti della propriet ιa. In questa funzione
diremo che a lintensione del concetto ιa o, che lo stesso, a lintensione del concetto di a. Ma, naturalmente, la
forma simbolica pi perspicua di qualunque adattamento, pi o meno forzato,
della lingua comune.
Nel caso che a sia un termine che rappresenti un individuo realmente (e non solo formalmente,
cio nel caso che il termine sia un nome
proprio, come, p. es., Socrate) diremo che a lindividuo e ιa
lidea di a (Peano usava il
nome elemento per essa, ma oggi tale
nome viene usato come sinonimo di individuo).
Per esempio se uomo una propriet, ι uomo il concetto di uomo. E
uomo lintenzione del concetto di uomo. Se Socrate un individuo ι Socrate lidea di Socrate.
Notiamo che ι si pu
considerare come un operatore che
applicato ad un individuo ne produce
la sua idea e applicato ad una propriet ne produce il suo concetto.
Nellipotesi che, nel seguito, possa servire
introdurremo loperatore inverso di
ιa
che fa passare dal concetto alla
sua intensione (o dallidea allindividuo corrispondente). Lo
indicheremo con j
Per esempio, se b il concetto di uomo, j b
la propriet uomo. Se b lidea di Socrate, jb
lindividuo Socrate.
Ne segue che: j ιa = a e ι
j a = a qualunque cosa sia a.
Converremo, ancora, che se a la propriet che definisce il concetto ι a allora a ne
denota la sua comprensione.
Intenderemo, invece, con il termine estensione il gruppo di individui dei quali possiamo affermare
che sono degli a; lestensione di ιa
differisce dallintensione di ιa
e la indicheremo, se dovesse servire, con ext a; ma vedremo che in un linguaggio scientifico tale segno non
necessario.10
Per le convenzioni fatte, le proposizioni elementari si possono tutte
ricondurre alla forma x a, che alloccorrenza, abbrevieremo con il segno ax, cio:
(A4) ax
.=. x a
Per gli assiomi elencati in Appendice
anche le proposizioni composte (cio
quelle formate analogamente alle propriet
composte) possono essere poste sotto tale forma. Per cui se conveniamo di
abbreviare il termine proposizione con
P possiamo scrivere:
(M2) x a . . x I ∩ a C ∩ (x a) P,
cio: la formula x a
implica che x un individuo, a una propriet e x a una proposizione.
Notiamo che nella (A4), il segno x assume
il ruolo di un operatore che, assegnato
un determinato individuo x, ci fa passare da una data propriet alla corrispondente proposizione relativa ad x.
In tale ruolo lo indicheremo con x.
Possiamo, invece, assegnare al segno 'x il ruolo di operatore inverso che fa passare dalla
proposizione relativa a x
alla corrispettiva propriet.
Per cui si avr:
(A5) ax
.=. x a
,
(A6) a
.=. 'x ax
Operando sui due membri delle due identit, rispettivamente, con 'x e x, si
ottiene:
'x ax = 'x x a = a ,
x a = x 'x ax = ax ;
questo significa che i due operatori 'x x e x 'x operando,
rispettivamente, su di una propriet e
su di una proposizione le lasciano inalterate;
tale propriet pu risultare utile nelle deduzioni.
Infatti, lo scopo principale di un sistema deduttivo quello di dedurre
da proposizioni ritenute come vere altre proposizioni valide, in modo
assolutamente meccanico mediante pochissime regole deduttive.
Le proposizioni che si assumono come vere si
dicono assiomi,
quelle dedotte dagli assiomi,
mediante le regole deduttive, si dicono teoremi.
Tuttavia, importante osservare che la
distinzione tra termini primitivi e termini derivati, da un lato, e definizioni nominali, assiomi e teoremi dallaltro, ha un valore
relativo e non assoluto. La scelta di cosa assumere come primitivo o come
derivato assolutamente arbitraria e dipende solo dalla volont di chi
costruisce il sistema deduttivo.
Tale scelta non dipende n da una necessit
pratica, n teorica, ma solo da condizionamenti esterni dettati da valutazioni
soggettive, quali: considerazioni estetiche, ricerca di semplicit, adeguamento
a particolari concezioni del mondo o, anche e non ultime, ragioni economiche,
ecc.
Per esempio, nellindustria dei calcolatori
si sceglie (in questo caso, fisicamente,
nel processo di produzione dei chip di silicio) loperazione che abbiamo
indicato con il simbolo (la chiameremo operazione nand, abbreviazione dellinglese not and) come operazione primitiva, a
partire dalla quale costruire le altre operazioni logiche, perch si riducono
notevolmente i costi di produzione dei circuiti integrati.
La ricerca della semplicit solo un mito, sia perch un concetto difficile da
definire, sia perch una volta definitolo in un caso particolare non sar pi
adatto in un altro caso.
Al contrario, il costo unitario di un
determinato circuito integrato (e quindi il maggiore o minore profitto da
ricavare dalla sua vendita), per il bene o per il male, invece oggettivamente
determinabile!
Il Peano, giustamente, non si preoccupa gran
ch di stabilire un sistema assiomatizzato al massimo grado, convinto com
che, in un linguaggio scientifico, da qualunque punto si parta, si debba
necessariamente arrivare allo stesso risultato; purch non si scambino pseudoproblemi
di natura puramente verbalistica per problemi effettivi che concernono i
concetti e le idee (vedi comunque PF).
Tuttavia il suo collaboratore A. Padoa
stabilisce un sistema deduttivo in cui, come termini primitivi di tutta la
logica, si assumono solo tre termini; e precisamente quelli da noi indicati con
=, ∩ e 'x; a partire dai quali vengono
definiti nominalmente tutti gli altri.11
In generale, nei vari campi della scienza,
non nemmeno unimpresa semplice, ma, in qualche caso, richiede il lavoro di
molti anni da parte di provetti matematici, il verificare se una data proposizione data come assioma non possa essere, invece,
dimostrata come teorema a partire
dagli altri assiomi.
In Appendice
viene dato un possibile sistema di termini
primitivi, di definizioni nominali e
di assiomi per la logica.
Qui ci limiteremo a notare che a partire
dalloperazione ~ si possono definire nominalmente tutti gli altri connettivi logici che
servono a formare tutte le altre propriet partendo da quelle elementari.
Per esempio la propriet complementare di una data propriet a si pu definire mediante la:
(P1)
Lunione di due propriet con:
(P2)
Lintersezione con
(P3)
Si soliti sottindendere il segno di intersezione con la definizione:
(P4)
Con tale abbreviaziomie si realizza una consistenza simbolica con il
segno originario ~; infatti, operando sui due membri della (P4) con ~ si ottiene: .
Per realizzare un migliore aspetto
tipografico delle formule useremo, talvolta, la convenzione di negare solo
loperazione invece che lintera proposizione, p. es.: e .
Per la stessa ragione useremo, a volte, le
convenzioni: ~ a . = .
~ (a) . = . .
Il significato reale dei segni introdotti mediante definizione nominale potrebbe desumersi a partire da quello dei
segni primitivi.12
Possiamo asserire gli ovvi assiomi seguenti:
(P5)
cio: facendo il complemento del
complemento si riottiene la propriet di partenza.
(P6)
che esprime la propriet commutativa delloperazione
retta da ~.
(P7) ,
con labreviazione:
(P8) .
Le (P7) e (P8) esprimono la propriet associativa delloperazione
retta da ∩.
(P9) ,
che esprime la propriet
distributiva di ∩ rispetto a U (il segno ∩,
per la convenzione (P4), sottinteso
nellultima formula).
(P10) ,
cio: la propriet a
assurda. O, in altre parole, non
possibile che qualcosa sia a e
non-a nello stesso tempo.13
Per le definizioni
e gli assiomi dati, si possono
assumere tre sole regole deduttive, che
appelleremo:
D1. Regola
di sostituzione tra simboli di segno uguale.
D2. Regola di sostituzione tra simboli di segno diverso.
La D1. ha origine dal significato del termine
simbolo che, stando per un generico
termine, permette di sostituire, in una data proposizione, un determinato simbolo
con un qualsiasi altro simbolo; purch:
a simboli di eguale nome si
sostituiscano altri simboli che,
corrispondentemente ed uniformemente,
siano ancora di eguale nome;
cos, per esempio, la (P9) si
pu scrivere anche
x (y U z) . = . xy U xz con identico
significato. Ma non lecita la sostituzione x (y U z) .
= . xb U xz perch, se si cambia il nome di b con y, la sostituzione deve essere effettuata in tutti
i posti in cui compaia il simbolo b nellintera
proposizione. Ci in quanto,
allinterno di ogni singola proposizione (o
in una catena deduttiva), il simbolo ha
significato costante, anche se variabile da una proposizione allaltra.
La D2. ha origine dalla propriet del segno =,
che d, identicamente, lo stesso significato ai termini a destra e a sinistra
di esso. Seguendo il Padoa, la chiameremo: la propriet sostitutiva del segno =.
Infatti, se quello che sta a destra di = significa la stessa
cosa di quello che sta a sinistra (e viceversa) ne segue che se si asserisce: a = b,
si pu sostituire a in
qualunque formula compaia b, e
viceversa. Per di pi, qualunque operatore
sia definito su a, lo si pu
applicare anche su b senza alterare
lidentit.
Esprimendo quanto detto con una formula:
D3. Se
ω un operatore che ha senso applicare al termine simbolizzato da x
allora:
x = y . . ω x = ω y ,
anzi, se ω ammette un
inverso allora il segno si
pu sostituire nellultima formula con il segno =.
Per la propriet
sostitutiva del segno =
non necessario, per questa seconda regola deduttiva, operare la sostituzione
del simbolo in tutti i posti in cui
esso compaia, dato che il simbolo che
si va a sostituire ha lo stesso significato di quello che lo sostituisce
(infatti sono sinonimi). Solo ragioni
di convenienza, a fini deduttivi, ci
suggeriscono dove e quando operare la sostituzione.
Dalla propriet
sostitutiva del segno =
vengono fuori immediatamente le propriet caratteristiche dellidentit e cio le propriet: riflessiva, simmetrica e
transitiva. E cio:
(I1) a =
a
(I2) a = b . = . b =
a
(I3) (a = b) ∩ (b =
c) . = . (a = c)
***
A partire dalle (P1) - (P10), mediante le regole deduttive D1., D2., D3., si possono dedurre molti teoremi sulle propriet.14
Se si introduce lassioma:
(P11)
a b . = . ab =
a ,
la comprensione di un
concetto diventa una struttura ordinata dalla relazione .15
Una struttura analoga si verr a generare
anche per le proposizioni, a partire
dallassioma del metalinguaggio (analogo di M1):
(M3) ,
se si assumono assiomi analoghi ai (P1)
- (P10) (vedi Appendice).
Qui notiamo solo che, ovviamente,
loperazione di complementazione diventa
la negazione.
Lunione diventa la disgiunzione inclusiva.
Lintersezione
diventa la congiunzione.
Lassioma (P5)
diventa lasserzione metalinguistica che due negazioni affermano.
Valgono, analogamente, le propriet: commutativa, associativa e
distributiva.
Linclusione tra propriet diventa limplicazione
tra proposizioni (detta anche
segno di deduzione).
Anche qui vale il fortissimo assioma:16
(Q11)
ax by . = . axby
= ax .
Nel caso che tutte le proposizioni si
riferiscano ad un solo individuo x, si instaura un perfetto
isomorfismo tra le due strutture formali relative alle propriet e alle corrispettive proposizioni
riguardanti il detto individuo; ci si ottiene formalmente con lassioma:
(C1)
(ab)x . = . axbx
.
Un altro importante assioma e:
(C2) xa . =
. ι x a . = . i x a
che permette di dimostrare unaltra forma di sillogismo relativo alle
asserzioni singolari:
(C3)
ax ∩ (a b) . . bx .
Un altro ovvio assioma, che come il (C2)
permette il collegamento tra propriet di un livello a quelle di livello
superiore, :
(C4) a
b . = . a b
che, ovviamente, si pu scrivere anche:
(C4) a
b . = .
a b
Parentesi
epistemologica
Fin dal tempo in cui luomo ha cominciato a
riflettere su se stesso e sulla realt che lo circonda, egli ha coltivato due
superbe illusioni; da un lato, quella di scrivere un libro, simile a quello
delle fantastiche invenzioni di Borges, in cui vi fossero elencate tutte le
proposizioni della conoscenza universale ricavate da uninfinita sequenza di
osservazioni empiriche. Questo, e solo questo, avrebbe costituito LA SCIENZA
e, per sapere qualsiasi cosa relativa alluniverso fisico e mentale, sarebbe
bastato consultare questo immenso vocabolario, dovendosi solo conoscere
lordine in cui le conoscenze furono disposte.
Da questa illusione, nasce lidea delluomo dotto come magazzino di informazioni varie, bench sconnesse, che ancora dura ai nostri giorni e, anzi, si rafforza per via dellinfinita congerie di informazioni su presunti risultati di scienze confuse, diffuse, profuse dagli odierni mezzi di informazione di massa.
Dalla stessa illusione
nascono le innumerevoli filosofie che, sotto diversi nomi, si rifanno alla
concezione empirista della realt.
Ma, non appena si cominci a stendere tale libro, anche nelle dimensioni le pi ridotte, ci si accorge subito che non per nulla facile trovare lordinamento pi razionale affinch esso risulti di facile consultazione. Si scopre che indispensabile un criterio di classificazione.
Nasce cos la tassonomia e le sue strutture astratte
che, ora, vengono identificate con LA SCIENZA.
Ci, a un certo punto, crea
la seconda superba illusione, secondo la quale, un bel giorno, luomo sar in
grado di possedere ununica e breve formula magica a partire dalla quale, senza
nemmeno pi consultare il risultato degli esperimenti, si potranno dedurre
tutte le conoscenze delluniverso. Questo crea il mito delluomo colto che,
seduto a tavolino con la pipa in bocca, alla stregua di Ercole Poirot, da pochi
indizi ricrea presente, passato e futuro.
La stessa illusione d
origine alle pratiche magiche ed a tutte quelle filosofie che sotto vari nomi
si rifanno alla concezione idealista della
realt.
Si potrebbe pensare che chi
coltiva la prima illusione non possa coltivare la seconda e viceversa. Ma ci
non vero perch luna illusione conseguenza dellaltra, come appunto gli empiristi logici stanno a dimostrare,
non solamente, guardando al nome con cui si qualificano!
Ora ci occuperemo un momento
degli effetti della cattiva filosofia di cui alla citazione di Engels in nota8.
Quando ci si voglia occupare
scientificamente di un determinato campo
di ricerca bisogna necessariamente delimitarlo.
Gli epistemologi di
orientamento empirista pensano che, intanto, bisogna partire dai fatti, cio dal dato empirico. Altri
obbiettano che ci praticamente impossibile dal momento che in nessuna
scienza esiste il dato empirico in astratto ma solo una ben particolare
selezione di dati. E per fare tale selezione preventiva noi dobbiamo essere gi
in possesso di una teoria anche se in una forma ancora rudimentale.
La pi rozza forma di teoria
deve partire da alcune propriet che,
allinizio, saranno necessariamente vaghe e non ben definite ma che possono
permettere una prima classificazione. Qui siamo ancora in una fase puramente
tassonomica o, per usare la terminologia di Bunge,17 in una fase protoscientifica.
Dal momento che ci sembra
ovvio e banale c da chiedersi come mai gli empiristi trascurano questo fatto, visto che si appellano ai fatti.
Inseguendo le loro
argomentazioni ci si accorge che essi usano il termine fatto nellaccezione della lingua comune, la quale porta a
confondere gli elementi teorici con gli elementi fattuali.
Il sostantivo fatto omonimo del participio passato
del verbo fare. Ma, nellaccezione comune, il sostantivo, da tale participio
derivato, assume i significati relativi a tutti i tempi del participio:
presente, passato e futuro.
Per cui, usualmente, molti
considerano un fatto il contenuto
semantico della proposizione: chiunque
cada dalla finestra finisce a terra.
ovvio che questa non si
riferisce al passato, come in sono caduto
dalla finestra e sono finito a terra che, effettivamente, si riferisce ad
un fatto; ma, piuttosto,
rappresenta un futuro ipotetico ed ha la struttura di una legge fisica che, in
ogni caso, contiene elementi teorici e, come minimo, presuppone il postulato
metafisico induttivista che se una
correlazione tra due fatti si
sempre verificata in passato deve continuare
a verificarsi in futuro.
Intanto, la proposizione
precedente si deve, correttamente, porre nella forma se qualcuno cade dalla finestra, allora egli finisce a terra ovvero
x a x b, dove
x il qualcuno, a la
propriet di cadere dalla finestra e b
quella di finire a terra.
Pi semplicemente possiamo
scrivere a b, dal
momento che, in ogni discorso teorico si fa lipotesi forte che la legge vale
qualunque sia lindividuo x, per cui la propriet coincide con la sua estensione,
ipotesi questa che dovr mantenersi fino a prova contraria, altrimenti
sarebbe difficile fare qualsiasi deduzione che non sia banale.
Per la fisica, la precedente
proposizione vera ma ellittica e la si dovrebbe completare con un sistema
deduttivo di proposizioni del tipo:
1) Tutti i corpi soggetti alla
forza di gravit sono accelerati lungo la direzione della forza stessa.
Questo un principio fisico
che, nella teoria, assume il ruolo di assioma;
il che un modo per dire che una proposizione primitiva, cio
indimostrabile (e nemmeno verifcabile, visto che noi possiamo sperimentare
solo sotto certe particolari condizioni mentre il principio espresso in forma
universale).
2) Sulla terra c un campo di
forze di gravit diretto dallalto verso il basso.
Anche questo un assioma.
3) x soggetto alla
forza di gravit della terra ed libero di cadere perch la finestra situata
in alto rispetto alla superficie della terra.
Questa una condizione
iniziale. Nella teoria assume il ruolo di ipotesi, eventualmente da verificare
empiricamente, da assumere anchessa come proposizione primitiva.
4) x finisce a terra per 1), 2),
3) e per le leggi del movimento.
Risultato verificabile
empiricamente. Nella teoria un teorema.
Ma questa solo una rozza
semplificazione che serve solo a dare lidea della complessit di una
descrizione scientifica del fenomeno considerato.
A questo punto qualcuno
potrebbe pensare che la descrizione scientifica complica inutilmente le cose
solo per dire, n pi n meno, quello che, non solo gi sapevano, ma che,
addirittura era assolutamente necessario sapere per avere una pur minima
legittimit nellasserire i princpi fisici da cui si tira la conclusione.
Ci tremendamente vero!
Ma la spiegazione
scientifica non ha lo scopo di dedurre cose banali da cose banali (come spesso
appare dopo avere letto i pi famosi libri di epistemologia!). Ma il suo scopo
quello di dedurre, rigorosamente, da cose assolutanmemte banali, o ritenute
tali, cose di gran lunga pi complicate come, p. es., dedurre listante preciso
in cui un missile (lanciato dalla terra da un certo posto e in un certo
istante) raggiunger il pianeta Marte ed in quale preciso punto.
La previsione risulter pi
interessante se quello che si deduce paradossale, perch questo imporr la
scelta tra le ipotesi di partenza e le conclusioni finali o, quanto meno, una
reinterpretazione della teoria; non potendosi, almeno logicamente, mantenere
due proposizioni contradittorie.
E qui si capisce a che serve
la logica!
Essa non ci pu dire niente
sulla verit delle ipotesi e degli assiomi, n su quella delle conclusioni!
Ma ci pu dire se ipotesi,
assiomi e conclusioni siano contradittori o compatibili. E ci molto
importante per la scienza.
La logica non la scienza
della VERIT ma, semplicemente, un piccolo insieme di regole di deduzione.
Anzi, non nemmeno una scienza ma una precondizione di ogni scienza!
Allora, come gi sapevano
gli antichi, nella scienza non si parte dai fatti
ma dalle propriet, (o dai concetti che lo stesso) che una volta
astratte dallesperienza sono gli individui
della nostra comprensione e gli elementi della nostra teoria.
La comprensione un insieme strutturato di propriet; unalgebra di Boole, come gi detto
nella sezione precedente.
Quanto detto vale anche per
una scienza puramente empirica, cio priva di qualunque forma di teoria la quale
possa assumere a priori i suoi elementi
costitutivi.
Infatti, per la costituzione
di un linguaggio scientifico si parte (consciamente o inconsciamente) da un
insieme non strutturato di propriet, che chiameremo i generatori dellalgebra (sottinderemo: della comprensione); essa delimita il campo di ricerca.
Tutte le altre propriet del
campo di ricerca, elementi compresi,
possono essere generate, appunto, da tali generatori
mediante loperazione tra
propriet, nand, che abbiamo indicato
con il simbolo .
Potrebbe sembrare, a prima
vista, che partendo da un numero finito di propriet si possa generare tutta
uninfinit di altre propriet, per effetto di successive e ripetute
applicazioni delloperazione nand.
Ma ci non vero, in quanto
gli assiomi che sono stati dati nella sezione precedente limitano enormemente
il numero delle propriet semanticamente differenti. Si dimostra, infatti, che
se si parte da n generatori si
possono ottenere solo N 2n
propriet atomiche, cio propriet,
mutuamente incompatibili, mediante le quali si pu generare tutta lalgebra
della comprensione, che conterr
esattamente 2N propriet,
comprese la propriet assurda, che
abbiamo indicato con , e la sua complementare, che indicheremo con e che chiameremo la propriet banale, cio quella
propriet posseduta da tutti gli individui
che costituiscono il campo di
ricerca.
Faremo il postulato che le
propriet della comprensione, cos
generata, costituiscano tutte e sole le propriet possedute dagli individui del
campo di ricerca.
Tra le propriet generate,
alcune hanno unimportanza maggiore delle altre; per cui risulta utile
introdurre, mediante definizione nominale,
dei segni particolari per esse.
Il massimo numero di
propriet atomiche, N = 2n, si otterr
solo quando capiti che si siano scelti i generatori tutti indipendenti tra loro
di modo che, presi due qualunque di essi, p.es. a e b, si abbiano
certamente individui che posseggono contemporaneamente entrambe le propriet,
cio, quando si possa certamente asserire: $ ab.
Ne segue che, se con
Aristotele, pensassimo di definire la sostanza
o essenza
(ούσία) come la propriet dellesistenza delle
cose (facendo astrazione da ogni altra propriet), si avrebbe n = 0,
N =
20 = 1 e la comprensione avrebbe solo 2N=
21 = 2 propriet e cio solo la propriet assurda e la propriet
banale, come Parmenide cercava di far capire agli empiristi che
precedettero lempirista Aristotele. Ma ci lo esamineremo pi dettagliatamente
in seguito.
***
Ma, per potere entrare nei
dettagli della scienza degli antichi, necessario chiarire alcune questioni
metodologiche.
Solo pochissimi frammenti ci
sono pervenuti dei cosiddetti presocratici.
Quasi tutto quello che
sappiamo, o che crediamo di sapere, ci proviene dai dossografi.
Si potrebbe pensare che con
un minuzioso lavoro filologico si possa ricostruire, in qualche modo, il loro
pensiero. Questa, in ogni caso, lopinione generale. Ma noi pensiamo che la
filologia non di nessuno aiuto in questa impresa. La riprova di ci che ci
sono tanti Parmenidi e tanti Democriti per quanti filologi ci siano.
Escludiamo, ovviamente, dal
novero dei filologi tutti quelli che hanno seguito (o che seguono) un ben
determinato paradigma. Ch, per i ben noti meccanismi della carriera
accademica, non aggiungono niente di nuovo.
per la forza del paradigma
aristotelico che molti dossografi sembrano dire la stessa cosa. Di fatto, non
fanno altro, per lo pi, che pestare e ripestare le opinioni di Aristotele, con
la convinzione, che ancora perdura, che il pensiero di Aristotele, ritenuto il
pi grande scienziato del passato, fosse pi maturo dei suoi predecessori.
Questo in omaggio a quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI.
Se si abbandona questa
teoria si potrebbe pervenire alla conclusione che Aristotele rappresenta un
profondo arretramento nel processo di costruzione del linguaggio scientifico.
Ma se neghiamo valore ai
dossografi e al loro progenitore Aristotele come potremo procedere?
Semplicemente sostituendo la
logica (come chiarita da Peano) alle speculazioni metafisiche che cercano
supporto nella filologia.
Gi lo stesso Peano aveva ricostruito, con i
suoi simboli, lopera di Euclide;
nella convinzione (che anche la nostra) che, da qualunque punto si parta, se
si procede coerentemente e senza ambiguit, il risultato deve necessariamente
essere lo stesso, se le ipotesi di partenza sono le stesse.
Ma quali erano le ipotesi
dei presocratici?
Questo ce lo faremo dire
dallo stesso Aristotele, che nel criticarli, le ha enunziate, anche se
malamente illuminate, allombra del suo paradigma.
Quindi per studiare i
presocratici saremo costretti a partire da Aristotele; ma non dalle sue conclusioni,
bens da unanalisi logica del suo paradigma.
***
Accettando le conclusioni di
Max Mller,18 Peano notava che
le categorie grammaticali derivano da Aristotele, il quale elenca dieci categorie logiche in corrispondenza con
le parti del discorso della grammatica greca. Lo stesso Mller osservava che la
classificazione dei vocaboli nella lingua semita e in quella cinese era ben
diversa.
Questo significava, per
Peano, che altro sono le propriet reali dei nomi e altra cosa le propriet
formali, in quanto derivanti esclusivamente dalla tradizione linguistica.19
A partire da questo possiamo
concludere alcune cose ovvie.
Si dice spesso che
Aristotele da considerare il padre della logica. Peano, in pi di
unoccasione, nota che la logica di Aristotele di nessun uso per la
matematica. La diversit concettuale, del resto, salta immediatamente agli
occhi.
Daltra parte, le conquiste
nel campo della matematica dei presocratici sono immense. Si pensi ad Eudosso e
Democrito che godevano la profonda ammirazione di Archimede.20
Ovviamente, non si pu fare
matematica senza logica; e, del resto, tra le opere di Democrito, elencate da
Diogene Laerzio tra gli scritti di fisica, vi figura Logica o Canone in tre
libri.21
Se ne pu semplicemente
concludere che la logica di Aristotele la logica del senso comune e quella di
Democrito doveva necessariamente essere quella della matematica.
***
Quale dovrebbe essere la
logica della scienza in generale?
Per Democrito non ci sarebbe
potuto essere alcun dubbio, visto che per lui la scienza era una e non era
divisa in branche e sottobranche di specialisti che, secondo laforisma di
Bernard Show, sono coloro che sanno tutto su nulla.
Oggi, la risposta non sembra
cos ovvia, anche a causa della confusione epistemologica di marca russelliana,
ancora imperante! (si veda PF).
utile entrare, per un
momento, in qualche dettaglio per capire la profonda differenza tra le
metafisiche che si nascondono sotto dei simboli apparentemente uguali e per
vedere come lo scontro tra queste due contrapposte metafisiche non diverso da
quello che ciclicamente si verificato nel corso della storia.
Come viene chiarito in PF,
tale differenza si manifesta nellinterpretazione estensionale del termine
classe nelluna concezione del mondo contrapposta a quella intensionale
dellaltra.
Al senso comune appare che
gli oggetti immediati della nostra percezione siano le cose in quanto individui.
Da esse noi formeremmo gli aggregati di cose. Successivamente, avendo dato
un nome allaggregato, raggiungeremmo la classe.
Se cos fosse non avremmo
nemmeno bisogno di nominare le propriet.
Infatti nella logica empirista il ruolo delle classi risulta del tutto marginale ed il
ruolo primario viene assunto dalle proposizioni categoriche.
Per esempio, Russell (vedi
PF) concede qualche ruolo alle intensioni
solo per parlare dei numeri transfiniti, che per altro, nessuna applicazione
trovano nelle scienze.
Saltando, cos, con un solo
incredibile balzo, dalle banalit della logica del senso comune agli
iperuranici meandri dellinfinito.
Tuttavia, una tale filosofia
ha un profondo fascino; perch conforta gli sciocchi che si sentono a loro agio
nel linguaggio atavicamente acquisito e pretendono di stupire il mondo con i
supposti paradossi della matematica. Allo stesso modo di Aristotele che
pretendeva di superare quelle che egli chiamava le aporie di Zenone; le quali,
invece, come vedremo, erano dei semplici teoremi. Il paradosso nasceva solo al
confronto con le difettose premesse aristoteliche.
Uno potrebbe, ingenuamente,
pensare che, quando si incontrano dei paradossi, vuol dire che i significati
degli assiomi di partenza (essendo libere creazioni dellintelletto umano!)
siano contraddittori; ma i falsi profeti concludono diversamente; ipotizzando,
inconsciamente o esplicitamente, che i loro assiomi e relativi significati
siano leggi imposteci dalla natura; per cui bisogna abituarsi a convivere con
paradossi ed aporie, cercando di arrangiarsi a fare il meglio che si pu
acciocch non diano soverchio fastidio quando dal mondo iperuraneo del
pensiero astratto si voglia fare il tentativo di applicarle a situazioni
concrete o pseudoconcrete.
Per assaporarne, in seguito,
le analogie coi discorsi degli antichi, esaminiamo il paradosso centrale dei
logici moderni che , appunto, quello che va sotto il nome di paradosso di Russell
e che deriva, sostanzialmente (senza tenere conto delle infinite chiacchiere
inutili) dal dogma che la matematica si occupa solo di estensioni e dalla
conseguente identificazione del termine classe
con il termine aggregato. (Per
capire come Russell doveva, necessarianmente, arrivare al paradosso basta
leggere la confusa ed incomprensibile distinzione tra classe, concetto e concetto-classe
nellintero capitolo dedicato a tale questione nel suo The principles of mathematics, dove con argomenti non dissimili da
quelli medioevali, riferentisi al sesso degli angeli, si critica, anche a
sproposito, la chiara e precisa impostazione di Peano; vedi, comunque, PF).
Per Peano, al contrario, la logica non una scienza a s sulla
quale esercitarsi con lalta matematica, per poi applicarla ad astruse
questioni metafisiche (nel senso deteriore di tale termine) ma un semplice
strumento per il chiarimento dei concetti della matematica; la quale, a sua
volta, non serve per costruire castelli di carta della pi inutile astrazione,
ma costruisce le sue strutture formali a partire da modelli che idealizzano le
concrete operazioni della scienza empirica.22
Per Russell, la matematica
quella scienza che non deve sapere nemmeno di che cosa tratta, secondo un
paradossale aforisma russelliano. Ma nonostante ci, egli procede impunemente
a matematizzare la logica.
Lobiezione, pi ovvia, a
una tale impostazione quella di notare, banalmente, che fare della matematica
sulla logica che, a sua volta, deve servire a fondare la matematica, equivale a
porsi lirresolubile problema di sapere se nato prima luovo o la gallina;
come tutte le successive chiacchiere inutili sul sovrumano problema dei fondamenti
della matematica stanno a dimostrare. Infatti, la conclusione a cui
giungono i superlogici che si
autodefiniscono metamatematici la
contradittoria asserzione che, da un lato, la matematica non si pu fondare
sulla logica (vedi le varie interpretazioni del famigerato teorema di Goedel) e
che, daltro lato, la matematica riducibile ai concetti della logica.
Ma vediamo di capire
lessenza del tremendo ed esiziale paradosso
di Russell.
Se, come abbiamo convenuto,
scriviamo a e C per dire che a una
classe, dove a e un simbolo che pu assumere qualunque
valore semantico (ovviamente tra i termini che denotano una classe), possiamo
pensare di essere liberi di attribuire ad a
il particolare valore C, scrivendo
CC.
Se interpretiamo C come sinonimo di mucchio, cio estensionalmente, e, ancora arbitrariamente, ipotizziamo di essere
liberi di creare astrattamente dei mucchi
con la sola potenza del nostro pensiero, possiamo pensare, che oltre a C, ci siano altri mucchi per i quali si possa scrivere a a (pressappoco come quel fantastico mucchio di spaghetti che
contiene la pentola che li contiene; infatti baster ribattezzare la pentola con il pi pomposo nome di insieme degli spaghetti che contiene se
stesso!) chiamiamo tali chimerici mucchi:
insiemi
chiusi.
Ovviamente ci sono anche
banalissimi insiemi che fra i loro
membri non contengono lo stesso insieme che li deve contenere, chiamiamoli: insiemi aperti.
Immaginiamo ora, sempre con
linfinita potenza del nostro pensiero, di compiere un ultimo atto di creazione
e generiamo Eva dalla costola di Adamo inventandoci linsieme di tutti gli insiemi aperti che chiameremo R.
Nasce un tremendo problema
che assomiglia al problema di Wiener il quale si chiede se, essendo Dio
onnipotente, possa creare un masso cos pesante, ma cos pesante, che Egli
stesso non possa sollevare. Il problema o non ha soluzione perch mal posto o
conduce ad una contraddizione che viene a negare lonnipotenza di Dio. Infatti
o in grado di creare il masso e allora non potr sollevarlo o non ne sar in
grado. In ogni caso, non sarebbe onnipotente.
Non dissimile il problema di
Russell: R chiuso o aperto?!
Se chiuso dovr aversi R R. Ma R era linsieme
degli aperti e, quindi, R R, per
definizione.
Se aperto dovr aversi R R ma
allora dal momemmto che R aperto
dovr essere contenuto in R che
linsieme degli aperti e quindi R R.
Allora, o la questione mal
posta o il pensiero astratto non
onnipotente. Noi pensiamo che entrambe le ipotesi siano vere!
Ma forse che, da questa
patente contraddizione, Russell ed i logici posteriori concludono che ci deve
essere qualcosa di marcio sotto? No!, al contrario, pensano che sia un brutto
scherzo della natura stessa della
logica e quindi ricorrono a delle pezze per salvare il salvabile e, cos
Russell si inventa la famigerata ed inutilmente complessa teoria dei tipi che complicherebbe enormemente la
vita ai matematici che, infatti, lhanno sempre rifiutata.
Tuttavia, questi ultimni o
fanno limita di niente, forse tacitamente assumendo che la questione malposta,
o ricorrono ad una semanticamente non chiarita distinzione tra insieme e classe aggiungendo un, praticamente inutile, postulato secondo il
quale, affinch qualcosa sia un insieme non
basta che ci siano degli individui che vi appartengano ma deve esistere, anche,
un non meglio specificato ente a cui linsieme stesso deve appartenere; con
divertenti conseguenze quando le astratte formule si volessero interpretare
semanticamente.
Infatti, a causa dello
stesso errore che porta ai paradossi, Whitehead e Russell, insieme ad altri
posteriori assiomatizzatori, giungono a definire linsieme vuoto come linsieme di quegli individui per cui valga la
proposizione x x e la classe universale viene
definita come la classe di quegli individui per cui valga la proposizione x
= x.
Analizzando le precedenti definizioni con lideografia di Peano se ne pu misurare facilmente la loro assurdit.
Per quanto riguarda la
classe universale: usando il precedentemente introdotto simbolo per la
formazione di classi a partire dalle proposizioni, si ha 'x (x
= x)
e per la decomposizione di = : 'x x ι x che, per la propriet gi menzionata delloperatore 'x x , si riduce semplicemente a ι x. Per cui la classe universale si riduce a quella che
abbiamo chiamato lidea di x che, in ogni caso, una
classe con un solo individuo.
Ma, essendo x un simbolo generico senza
significato definito, si conclude che la classe
universale la propriet di nessun individuo determinato e quindi la propriet assurda.
Allo stesso modo, per linsieme vuoto si ha: 'x (x
x)
e quindi 'x x ~ ι x e, alla fine, ~ ι x ; in conclusione: la propriet complementare delle cose
che non hanno significato e quindi, se volessimo insistere sullinterpretazione
estensionale, la propriet di tutte le cose che significano qualcosa; per cui
linsieme vuoto viene ad essere pieno zeppo!
E si potrebbe continuare,
con divertimento, a volont!
Nella formulazione di Peano,
tali assurdit non possono mai presentarsi; infatti: non ha senso scrivere x x (come in molte altre
rinomate assiomatizzazioni si scrive!)
ma solo x x o x ι x qualunque cosa sia x,
in particolare anche C.
Per cui, al massimo,
potremmo ottenere solo le banali asserzioni C C o C = C che sono,
ovviamente, sempre vere e ci dicono: nel primo caso che la classe una sottoclasse del termine classe o, in altre parole, che il termine classe un membro della
comprensione del concetto di classe; come, daltra parte, vale per qualsiasi
altro termine!
Nel secondo caso avremo che
la classe identica alla classe o, in altre, parole che il
termine classe un membro del concetto di classe.
Tutte queste frasi sono modi
pi precisi, anche se inutili e banali, di enunciare lambigua affermazione del
linguaggio comune che una classe una classe!
Come sempre, i paradossi
derivano da una ben povera teoria! Ma la gente sembra deliziarsi con i
paradossi e ne va costantemente alla ricerca in ogni campo della SCIENZA
(naturalmente di quella scritta a caratteri maiuscoli!).
***
La confusione
epistemologica, a nostro giudizio, pu essere portata avanti solo per un
profondo malinteso sul ruolo della matematica nella scienza.
C, intanto, unimportante
distinzione che bisogna fare entro le scienze particolari a cui la logica si
applica, distinguendo tra quelle formali,
come la matematica, quando si astrae da qualunque applicazione concreta, e
quelle empiriche in cui la matematica
nientaltro che il mezzo per organizzare ogni discorso.
Nel primo caso si ha
solamente una struttura formale non interpretata. Nel secondo caso, oltre alla
prima, che spesso si dice la teoria, si
ha anche tutta una serie di affermazioni riguardanti i dati empirici, cio esperimenti,
osservazioni empiriche, e loro
risultati fattuali, i cui termini sono dotati di significato non formale,
ma operazionale.
Il collegamento tra le due
parti del linguaggio viene operato mediante un processo di interpretazione di natura solamente e, necessariamente, metafisica
(cio non dimostrabile formalmente,
n verificabile empiricamente) che
consiste nello stabilire opportune relazioni tra termini definiti operazionalmente e termimui definiti teoricamente.
Solo allora i teoremi
dedotti dalle ipotesi teoriche potranno essere falsificati empiricamente se, per di pi, si stabilisce un limite
di accettabilit, tenuto conto che, in ogni esperimento reale, siamo costretti
a un processo di idealizzazione per
cui, solo statisticamente, si possono
trarne conclusioni intorno allaccordo tra teoria ed esperimento.23
Gli stessi termini operazionalmente definiti presuppongono
elementi teorici, anche se non formalizzati, provenienti dal, generalmente
inconscio, processo di concretizzazione o
ipostatizzazione degli enti astratti (cio che sono stati astratti dal caotico mondo delle
sensazioni).
A maggior ragione, gli
assiomi della teoria (che, ovviamente, non sono direttamente collegati ai
termini del linguaggio empirico) sono astrazioni;
ma, in questo caso, pi opportuno dire idealizzazioni, intendendo con questultimo termine il processo per
cui, da determinate propriet precedentemente astratte dal mondo sensibile
(anche se nei contesti i pi disparati), a partire dalla ripetuta applicazione
delloperazione tra propriet che abbiamo indicato con , si generano altre
propriet che definiscono una nuova idea generale, che non fa parte delle cose osservabili.
Un esempio si ha in
meccanica classica dove si definisce il concetto di punto materiale, mediante le propriet astratte di essere senza
dimensioni fisiche e, tuttavia, dotato di massa. Dopodich si attribuisce agli
individui di tale classe astratta anche la propriet dellesistenza; quindi concretizzandola.24
Dal momento che i termini
della teoria rappresentano idealizzazioni e che, quindi, gli individui sono
definiti a partire dalle propriet, e non viceversa (anche gli enti, cosiddetti,
sensibili sono, anche se spesso inconsciamente, definiti per propriet!), ne
consegue che tali termini, per parlare propriamente, non avrebbero unestensione, se volessimo usare tale termine nellaccezione degli
empinisti, nella quale si mantiene lillusione che vi siano oggetti che
esistono in quanto sensorialmente percepiti. Quando invece in realt si
assume ipostaticamente che esistono realmente
proprio perch creati indipendentemente dai nostri sensi e cio al di l
del caos sensoriale.
Ragione per cui, nel
linguaggio teorico, assumiamo (o, facciamo
la convenzione, come dice Peano) che lestensione
coincida con lintensione. Per
cui la classe si pu far coincidere
con la propriet che la definisce.
Ma se tale identificazione,
tra intensione ed estensione, va bene nel linguaggio
teorico di una scienza empirica, non va per niente bene in un linguaggio
puramente tassonomico.
Infatti, senza la
convenzione ext a = a, possiamo solo scrivere: a ext a (ma non viceversa) e non
saremmo pi autorizzati a generare tutta lalgebra della comprensione e, al massimo, potremmo pervenire a una struttura
formale meno forte (esattamente si perverrebbe a quello che i matematici
chiamano un reticolo non distributivo).
Per vederne la ragione,
esaminiamo la scoperta gi attribuita ai Pitagorici (PR p. 131)25 che la stella
del mattino e la stella della sera sono
termini diversi per lo stesso oggetto.
Le propriet che i due
termini descrivono sono diverse e non pu sussistere nessuna relazione di
inclusione tra di esse.
Empiricamente niente potremo
dire su una loro eventuale relazione; al massimo potremmo osservare determinate
correlazioni tra certe particolari osservazioni.
Lasserzione della loro
equivalenza estensionale pu derivare solo da una teoria fisica sulla
costituzione del sistema solare che creerebbe un altro concetto (di ancora
diversa intensione): il pianeta Venere.
A questo punto, non saremmo
in grado di stabilire nessuna relazione di inclusione tra le tre propriet
diverse. Avremo bisogno di tutta una, piuttosto complessa, teoria che leghi il
moto dei pianeti alle nostre osservazioni empiriche; e, quindi (come minimo) di
una qualche teoria della luce.
Lalgebra di Boole di questo
sistema teorico sarebbe davvero troppo vasta. Ma senza di questa non potremmo
scrivere nessuna relazione logica fra le tre propriet.
Ma, naturalmente, la scienza
teorica procede per altre vie. Cio introducendo altre relazioni oltre a quelle
puramente logiche e che, invece, sono specifiche delle varie scienze
particolari (mediante le cosiddette definizioni
per astrazione vedi PF).
Da ci risulta chiaro che il
mito empirista assolutamente vacuo.
Cos come lo quello del
razionalismo estremo; il quale viene derivato dal primo mediante lillusione
di poter trovare una regoletta universale che spiega tutto anche a costo di
partire da strutture meno forti (come in meccanica quantistica) dellalgebra
della comprensione e che si limitino a rispondere solo sul risultato di possibili
misure.
Da questa osservazione, la
fisica moderna, dentro il paradigma della meccanica quantistica, conclude che
bisogna rinunciare a costruire lalgebra di Boole, accontentandosi di un
reticolo non distributivo; al quale, arbitrariamente, si attribuisce la
propriet di modularit debole. Ci
semplicemente allo scopo di salvare il mito empirista.
Ma se si rinuncia alla
SCIENZA UNIVERSALE, si possono ben spiegare le nostre osservazioni empiriche
con modelli parziali
nellestensione ma strutturalmente completi.
Solo allora possibile e,
anzi, necessario identificare lintensione di un concetto con la sua
estensione, se si vuole dedurre qualcosa.
Ma ci, certamente, non
potr essere possibile nella matematica, quando la si voglia considerare come
un puro gioco astratto di simboli, nel qual caso, parlare di estensione non
avrebbe molto senso, potendosi essa riformulare in modo da non nominare
assolutamente gli individui.
Ma, piuttosto, nella teoria delle scienze empiriche.
Vedremo che questa era la
filosofia degli antichi scienziati che vengono qualificati come Italici.
Il linguaggio scientifico dei preso cratici.
Essere e Non-essere.
Lintreccio tra le due
contrastanti metafisiche di cui alla sezione precedente molto antico.
P.es., Diogene Laerzio nel
Proemio alle sue Vite dei Filosofi divide
i filosofi antichi in due principali tradizioni: la Ionica che fa capo a Talete e lItalica
originatasi da Pitagora.
Non sembra che il criterio
di classificazione di Diogeime fosse geografico in quanto molti tra gli Ionici
non erano della Ionia, n tutti gli Italici erano dellItalia. Tale
ripartizione molto antica e si fa risalire a Sozione.
Infatti tra gli Ionici
oltre, ovviamente, a Talete, Anassimandro, Anassimene e Anassagora, vengono
annoverati anche Socrate, Platone e Aristotele. E tra gli Italici troviamo
oltre a Pitagora, Empedocle, Archita, Filolao, Parmenide e Zenone, anche
Eudosso, Senofane, Leucippo, Democrito, Protagora ed Epicuro.
probabile che la
bipartizione avesse a che fare, invece, con il differente dogma centrale che
ognuna delle due tradizioni assumeva. Esso si riferiva alle due possibili
alternative per linterpretazione del termine realt.
Nella tradizione ionica la
realt inizialmente viene, sostanzialmente, identificata con il dato dei sensi;
la conoscenza della realt quindi data immediatamente e la ragione umana pu
solo limitarsi a classificare le sue esperienze, la matematica non adatta per
la comprensione della complessit del reale come concluder Aristotele (Metaf. 995a 15-20): N, daltra parte, si deve pretendere luso
di un esatto linguaggio matematico indistintamente in ogni settore di ricerca,
ma soltanto nel caso che si studino enti immateriali. Perci un tale modo di
esprimersi non si addice allindagine sulla natura, giacch ogni ente naturale
non certanmente privo di materia.
Nella tradizione italica,
viceversa, il dato sensoriale solo apparenza;
la realt in quanto essenza una
ricostruzione razionale accessibile solo mediante lo strumento matematico.
Limperativo per ogni
scienza era stato posto da Solone: Testimonia
le cose invisibili con quelle visibili.
Come possiamo interpretare
questa esortazione?
Dato per scontato che le le cose visibili, cio le sensazioni,
sono il dato di partenza di qualunque processo conoscitivo, non possiamo
fermarci ad esse se vogliamo fare scienza.
Le sensazioni sono
semplicemente Caos. Fare scienza
significa, quanto meno, dare un ordine alle sensazioni, farne un Cosmos.
Non si pu nemmeno
riflettere sulle sensazioni senza individuarne alcune, che abbiano un certo
grado di stabilit, dando un nome ad
esse. Ma questo solo il principio della scienza.
La scienza deve anche essere
in grado di spiegare per essere in grado di prevedere, quindi bisogna cercare le cose invisibili, cio le
connessioni intime tra le cose visibili.
da queste che bisogna
partire, non dai sensi.
Ma queste connessioni non
possono essere arbitrarie, devono essere testimoniate,
cio verificate dai nostri sensi.
Quindi le sensazioni sono il
punto di arrivo della scienza non il punto di partenza, al contrario di quello
che pensano Aristotele e Mach (per citare alcuni dei pi illustri empiristi).
Ma come son fatte le cose
invisibili?
Somigliano, forse, allaria dello Ionico Anassimene, che secondo quanto riferisce Ippolito (PR p.
109): quand tutta uniforme, sfugge
alla vista, mentre si mostra col freddo e col caldo, con lumido e il
movimento. E si muove sempre perch, se non si muovesse, tutto quel che si
trasforma non si trasformerebbe Sicch i contrari fondamentali per la
generazione sono il caldo e il freddo ?
O non somigliano, piuttosto,
alla monade dellItalico Pitagora;
che, secondo quanto riferisce Diogene Laerzio (DL VIII, 25)26: principio
di tutte le cose; dalla monade nasce la diade infinita, che sottosta come
materia alla monade che causa; dalla monade e dalla diade infinita nascono i
numeri; dai numeri i punti; da questi le linee, da cui le figure piane; dalle
figure piane le figure solide; da queste i corpi sensibili, i cui elementi sono quattro: fuoco, acqua, terra,
aria che mutano e si volgono per il tutto, e da questo risulta il cosmo
animato, intelligente, rotondo, che contiene al centro la terra anchessa
rotonda e abitata ?
La contrapposizione netta.
Gli Ionici, seguono una tradizione molto antica che si pu far risalire alle
prime civilt neolitiche. Essa sfocer in quelle che oggi vengono matematizzate
sotto il nome di teorie di campo.
Infatti Aristotele dice (PR
p. 89): ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero di
specie materiale, perch ci da cui tutte le cose hanno lessere, da cui
originariamente derivano e in
cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue
qualit, questo essi dicono che lelemento, questo il principio delle cose e
perci ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poich una
sostanza siffatta si conserva sempre Talete, il fondatore di tale forma di
filosofia, dice che lacqua. E Simplicio (PR p. 90) aggiunge che Talete
era spinto a tale conclusione dallesame
sensoriale dei fenomeni.
Quindi per gli Ionici la realt non altro che una determinata materia sensibile che, in qualche modo trasformandosi, d origine al mondo.
Ma tuttavia,
dialetticamente, tra i primi Ionici si ammetteva ancora un principio unitario
allo stesso modo degli Italici. Infatti Simplicio (PR p. 90) dice: Altri supposero un elemento solo e questo dissero illimite per grandezza, come
Talete a proposito dellacqua. Ed Aezio (PR p. 90): Talete ed i suoi discepoli
dicevano che uno il cosmo. E c anche il tentativo da parte di
Anassimandro di pensare il principio come indeterminato fisicamente,
introducendo il termine di infinito; ma
secondo Aristotele (PR p. 100) chiaro
che linfinito causa come materia, che la sua essenza privazione e che il sostrato in s ci che continuo e sensibile. E tutti gli
altri [pensatori], si vede chiaramente, utilizzano linfinito come materia. Simplicio (PR p. 109)
precisa che Bisogna sapere che altro linfinito e il limitato quanto al numero, il che proprio di
coloro che ammettono molteplicit di princpi, altro linfinito e il limitato
quanto a grandezza, il che ... conviene
ad Anassimandro e ad Anassimene, i quali ammettono s un unico
elemento, ma infinito per grandezza. Ma nello stesso tempo parlano,
secondo Teofrasto (PR p. 109), di rarefazione
e condensazione.
Questo un punto che sar
soggetto alla critica che muovono gli Italici, come vedremo.
Questi, come gi detto,
seguono la tradizione pitagorica che vuole spiegare le cose del mondo non
ricorrendo ai dati sensibili (i quali necessitano di spiegazione essi stessi)
ma allaritmetica e alla geometria.
Proclo (PR p. 118) ci fa
sapere che dopo Talete si ricorda come
studioso della geometria Mamerco, fratello del poeta Stesicoro [della citt siciliota di Imera] e dopo costoro si dedic allo studio della
geometria e le diede forma di educazione liberale Pitagora, ricercandone i principi primi e investigandone i
teoremi concettualmente e teoreticamente: per primo egli tratt poi
dellirrazionale e trov la struttura delle figure cosmiche.
Ma anche qui c un elemento
dialettico, se dobbiamo credere a Diogene Laerzio, il quale, parlando di
Pitagora (DL VIII, 14), dice che fu il
primo ad introdurre in Grecia misure e
pesi, come dice Aristosseno.
Il discorso dei Pitagorici molto pi astratto e di pi difficile
comprensione di quello degli Ionici, specialmente per chi non ha confidenza con
la matematica e soprattutto con le applicazioni di essa al mondo fisico. I
travisamenti di Aristotele ne sono lesempio pi lampante.
Ma gi, allinterno stesso
della tradizione pitagorica, avviene una profonda divisione (PR p. 124) tra esoterici (o matematici, o
Pitagorici) da una parte ed essoterici (o acusmatici, o Pitagoristi) dallaltra;
che in seguito si trasformer anche in una contrapposizione politica (se pur
non sia stato esattamnente il contrario e cio che la contrapposizione
ideologica fosse il risultato di quella politica!)27
Vediamo di interpretare le
parole, sopra riportate, con le quali Diogene Laerzio descrive la filosofia di
Pitagora.
Facciamo lipotesi che si
abbia:
monade = ι
uno
che, nel linguaggio comune, viene espressa
con: la monade luno; ma che pi
precisamente si dovrebbe esprimere con: la
monade identica al concetto di uno, se interpretiamo uno come una propriet che diversi individui possono possedere o,
invece, (secondo la distinzione terminologica che abbiamo, a suo tempo,
introdotta): la monade identica
allidea di Uno, se, al contrario, pensassimo che Uno sia il nome proprio di qualche individuo esistente, magari nel
mondo iperuraneo. La nostra ideografia non in grado di distinguere tra le due
possibili interpretazioni che corrispondono a due diverse metafisiche. Ma dal
momento che la propriet uno si dice
di ogni individuo, vale la prima interpretazione e, se Uno esiste, ovviamente Uno uno e
non serve ripetere il ritornello di Aristotele, che uno si dice in molti sensi, se si vogliono evitare le
contraddizioni.
Del resto, questa era la
polemica che gli Eleati portavano avanti contro i rozzi predecessori di
Aristotele.
Notiamo, tuttavia, che si
pu porre, senza inconvenienti Uno . =
. ι uno;
ma, in tal caso, bisogner scrivere Uno . = . monade e monade Monade, con la conseguenza che ci sarebbero infiniti mondi iperuranei.
Ma, naturalmente, in ogni
caso si avr:
uno monade ,
cio: uno
una monade che, senza la distinzione logica che abbiamo chiarito, sembra
che dica la stessa cosa di: la monade
luno.
I dossografi non sono in
grado di afferrare la differenza tra individuo ed elemento (tra άτομον e μονάς)
per cui riportano (vedi PR p. 489): Archita
e Filolao chiamano indifferentemente luno anche monade e la monade uno.
Molto probabilmente, invece,
i due Pitagorici menzionati volevano mettere in evidenza la diversit formale
tra la propriet e lelemento che ne il suo concetto.
Ma i dossografi sono ormai
sotto la cappa del vocabolario antiscientifico creato da Aristotele il quale,
anche se in qualche modo aveva intuito la profonda differenza della semantica
pitagorica rispetto a quella degli Ionici, non riesce a liberarsi dal concreto
sensibile e dalla sua logica grammaticale; dice infatti nella Metafisica (PR p. 520): I principi e gli elementi di cui si servono
i filosofi che sono detti Pitagorici, sono assai lontani da quelli dei
fisiologi. E la causa in questo, che essi non li hanno presi dalle cose
sensibili; gli enti matematici infatti, se si eccettuano quelli che riguardano
lastronomia, sono senza movimento.
La concezione degli enti
matematici di Aristotele oggi appare infantile, se confrontata a quella dei
Pitagorici che andava criticando; per cui egli si sorprende che i Pitagorici li
potessero applicare allindagine sulla natura ed allo studio delle cose percepibili. E si chiede stupefatto in
che senso si deve intendere che il numero e le propriet dei numeri sono causa
delle cose che sono.
Per capire cosa mai i
Pitagorici intendevano dire, useremo le notazioni di Peano.
Indichiamo com x
un individuo che appunto uno e indivisibile come l άτομον dei greci.
Con indivisibile dobbiamo
intendere loggetto pensato come indiviso, cio in quanto individuo anche se, per altri aspetti, pu essere divisibile
allinfinito.
Si pensi al termine retta: possiamo pensare la retta come
individuo indivisibile componente di uno spazio fatto di rette o come insieme
di punti e quindi divisibile allinfinito.
Nel linguaggio formale
bisogner usare due simboli diversi per i due concetti se, nel contesto in cui
se ne parla, servono entrambi: se P la
propriet punto, P sar
la comprensione di P e cio la propriet insieme di punti. Cio: P . = . punto e P .
= .
insieme di punti.
Supponiamo che R . = . retta. Sarebbe errato scrivere: R P in quanto si avrebbe per sillogismo (nella sua forma singolare) x
R . . x P, cio, se x una retta
allora x un punto.
Bens, dobbiamo scrivere: R P, che
d origine a: x R . . x P
(ovvero: x R . . x P), cio se x una retta allora x un insieme di punti.
Ma, nello stesso tempo,
avremo: ι x R . . ι
x P cio,
ι x il concetto di una data retta x; x, invece, una
tra le propriet possibili degli insiemi di punti, cio della comprensione del concetto insieme di punti, e, a sua volta, il
concetto insieme di punti la comprensione del concetto punto.
Nel linguaggio ordinario,
con il termine retta si intendono
entrambe le cose e non si possono evitare le contraddizioni.
Allo stesso modo, se
scriviamo: x monade avremo x = uno;
ma se scriviamo: ι x
monade
(monade=elemento=concetto di essere uno), dobbiamo intendere ι x . = . uno e quindi: x ι x . = . x uno e, ancora: x = x . = . x uno. Cio, se qualcosa una monade essa luno e, invece, quella
cosa di cui predichiamo che una, sempre uguale a se stessa e viceversa.
Di nessun concetto (o idea) noi possiamo predicare che non uno;
perch arriveremmo alla conclusione assurda che x x. Quindi se qualcosa un concetto
o unidea, allora una.
Ma, dal momento che la vera
realt, lessenza delle cose tutte, sono i concetti, allora se qualcosa allora
essa una. E, allo stesso tempo, uno sar
molti, anzi infinito, essendo che infiniti sono gli individui dellestensione
del suo concetto. Asserzione che verr, poi, ribadita dagli Eleati.
Tale asserzione esprime il
fatto ovvio che qualsiasi idea o concetto uno, financo il concetto di pluralit.
E, viceversa, qualsiasi propriet che non sia unidea singolare molti, come
la stessa propriet di essere uno.
Abbiamo convenuto che uno una propriet, infatti, non esiste
alcun individuo di cui Uno sia il nome proprio.
Ma una volta che ci siamo
formati il concetto di uno, per
contrapposizione logica, acquistiamo anche il concetto di non-uno, che pu essere o semplice molteplicit, cio numero, o
linfinito cio il non numerabile (nel senso che non possibile assegnargli un
numero ne viene che i numeri
interi, essendo infiniti, non sono numerabili; contrariamente alla definizione
odierna, originatasi dalle ipotesi di Cantor) ottenendo cos la diade, cio la coppia (uno;non-uno) che perci viene detta infinita dai Pitagorici, in quanto
ogni cosa uno o non-uno.
Quindi la diade non lidea di due.
Tuttavia gli individui della
diade sono due; ma tali due individui sono propriet complementari delle cose
tutte.
Lo stesso vale per qualsiasi
altra propriet. In altre parole, tutte le volte che introduciamo una nuova
propriet, se essa non la propriet
assurda (il non-essere) o la propriet banale (lessere), allora
esisteranno individui che hanno la propriet complementare. Quindi tutto il
mondo viene generato (logicamente) dalle
coppie di contrari di cui i Pitagorici ne fanno un lungo elenco a scopo
esemplificativo.
Ma non tutte le propriet
sono attribuibili alluno in quanto individuo della monade perch molte altre
propriet sono attribuibili solo agli individui che hanno la propriet di
essere uno o non-uno, che sono tutti gli individui del mondo (fisico o logico
che esso sia).
Ma se limitiamo il campo di ricerca, identificando la diade
con la totalit delle cose che sono nello spazio (la monade coincider, in
questo caso, con il concetto di punto), avremmo:
diade
=(punto;non-punto) e gli individui elementari sarebbero solo gli indivisibili punti.
Con ci abbiamo creato
unaltra diade di enti contrapposti e cio la contrapposizione concreto-astratto; per cui lindividuo, in quanto pensato come
essere concreto, sottost come materia
alla monade che causa ovvero elemento,
(o anche: principio, forma, idea,
essenza, sostanza, ecc, che sono gli svariati termini con i quali, nel
fluire dellentropia durante il corso dei secoli, si tradotto il termine
greco αιτία o
gli altri termini con i quali Aristotele crede di spiegare il predetto
termine).
Che questa nostra
interpretazione possa essere la pi corretta (necessit logica a parte) viene
confermato da certe parole dello stesso Aristotele, l dove dice (PR p.
512-13): Al tempo di costoro [Leucippo e
Democrito], si dedicarono alle matematiche e per primi le fecero progredire quelli che
son detti Pitagorici. Questi, dediti a tale studio, credetterro che i principi delle matematiche
fossero anche principi di tutte le cose che sono [notiamo che i princpi
delle matematiche sono princpi logici].
Or poich principi delle matematiche sono i numeri [questa ci sembra una
personale opinione di Aristotele; infatti, per i Pitagorici non c differenza
fra numeri e rapporti tra grandezze; e tutte le cose del mondo hanno grandezze
fisiche; e solo mediante queste le descriviamo! infatti i Pitagorici:] vedevano espresse dai numeri [perfino] le
propriet e i rapporti degli accordi armonici ... hanno pensato che due sono le cause i Pitagorici, ma essi hanno in pi
pensato, e in questo la loro singolarit, che il
limitato e linfinito e luno non siano attributi degli
altri enti, come il fuoco e
la terra e qualunque altra cosa
simile a questi, ma che lo stesso illimitato e lo
stesso uno siano la sostanza delle cose che da essi sono predicate [infatti
fuoco uno uno predicato
= essenza = causa = elemento = sostanza = ...] ... di numeri compongono lintero cielo; ma non di numeri formati da unit
senza grandezza, ch essi attribuiscono grandezza alle unit. ... Dicendo che sostanza
lunit, e non la cosa di cui si dice che una,
Platone daccordo coi Pitagorici; e ancora
saccorda con essi quando dice che i numeri sono causa dellessere delle altre cose [cio sono propriet delle
cose che sono]. Suo proprio invece
laver sostituito la diade allinfinito concepito come uno, e aver creduto che
linfinito consti del grande e
del piccolo [infatti, per i
Pitagorici, linfinito qualunque cosa sia diverso dal niente, dalluno e dal
molti, indipendentemente dal fatto che sia grande o piccolo, i punti di un
granellino di sabbia sono infiniti come quelli dellintero universo fisico]. Inoltre egli pose i numeri fuori delle cose
percepibili, mentre essi dicono che le cose stesse sono numeri [infatti, p.
es., gli occhi delluomo sono 2 e
gli occhi sono cose!
Se ne diamo unaltra interpretazione, bisogner pensare che i Pitagorici
fossero dei deficienti! ma questo proprio non sembra!], e non pongono nel mezzo gli enti matematici [da Platone
indebitamente ipostatizzati!]. Questo, il
porre, diversamente da quanto fanno i Pitagorici, luno e i numeri fuori delle
cose, e introdurre le specie egli pot fare perch
nella ricerca si serviva della dialettica, che i filosofi precedenti non
conoscevano.
Con il significato odierno
di dialettica diremmo che i filosofi precedenti erano dialettici, mentre
Platone era assolutamente adialettico, a meno che per dialettica non si intenda
la possibilit di asserire contemporaneamente due asserzioni contraddittorie,
come spesso viene intesa.
Ma come mai dai numeri nascono i punti?
Questo ce lo faremo spiegare
dal pitagorico Archita (PR p. 491): Sio
mi trovassi allestremit dello spazio, ad esempio nel cielo delle stelle
fisse, potrei tendere la mano o un bastoncino fuori di quella? o non potrei?
Se consideriamo come unit
di misura il bastoncino (o la mano, in tal caso parleremmo di un palmo), con
lesempio di Archita avremmo generato la serie dei numeri interi e al limite linfinito. La domanda di
Archita non altro che un modo di enunciare il principio di induzione
matematica cos come formalizzato da Peano. Ma il bastoncino lo possiamo
dividere in sottomultipli sempre pi piccoli e al limite, otterremmo i punti.
divertente, a questo
proposito, osservare lincapacit di Aristotele di pensare i numeri come
riferibili alle grandezze fisiche; al pi, ed ovviamente sbagliando, identifica
lunit con il punto (PR p. 516): Anche
i Pitagorici pensano che il numero sia dun modo solo, e cio [numero]
matematico ...Di numeri infatti
compongono lintero cielo; ma non di numeri senza grandezza, ch essi
attribuiscono grandezza alle unit e pi oltre, avendo stabilito, invece,
che almeno le unit non possono avere grandezza essendo indivisibili (non si
capisce perch!), si chiede attonito: com
possibile che una grandezza sia composta da indivisibili? E tuttavia il numero
formato da unit. Essi invece dicono che il numero le cose che sono, o
almeno applicano i loro teoremi ai corpi, come se i numeri fossero corpi.
Ma per Pitagora di punti si compongono le linee e di queste le figure piane e di queste, a loro
volta, le figure solide.
Ed in che altro modo
potremmo descrivere i corpi sensibili se non con questi
strumenti matematici?
Forse che fuoco, acqua, terra, aria non sono
corpi sensibili?
E tuttavia essi assumono
forme geometriche ed hanno grandezza!
Baster aggiungere il
movimento per ottenere il cosmo animato
e intelligente. Intelligente perch concepito dalla nostra intelligenza.
Tale filosofia stata in
seguito praticata da Democrito e da Archimede ed stata esplicitamente
enunciata da Galileo asserendo che la natura un libro aperto ma che i suoi
caratteri sono figure geometriche.
Ma ecco il concetto
centrale: il cosmo animato creato
dallintelligenza, la quale si contrappone al caos informe delle sensazioni.
Il concetto di ordine
fondamentale per il cosmo; nella lingua greca i due concetti hanno lo stesso
nome. Aezio (PR p. 131) dice: Pitagora
fu il primo a chiamare cosmo la sfera delle cose tutte, per lordine che esiste
in essa.
molto probabile che il
concetto di ordine derivasse da quello di legge
scritta che dalla sfera sociale veniva estesa alla sfera naturale. Nella Storia del mondo antico della Cambridge
University Press, lo storico P.N. Ure, in relazione al fatto che le prime
legislazioni scritte nel mondo di lingua greca si devono ai legislatori
pitagorici Zeleuco di Locri e Caronda di Catania, scrive: Nelle comunit di fondazione relativamente recente della Magna Grecia
e della Sicilia le costumanze inveterate erano indubbiamente considerate meno
sacrosante che nella madrepatria, circostanza che pu spiegare il ruolo
eminente che queste regioni ebbero nel mutamento importantissimo rappresentato
dallintroduzione di codici scritti.
Che le cose nella mente di
Pitagora fossero legate assieme testimoniato da Diogene Laerzio il quale
riferisce che egli scrisse tre libri: Delleducazione,
Del governo delle citt, Della natura.
Ma questo della natura non
un ordine statico in quanto il cosmo animato, cio dotato di movimento.
Questa semplice idea rende logicamente impossibile la concezione del mondo
propria degli Ionici la quale, a sentire Teofrasto (PR p. 138), fu anche
ripresa dallex pitagorico Ippaso (il quale sembra che abbia organizzato una
rivolta politica allinterno delle citt rette dai Pitagorici): Anche Ippaso di Metaponto ed Eraclito di
Efeso dissero che luno mosso e limitato, ma pensarono come fuoco il
principio, e dissero che dal fuoco nascono le cose per condensazione e per
rarefazione, e che in esso poi le cose si dissolvono, perch questa sola per
essi la natura che fa da sostrato.
Ma per capire come tale
assunzione sia in assoluto contrasto con le teorie pitagoriche bisogner
seguire la linea consequenziale del pensiero degli Italici emergente dal poema Sulla Natura scritto da Parmenide (PR p.
271):
Orbene io ti dir e tu ascolta attentamente le mie parole,
quali vie di ricerca sono le sole pensabili:
luna dice che e che non possibile che non sia,
il sentiero della Persuasione (giacch questa tien dietro alla
Verit);
laltra dice che non e che non possibile che non sia,
questa io ti dichiaro che un sentiero del tutto inindagabile:
perch il non essere n lo puoi pensare (non infatti possibile),
n lo puoi esprimere.
Prima di riportare questi
versi Sesto Empirico premette: (PR p. 268) Il
suo [di Senofane] discepolo Parmenide condann il discorso di opinione, cio
quello costituito di rappresentazioni non salde, e pose come criterio il
discorso scientifico, cio quello che non pu essere rovesciato, rifiutando
ogni credibilit alle sensazioni. E Simplicio (PR p. 269) dice: Questi uomini posero una duplice ipostasi:
luna ci che realmente , lintelligibile; laltra ci che diviene, il
sensibile, che non credettero di chiamare essere assoluto, ma essere apparente.
Ragione per cui dicono che dellessere c verit di ci che diviene opinione.
Mettiamo le affermazioni di
Parmenide in simboli: Nella via della Persuasione e della Verit (oggi diremmo
della Logica) se asseriamo $a dobbiamo
asserire necessariamente a ; e non possiamo asserire
~$a e
nello stesso tempo a .
Se, daltra parte, astraiamo
da qualsiasi propriet a, come in
seguito penser di poter fare Aristotele introducendo il suo multiforme e
perci ambiguo concetto di ούσία
, ci ridurremmo alla propriet
banale posseduta da tutte le cose e alla sua complementare, la propriet assurda che nessuna cosa
(nemmeno puramente ideale) pu possedere, come si visto nelle sezioni
precedenti.
Ed infatti il poema
parmenideo continua:
Bisogna che il dire e il pensare sia lessere: dato infatti essere,
mentre nulla non ; che quanto ti ho costretto ad ammettere.
Da questa prima via di ricerca infatti ti allontano,
eppoi inoltre da quella per la quale mortali che nulla sanno
vanno errando, gente dalla doppia testa. Perch lincapacit che nel
loro
petto dirige lerrante mente; ed essi vengono trascinati
insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi,
da cui lessere e il non essere sono ritenuti identici
e non identici, per cui di tutte le cose reversibile il cammino.
Quindi per Parmenide la
descrizione (il dire e il pensare) della
realt coincide con la realt stessa (lessere);
il resto nulla; cio,
1ingannevole effetto di sensazioni informi (prive di alcuna individuabile
propriet):
Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero
n labitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo
questa via,
a usar locchio che non vede e ludito che rimbomba di suoni illusori
e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina che io ti
espongo. ...
Lessere, in quanto tale,
un ente della logica, cio del nostro modo di esprimerci e pertanto non ha
senso dire che ha unorigine o una fine; esso
Essendo ingenerato anche imperituro,
tutto intero, unico, immobile
senza fine.
Non mai era n sar, perch ora tuttinsieme,
uno, continuo. Difatti quale
origine gli vuoi cercare?
Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetter n
di dirlo n di pensarlo. Infatti non si pu n dire n pensare
ci che non . E quandanche, quale necessit pu avere spinto
lui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima?
Di modo che necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.
Giammai poi la forza della convinzione verace conceder che dallessere
alcunch altro da lui nasca. Perci n nascere
n perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i leganmi,
ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini;
o non . Si giudicato dunque, come di necessit,
di lasciare andare luna delle due vie
come impensabile e inesprimibile (infatti non la via vera)
e che laltra invece esiste ed la via reale.
Lessere come potrebbe esistere nel futuro?
In che modo mai sarebbe venuto allesistenza?
Se fosse venuto allesistenza non e neppure se per essere nel
futuro.
In tal modo il nascere spento e non c traccia del perire.
Neppure divisibile, perch tutto quanto uguale.
N vi in alcuna parte un pi di essere che possa impedirne la
contiguit,
n un di meno, ma tutto pieno di essere.
Per cui tutto contiguo: difatti lessere a contatto con lessere.
Ne consegue che parlare di
un principio materiale, unico, limitato ed in continuo movimento, con
condensazioni e rarefazioni, come fanno Eraclito ed il Pitagorista Ippaso (i
fisici, oggi, chiamerebbero la concezione del mondo di costoro una Teoria di Campo) unassurdit, perch
lessere se essere non pu che essere limitato, immobile, omogeneo, isotropo
e senza tempo. Tali propriet si possono solo attribuire ad un insieme di punti
indifferenziato; solo quando ne considerassimo anche la propriet della
estensione fisica diventerebbe lo spazio assoluto di Newton, che poi lo
spazio come modellato dalla geometria.
Infatti lessere
... immobile ... senza conoscere n principio n fine ...
E rimanendo identico nellidentico stato,
sta in s stesso ....
In quanto lessere un
costrutto logico non ha senso il dire che illimitato, altrimenti sarebbe incompiuto e manchevole; la qual cosa impossibile perch non esistono punti
che non siano punti dellessere: ... infatti la dominatrice Necessit lo tiene nelle strettoie del linmite
che tutto intorno lo cinge ....
Per introdurre il concetto di spazio illimitato abbiamo bisogno di introdurre altre propriet oltre a quella primordiale di essere, come gi detto.
Senza di queste
saranno tutte soltanto parole ... nascere e perire, essere e non essere, cambiamento di luogo e mutazione del
brillante colore.
In assenza di altre propriet non c niente che possa cambiare nella sola propriet di essere. E lessere
compiuto da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera ... che egli infatti non sia n un p pi grande n un p pi
debole qui o l necessario ... n
c la possibilit che lessere sia
dellessere qui pi, l meno, perch
del tutto inviolabile..
A questo punto siamo costretti a osservare che se identifichiamo lessere con la materia, esso non potrebbe muoversi senza vuoti frapposti, ma allora lessere sarebbe e nello stesso tempo non sarebbe; sarebbe uno e, nello stesso tempo, molti. Ma ci contro la logica.
Aristotele crede di superare
la ferrea logica di Parmemmide opponendo che lessere si dice in molti sensi.
Ed vero! Ma proprio questo che Parmenide vuole superare! cio lambiguit
ed i molteplici sensi delle parole della lingua comune, legata al sensibile e
non adatta per un discorso veramente scientifico.
Ma come, a partire dalla
logica di Parmenide, possiamo spiegare lapparenza dei sensi?
Con ci interrompo il mio discorso degno di fede e i miei pensieri
intorno alla verit; da questo punto le opinioni dei mortali impara
a conoscere, ascoltando lingannevole andamento delle mie parole.
Perch i mortali furono del parere di nominare due forme,
una delle quali non dovevano e in questo sommo andati errati ;
ne contrapposero gli aspetti e vi applicarono note
reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo
che dolce e leggerissimo, del tutto identico a se stesso,
ma non identico allaltro, e inoltre anche laltro [lo posero] per s
con caratteristiche opposte, [come] notte senza luce, di aspetto denso
e pesante.
Questordinamento cosmico, apparente come esso , io te lo espongo
compiutamente,
cosicch non mai assolutamente qualche opinione dei mortali potr
superarti.
A partire da questo punto,
solo pochi sconnessi frammenti ci rimangono della titanica opera parmenidea.
Non ci resta che continuare con la sua ferrea logica.
Per spiegare il mondo dei
sensi, quindi, dobbiamo introdurre altre propriet
che non possono essere di natura logica come quella dellessere. In
contrapposto al logico, porremo il materiale.
Allora, tra i punti
dellessere ci saranno i punti materiali e
quelli non-materiali cio i punti
dello spazio vuoto di materia; cio,
il vuoto, il quale esiste alla stessa stregua della
materia. Perch sia i punti materiali che i punti privi di materia sono punti
dello spazio fisico che coincider
con lessere se gli individui del
nostro campo di ricerca sono solo
essi.
Queste cose, bench lontane, vedile col pensiero saldamente presenti:
non infatti distaccherai lessere dalla sua connessione con lessere
n quando sia disgregato in ogni senso completamente con cura sistematica
n quando sia ricomposto.
Si intende nella sua reale
unit di essere pensato; anche se prima o dopo lo possiamo ripensare completamente disgregato come
costituito di punti materiali che si muovono nello spazio geometrico. E questo
quello che concretamente ha fatto Archimede (vedi rifer. di cui a nota20).
Si pu concludere che per
Parmenide una Teoria di Campo logicamente autocontraddittoria ed solo
possibile una Teoria di Particelle come sar succesivamente precisata da
Leucippo e Democrito, i quali secondo Diogene Laerzio seguono, appunto, la
tradizione italica.
Ma prima di passare a questi
ultimi giganti, bene seguire le conseguenze della critica parmenidea alle
concezioni dei fisici dellopposta scuola di pensiero, come formalizzate dal
suo discepolo Zenone.
Atomi e vuoto.
Notiamo intanto che, con
limpostazione che abbiamo esposto, cade qualunque divieto per luso della
matematica nella descrizione fisica della realt, sia di tipo aristotelico che,
come abbiamo visto, relega la matematica allo studio di enti privi di materia e
privi di movimento; sia alla proibizione misticheggiante di tipo platonico.28
Anzi, per capire la realt
fisica, in quanto sintesi di materia e movimento, dobbiamo indagare a fondo
sugli enti matematici, che per gli Italici, non sono avulsi dalla realt ma
semplicemente astratti dalle impressioni sensoriali e che, anzi, costituiscono,
ormai, la realt stessa. Per essi non avrebbe alcun senso una matematica chiusa
su se stessa che non si curi di sapere di quali enti concreti si occupi.
Per loro non c differenza
tra geometria e fisica. E non vero che per essi gli assiomi della geometria
siano autoevidenti di per s, come la maggior parte dei commentatori moderni
asserisce, attribuendo ai Greci il
modo di ragionare di Aristotele, ma sono semplicemente quelli che meglio si
adattano a fungere da mattoni per il sistema deduttivo. Per esempio, non serve,
in questa logica, negare lassioma delle parallele per lo spazio fisico, perch
la sua asserzione compatibile con tutte le osservazioni empiriche.
Diogene Laerzio attribuisce
a Zenone la dottrina che Esiste un solo
mondo e il vuoto non esiste; ma molto
probabilmente, nella distorsioime postaristotelica, Diogene confonde il mondo
con lessere, cio con la propriet
banale (mentre per Zenone il mondo lessere materiale) e il vuoto con la
privazione di essere, cio con la propriet
assurda (mentre per Zenone il vuoto lessere privo di materia).
Infatti abbiamo visto che
per il suo maestro Parmenide lessere non materiale ma logico e solo in
questo senso uno. Del resto questo viene riconosciuto anche dallo stesso
Aristotele (PR p. 256).29
Ed la stessa rozza
filosofia di Antistene (di cui alla nota precedente) che impedisce ad
Aristotele e ai dossografi di capire gli argomenti di Zenone.
Con Zenone siamo meno
fortunati, in quanto i frammenti pervenutici sono pochissimi e le testimonianze
sono inaffidabili, data lopposta metafisica dei commentatori.
Ma abbiamo visto che i
frammenti di Parmenide sono compatibili con la logica della matematica cos
come formalizzata da Peano e, per coerenza, dobbiamo postulare che il discepolo
e difensore dellopera del maestro usi la stessa logica e, quindi, dobbiamo
assumere che i suoi discorsi fossero costruiti per ridurre allassurdo le tesi
degli antagonisti.
Esaminiamo prima le
conseguenze logiche dei postulati che abbiamo attribuito a Parmenide ed a
tutta la tradizione pitagorica.
Lente in quanto essere sensibile, oltre
alla propriet di essere (cio di essere costituito dai punti dello
spazio delle cose che esistono fisicamente ovvero la materia e di essere costituito
dai punti dello spazio privi di materia, ovvero il vuoto) deve avere altre propriet che lo rendono sensibile e cio estensione fisica caratterizzata da
propriet (massa, volume, forma, densit,
ecc.) che ne diversificano le diverse parti. A tali propriet sono
associate delle grandezze che le
misurano.
Senza di queste lente non niente (cio ni-ente=non-ente); come, del resto,
testimonia Simplicio (PR p. 302-03) riportando un frammento di Zenone: In questa argomentazione poi mostra che ci
che non possiede n grandezza n spessore n massa alcuna neppure esiste. Dice:
Se infatti venisse aggiunto a un altro essere non lo renderebbe per
nulla maggiore. Difatti, non avendo esso grandezza alcuna, quando venga
aggiunto non possibile che nulla aumenti in grandezza. E cosi senzaltro ci
che venne aggiunto non sarebbe nulla. Se poi, quando venga sottratto non
diventer per nulla minore, e neppure, daltro canto, quando quello venga
aggiunto questo diventer maggiore, chiaro che non era nulla n ci che venne
aggiunto n ci che venne sottratto.
E questo Zenone non lo dice per negare luno, ma perch ognuno dei
molti e infiniti ha grandezza ....
E tale grandezza
divisibile allinfinito (PR p. 303): Se
esiste necessario che ciascuna cosa abbia una certa grandezza e spessore e
che in essa una parte disti dallaltra. Lo stesso ragionamento vale anche della
parte che sta innanzi: anche questa infatti avr grandezza e avr una parte che
sta innanzi. Questo vale in un caso come in tutti i casi: nessuna infatti di
tali parti sar lultima e non possibile che non ci sia una parte a precedere
laltra. Cos, se [tali parti] sono molte, necessario che esse siano piccole
[in grandezza] e grandi [in numero]: piccole fino a non avere grandezza, grandi
fino ad essere infinite [in numero]30.
La continuit dellessere
(indipendentemente dal fatto che i singoli punti siano punti di essere solido e indivisibile o di essere fatto
di pori contigui,
come precisa litalico Empedocle,31)
, per Zenone, una necessit logica e non leventuale risultato di
unimpossibile osservazione empirica:
Se gli enti sono molti necessario che siano tanti quanti sono e non
pi n di meno. Ma se sono tanti quanti sono saranno limitati.
Se gli enti sono molti sono infiniti: sempre infatti in mezzo agli enti
ve ne sono altri e in mezzo a questi di nuovo degli altri. E in tal modo gli
enti sono infiniti.
O, in altre parole, se gli enti in quanto essere sensibile fossero numerabili
(molti)32 verrebbero
ad essere non numerabili. Quindi per
evitare contraddizioni logiche dobbiamo ammettere che anche lessere sensibile uno e continuo
nella sua essenza, anche se ci appare come costituito di parti che si
diversificano nelle varie propriet che ne definiscono lestensione fisica.
Se lo spazio fisico quello
che, per via di pura logica, stato delineato (che altro non che lo spazio
newtoniano!) non ha senso parlare di luogo
che contiene le cose come in un vaso (secondo la similitudine
aristotelica).33
Infatti, Zenone dice (PR p.
304): Ci che si muove non si muove n in quel luogo in cui , n in quello in cui non . In quanto sono le propriet dei punti
dello spazio che si modificano, non nel senso che il singolo punto sia pi o
meno denso di materia come nelle teorie di campo, che sono state dimostrate
logicamente contraddittorie da Parmenide; ma nel senso che nel corso del tempo
il singolo punto dotato o meno della propriet di essere materia o di essere vuoto.
La propriet di essere pi o
meno denso solo apparenza, in
quanto propriet di tutto un sistema di punti e solo in media di un determinato punto.
Aristotele, nella sua Fisica, spende decine e decine di pagine
credendo di poter contestare Zenone aggiungendo parole confuse a parole di cui
non ne comprende il significato. Ma non riesce a venirne a capo, passando da
una contraddizione allaltra. E, alla fine, se ne tira fuori ricorrendo al Deus ex machina (di cui ne contestava,
invece, luso nellarte drammatica) costituito dalla sua ineffabile distinzione
tra atto e potenza.
Ma, con lultima citazione
zenoniana, si esauriscono i frammenti di Zenone, come raccolti dal Diels-Kranz
(vedi PR). Saremo costretti a seguire Aristotele servendoci solo della logica,
ma non certamente della logica aristotelica!
Per Aristotele, Zenone
appare il negatore di ogni movimento. Ma la verit che Zenone negava la
possibilit logica del movimento se si fossero assunte le ipotesi che la lingua
comune assumeva e che Aristotele ha cercato di giustificare con larricchire la
lingua comune di altri termini di significato ancora pi ambiguo di quelli che
voleva spiegare.
Nel linguaggio comune si ipostatizza
una contrapposizione netta tra numeri e grandezze.
I numeri sono il regno del
discreto, le grandezze quello del continuo.
I numeri sono fatti di unit
e le unit sono indivisibili.
Le grandezze sono divisibili
allinfinito.
I Pitagorici affermavano,
invece, che i numeri sono rapporti tra grandezze, come abbiamo visto che lo
stesso Aristotele testimonia.
Ma, secondo lui, non sembra
che essi sappiano dire come sia composta la prima unit dotata di grandezza
(naturalmente questo non vero come dimostra il ragionamento di Archita,
precedentemente da noi citato, da cui emerge chiaramente che per i Pitagorici
il numero non altro che il risultato delloperazione di misura delle
grandezze per confronto con lunit di misura. E, questultima nello stesso
tempo unit e grandezza).
Ma questo per Aristotele
inconcepibile (PR p. 516-17):
Il modo [di concepire il numero] dei Pitagorici comporta meno difficolt di
quelle di cui ho parlato finora, ma ne comporta altre sue proprie. Perch, se
il concepire il numero come non separato [dalle cose] elimina molte difficolt,
assurdo tuttavia dire che i corpi sono composti di numeri e concepire nello stesso tempo questi numeri come matematici. infatti
errato parlare di grandezze indivisibili: e, daltra parte, se
sono soprattutto in questo modo [come grandezze], almeno le unit non hanno
grandezza. Ora com possibile
che una grandezza sia composta di indivisibili? E tuttavia il numero formato
di unit.
Ecco da dove proviene
lassurdo! Per Aristotele, le grandezze sono sempre divisibili, le unit sono
indivisibili, quindi le grandezze e i numeri sono inconciliabili. Daltra
parte, anche i punti sono indivisibili e quindi sono unit, per cui i corpi non
possono essere composti di punti, come concluder nella Fisica, ricorrendo alla finzione, di natura puramente verbale, che
i punti sono il limite e le grandezze il limitato.
Questa, in seguito a
complicatissimi (e senza senso) ragionamenti, porter Aristotele a concludere (Fisica 218a 18, 19): In realt, si deve ritenere impossibile che
gli istanti siano continui tra loro, come impossibile la continuit tra punto
e punto.
Ma, nello stesso tempo, per
Aristotele, listante separa i due tempi prima e dopo il movimento e il punto
separa i due luoghi dove si trovava loggetto prima e dove si trover dopo il
movimento.
Ma Aristotele, dopo che in
varie opere ha enunciato che la cosa pi certa che non si pu affermare
contemporaneamente una propriet e la sua contraria, risolve il problema
dicendo che: listante in parte
identico e in parte non identico (Fisica 219b 32).
Ma se si assumono tali
ipotesi, il moto risulta impossibile logicamente; e questo quello che Zenone
dimostra.
Primo argomento: Se punti e
istanti non sono continui lintervallo tra di essi, comunque piccolo, sar una
grandezza finita. Allora, supponiamo che bisogna percorrere una lunghezza
finita in un tempo finito.
Cadremmo subito in contraddizione, perch per percorrere la lunghezza bisogner
prima percorrerne la met. E poi la met della met. E cos via di seguito per
un numero infinito di volte. Quindi, per lipotesi che gli intervallini sono
finiti, occorrer un tempo infinito e la distanza stessa risulter infinita.
Aristotele crede di superare
largomento dicendo che il rapporto di due grandezze infinite pu essere finito
(Fisica 233a 13-28):
... risulta ovvio che, se il tenmpo continuo, lo pure la grandezza, se
vero che nella met di un dato tempo si percorre la met di una data
grandezza e, insomma, in un tempo minore una grandezza minore: identiche, infatti,
saranno le divisioni del tempo e quello della grandezza, e se uno qualsivoglia
dei due infinito, lo sar anche laltro; e nel modo in cui
finito il primo, nello stesso modo lo sar anche laltro; ad esempio, se il
tempo infinito per le estremit, anche la grandezza lo sar per estremit; e se quello infinito nella divisione, nella divisione sar infinita
anche la grandezza; e se il tempo infinito in ambedue le guise, sar infinita
anche la grandezza in ambedue le guise.
Anche per questo il ragionamento di Zenone erroneamente presuppone limpossibilit che si possano percorrere gli infiniti o che possano toccarsi ciascuno successivamente in un tempo finito. Difatti, tanto la grandezza quanto il tempo e, in generale, ogni cosa continua si dicono infiniti in due sensi, cio o per divisione o per gli estremi. Pertanto, gli infiniti che son tali secondo la quantit, non possono toccarsi in un tempo finito; quelli, invece, che son tali secondo divisione, lo possono, perch il tempo stesso infinito sotto questo aspetto.
Il ragionamento di
Aristotele dice cose banali se riferite al moto uniforme, false se riferite al
moto in generale come da lui considerato, ma soprattutto trascura di ricordare
il fatto pi importante che per lui non c continuit n tra gli istanti n
tra i punti, per cui ogni grandezza infinita per divisione deve risultare,
necessariamente, anche infinita per gli estremi. Nella sezione successiva
sembra ricordarsene, ma per uscirne ricorre alla incomprensibile dialettica tra
potenza e atto. Il teorema di Zenone resta in piedi tutto intero.
Ma era quello, che noi
abbiamo posto, il problema di Zenone?
Non lo potremo mai sapere!
Ma possiamo fare delle
ipotesi sulla cultura matematica di Zenone in base alla tradizione
che abbiamo descritto e ai pochi frammenti che ci rimangono; cose che depongono
a suo favore. Nello stesso tempo, abbiamo la prova inequivocabile della
incapacit di ragionamento scientifico che dimostra Aristotele in tutti i suoi
scritti. Ma lo stesso Aristotele ci d un indizio (PR p. 295):
Allo stesso modo bisogna opporsi a quelli che ci fanno obbiezioni
conformi al ragionamento di Zenone [e ritengono] che se si deve pur sempre
percorrere la met, e se queste met sono infinite, non si pu percorrere
linfinito, o anche ad altri che ci fanno obiezioni in maniera diversa, ma
conformi pur sempre a quello
stesso ragionamento, ritenendo che, nello stesso tempo in cui avviene il
movimento nella met del percorso, si deve prima numerare la met che risulta
da ciascuna met, sicch, mentre loggetto percorre lintero, accade che esso
abbia numerato un numero infinito: cosa che, per comune consenso,
riconosciuta impossibile.
Secondo argomento: detto Achille. Niente di nuovo rispetto al primo,
come ci dice Aristotele, a parte il
fatto che la grandezza successivamente assunta non viene divisa per due dal
momento che chi insegue giunga in
precedenza l di dove si mosse chi fugge; e a parte la drammaticit del
fatto che la tartaruga non potr mai raggiungere il pi veloce Achille.
Su questo argomento, i
commentatori moderni attribuiscono a Zenone laffermazione che non possibile
ottenere una lunghezza finita come somma di una serie infinita, dimenticando
anchessi di assumere, come viene esplicitamente assunto da Aristotele, il se esistono unit indivisibili (che non sono la stessa cosa degli indivisibili; infatti i punti sono
indivisibili ma non sono unit e le unit (in quanto unit di misura) sono
grandezze e sono sempre divisibili. Quindi la contraddizione viene
dallassunzione gi contraddittoria che esistano unit indivisibili, che ci
che appunto Zenone voleva dimostrare ricorrendo al ragionamemmto per assurdo).
Terzo argomento: La freccia
scoccata dallarco non si muove, se, ovviamente, si fa lipotesi, che anche
di Aristotele, che la freccia occupa un luogo che trasporta con se come un vaso
e inoltre diciamo, come dice Aristotele, che un corpo fermo quando occupa il
suo luogo, cio uno spazio uguale al corpo stesso. Ma in ogni istante questo
vero; quindi, per definizione, il corpo fermo in ogni istante e quindi
sempre. Aristotele crede di poter superare la contraddizione negando che il
tempo sia costituito da istanti. Ma questo palesemente assurdo e Aristotele
se ne esce dicendo che in un senso listante nel tempo e in un altro senso no
per via del solito sotterfugio della potenza e dellatto a cui ora si deve
aggiungere unancora pi misteriosa entelechia
che rende perfetto latto. Amen.
Quarto argomento: quello delle masse uguali che si muovono
lungo masse uguali in senso contrario, le une dalla fine dello stadio, e le
altre dalla met con uguale velocit. In esso crede che si provi che sono un
tempo uguale il tempo met e
il tempo doppio. Il paralogismo consiste
in questo, nel ritenere che con la stessa velocit si percorra nello stesso
tempo ha stessa grandezza presa in un caso lungo un mosso e nellaltro lungo un immobile.
Questo invece falso. (PR p. 298).
Verissimo! ma, al solito
Aristotele, si dimentica di dire che con le sue ipotesi, pi volte qui sopra
ricordate, le due velocit devono essere uguali! Non ha senso contestare un
teorema cambiando le ipotesi lungo la strada! Ma, per Aristotele, la fisica
una cosa che percepiamo con i sensi e la logica e la matematica sono unaltra
cosa, da usare solo per fare discorsi con parole senza alcun significato. Come
del resto avviene oggi per i cosiddetti logici o metamatematici moderni.
Con il contestatissimo
Zenone si pu terminare qui.
Dopo di lui, entro la stessa
tradizione, viene un altro grande scienziato, naturalmente molto inviso ad
Aristotele, si tratta dellagrigentino Empedocle. Anche se, in
questo caso, i frammenti pervenutici non sono pochi, la loro natura esula
dal problema che stiamo trattando.
Possiamo per affermare che
il suo discorso scientifico sta dentro la tradizione italica, come del resto
testimoniato da quasi tutti i dossografi e non si capisce perch Aristotele,
spesso, lo contrappone agli altri.
interessante la
testimonianza di Neante, riportata da Diogene Laerzio (PR p. 325) che fino a Filolao e ad Empedocle i Pitagorici
comunicavano le loro dottrine; ma
che quando Empedocle le rese pubbliche
attraverso la poesia, stabilirono la norma che non fossero comunicate a nessun poeta (e questo
dice che dovette subirlo anche Platone: anche costui infatti ne rest
escluso).
Naturalmente questo ci
appare inevitabile nel constatare come Platone abbia deformato le loro dottrine
continuando ad autodefinirsi Pitagorico.
Per Aristotele (PR p. 347)
il poema di Empedocle non molto comprensibile:
Se la dissoluzione avr un termine, il corpo in cui si arrester sar
o un atomo o bens divisibile, ma tale che nel fatto non sar mai diviso, come
sembra voler dire Empedocle.
Queste cose che sembra voler dire Empedocle saranno
chiarite da Democrito che fa parte della stessa tradizione come sappiamo per
mezzo di Diogene Laerzio che parlando dellabderita dice (PR p. 665): Sembra, dice Trasillo, che egli sia stato
un grande ammiratore dei Pitagorici, anzi fa menzione dello stesso Pitagora,
parlandone con ammirazione nellopera che sintitola dal nome di lui. E
parrebbe che Democrito avesse tratto da Pitagora tutte le dottrine e che ne
fosse stato anche scolaro, se la cronologia non facesse ostacolo. Che in ogni
modo per egli sia stato alla
scuola dei Pitagorici, ci attestato da
Glauco di Reggio, vissuto nella stessa epoca di Democrito. E anche Apollodoro
di Cizico dice che frequent Filolao.
Dobbiamo ritenere che nello
stesso periodo circolavano due opposte interpretazioni delle dottrine
pitagoriche, quella di Platone e quella di Democrito e questo spiegherebbe
quello che riferisce Diogene Laerzio (DL p. 367-68): Aristosseno nelle sue Memorie Sparse afferma che Platone ebbe
lintenzione di bruciare tutte le opere di Democrito che pot raccogliere, ma
che i pitagorici Amicla e Chinia lo distolsero dal suo proposito, in quanto non
ne avrebbe tratto utilit alcuna, perch ormai i libri erano ampiamente diffusi
nel pubblico. E ci chiaro. Infatti, Platone, che pure menziona quasi tutti i
filosofi arcaici, non accenna mai a Democrito neppure l dove avrebbe dovuto
contraddirlo, evidentemente perch era consapevole che avrebbe dovuto
gareggiare col migliore dei filosofi, che anche Timone non pot fare a meno di
lodare ...
Resta il problema di capire
perch quasi tutta lopera di Platone arrivata fino a noi e niente della
copiosa opera di Democrito ci pervenuta. Unipotesi per questo apparente
miracolo sar avanzata nella prossima sezione.
Stranamente, pochissimi sono
i frammenti genuini di Democrito ma moltissime le testimonianze il pi delle
volte distorte o male interpretate.
Ma dai pochissimi frammenti
indubbio che egli esprime la filosofia e la scienza della tradizione italica.
Sesto Empirico riporta il
seguente frammento (PR p. 748): Opinione
il dolce, opinione lamaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il
colore; verit gli atomi e il vuoto.
Cio le sensazioni sono solo
opinione perci fallibili, i costrutti logici di atomi e vuoto sono la realt
scientifica.
Infatti Galeno, che uno
scienziato, commenta tali parole (PR p. 688): ritenendo che tutte le qualit sensibili, chegli ritiene relative a
noi che ne abbiamo sensazione, derivano dalla varia aggregazione degli atomi, ma
che per natura non esistano affatto bianco, nero, giallo, rosso, dolce amaro:
infatti lespressione per convenzione [vόμω] equivale, per
esempio, a secondo lopinione comune [vόμιστί]
e a relativamente a noi [πρός ήμάς],
cio non secondo la natura delle cose, la
quale egli indica con lespressione secondo verit [έτεή]
ricavata da έτεόυ, che significa vero. E tutto il
senso di questo discorso sarebbe il seguente: gli uomini credono che sia
qualche cosa di reale il bianco e il nero, il dolce e lamaro, e tutte le altre qualit del genere, mentre in verit ente e
niente = non-ente sono tutto
ci che esiste, perch Democrito usava anche questi termini, chiamando ente
gli atomi e niente il vuoto. Cos
tutti quanti gli atomi, essendo corpi piccolissimi [oggi diremmo punti
materiali o particelle
elementari], non posseggono qualit sensibili, ed il vuoto uno spazio nel
quale tali corpuscoli si muovono tutti quanti ....
Lo stesso Democrito, secondo
Sesto Empirico, dice (PR p. 749), ripetendo in prosa la teoria che Parmenide
aveva espresso in versi:
Vi sono due forme di conoscenza, luna genuina e laltra oscura; e a
quella oscura appartengono tutti quanti questi oggetti: vista, udito, odorato,
gusto, tatto. Laltra forma la genuina, e gli oggetti di questa sono nascosti
[alla conoscenza sensibile e oscura]. Quando la conoscenza oscura non pu pi
spingersi ad oggetto pi piccolo n col vedere n colludire n collodorato n
col gusto n con la sensazione del tatto, ma si deve
indirizzar la ricerca a ci che pi sottile, allora
soccorre la conoscenza genuina, come quella che possiede appunto un organo pi
fine, appropriato al pensare.
Pi duno tra i dossografi
testimonia che Democrito chiama idee gli
elementi e i principi delle cose che sono. Gli atomi sono gli individui, cio
gli indivisibili di tali idee. E in quanto una porzione di spazio
materia in modo continuo, essa solida
cio indivisibile fisicamente (senza pori) e anchessa si comporta come un
atomo, in quanto non pu avere qualit sensibili (che sono generate dalla
mescolanza di atomi e vuoto mediante linterazione con i nostri sensi,
anchessi composti di atomi e vuoto).
Di questi solidi niente possiamo sapere senza
opportuni modelli particolari da verificare con opportuni esperimenti, se non
quello che possiamo dedurre per via puramente logica e cio che essi possono
differire solo per forma e volume e per la posizione che occupano nello spazio.
E dal punto di vista logico, possono essere piccoli quanto si vuole (ma non di
grandezza nulla) e grandi quanto il mondo.
La loro massa, finch sono solidi sar, necessariamente,
proporzionale al volume, perch non c motivo che la densit della materia
indistinta e priva di vuoto sia diversa da un solido allaltro.
Da queste ipotesi Democrito
sviluppa tutta una scienza integrata che ci appare, nonostante le distorsioni
dei commentatori, come moderna e grandiosa perch ricavata solo al lume della
logica, astenendosi da ipotesi azzardate, quando la logica ne lasciasse aperte
pi possibilit.
Infatti Democrito raccomanda
(PR p. 784): Non sforzarti per sapere
tutte le cose, perch c il rischio che tu finisca ignorante su tutte.
Ma, nello stesso tempo,
inizia la sua opera intitolata Piccola
Cosmologia (PR p. 784):
In questa
trattazione discorro di tutte le cose ...
In altre parole: Evita di
sapere Tutto su Nulla come lo specialista di Bernard Show e nello stesso tempo
evita di sapere Nulla su Tutto come i tuttologi radiotelevisivi. Affidati solo
alla ragione e non fare ipotesi azzardate che non siano testimoniate dai sensi.
In base a questa regola,
quali possibilit esistono per il moto degli atomi?
Riferisce Simplicio (PR p.
681): Del fatto che le sostanze
rimangano in contatto tra di loro per un certo tempo, egli d la causa ai
collegamenti e alle capacit di adesione degli atomi.
E qui Simplicio d un elenco
di possibilit, oggi, tutte spiegabili con le forze molecolari.
Ma come avviene la
disaggregazione?
egli reputa dunque che gli atomi si tengano attaccati gli uni agli
altri e rimangano in contatto solo fino a quando, col sopraggiungere di qualche
azione esterna, una necessit pi forte non li scuota violentemente e li
disperda in varie direzioni.
Ma da dove pu provenire lazione
esterna se tutto lessere formato da atomi e vuoto? Dai commentatori non lo
sappiamo perch ipotizzano cose contraddittorie ma la logica ci dice che gli
atomi, necessariamente, interagiscono tra loro. Anche Newton sembra essere
della stessa opinione.34
Ma Aristotele pensa che nel
ragionamento di Democrito si nasconde un paralogismo perch (PR p. 684): Noi vediamo lo stesso corpo, saldamente
unito, presentarsi ora allo stato liquido, ora solidificato, senza che si sia verificata
in esso separazione o riunione di parti, e senza che ci si debba alla
direzione o al contatto reciproco, come dice Democrito: perch il corpo da
liquido si trasforma in solido senza spostamento interno e senza
modificazione della sua struttura.
Chiaramente Aristotele
condizionato dagli organi dei sensi e non riesce ad usare il senso pi sottile
che quello della ragione che opera secondo la logica che non quella
grammaticale di Aristotele.
Per Democrito che usa tale
organo si ha, invece, (PR p. 682): Se dunque il nascere aggregazione di atomi e il dissolversi
disgregazione, anche per Democrito il divenire non che modificazione di
stato che pu aversi solo per modificazione
della struttura interna dei corpi proprio causata dallo spostamento interno.
Ma vediamo ancora, in
unaltra importante questione, come Democrito usa la logica della matematica
per mostrare lassurdit delle unit indivisibili e la necessit dei punti
indivisibili (PR p. 780): Se un cono
viene secato da un piano parallelo alla base, come si dovranno immaginare le
superficie di sezione? verranno uguali o disuguali? Perch, se saranno
disuguali, renderanno irregolare il cono che verr ad avere tante incisioni e
scabrosit a gradini; ma se saranno uguali le superfici saranno uguali anche le
sezioni e il cono verr ad assumere laspetto del cilindro, in quanto
risultante dalla sovrapposizione di cerchi uguali e non disuguali: il che
manifestanaente assurdo.
Ecco perch Archimede mostra
grande stima per Democrito (PR p. 780): Perci
appunto anche circa questi teoremi sul cono e sulla piramide, di cui Eudosso ha
trovato per primo la dimostrazione, e cio che il cono la terza parte del
cilindro e la piramide del prisma che
abbiano la medesima base e uguale
altezza, non piccola parte di merito da attribuire a Democrito che per primo
formul, senza dimostrazione, lenunciato relativo alle figure suddette.
Notiamo che Archimede,
dicendo senza dimostrazione, intende semplicemente senza luso del metodo
(detto di esaustione) di Eudosso. Ma il merito di Democrito non piccolo perch ha usato il
concetto dei punti indivisibili e Archimede ne sa qualcosa, come risulta dal
suo Metodo Meccanico! (vedi rifer. di
cui a nota20).
Mito e scienza.
Da quanto detto, analizzando
la scienza dei cosiddetti presocratici, emerge che Platone e Aristotele
rappresentano un profondo, incommensurabile arretramento nellevoluzione del
linguaggio scientifico. Quindi chiaro che la teoria delle PULCI non valida.
Ci resta da capire il perch.
Dobbiamo cercare di
individuare i meccanismi che producono landamento fluttuante dellefficacia
del linguaggio a descrivere la realt.
Abbiamo accennato, nel Preambolo, che tali meccanismi sono
esterni al sistema della scienza e hanno radici sociali ed economiche.
Lazione di tali meccanismi,
la si pu osservare seguendo la nascita, lo sviluppo e la morte dei linguaggi
scientifici anche nelle pi antiche civilt della storia umana.
Si pu ipotizzare un
coerente modello per descrivere levoluzione di tali linguaggi. Ma prima
necessario sgombrare il campo dai secolari (o, forse, millenari!) pregiudizi
creati dal mito di quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI, dalla
quale si pu solo dedurre che gli antichi scienziati non potevano essere molto
di pi che promettenti bambini; mentre, esaminando le cose a fondo, si affaccia
prepotentemente alla mente il fondato sospetto che la profondit e lampiezza
del loro pensiero non era per niente inferiore a quella dei pi grandi geni
della nostra era e di gran lunga superiore a quella, inesistente, dei falsi
profeti.
Infatti, riesce difficile poter
conciliare le sbalorditive conoscenze di matematica, fisica e astronomia dei
popoli della valle del Nilo o di quelli delle regioni attorno al Tigri ed
allEufrate (come testimoniate da papiri e iscrizioni scoperti negli ultimi due
secoli; conoscenze che si fanno risalire a pi di mille anni prima di Talete,
considerato il progenitore della scienza Greca) con le sciocchezze che Aristotele
ed i suoi successori fanno dire agli eredi di lingua greca di tali popoli e
cio ad Italici e Ionici.
Per tale ragione faremo
lipotesi, che oggi potrebbe apparire rivoluzionaria ma che gi era stata
adombrata ai tempi di Pitagora da Teagene di Reggio, secondo la quale, a brevi
periodi particolarmente felici in cui si ha un effettivo progresso scientifico
susseguano lunghi periodi di caligine in cui si perde persino la capacit di
capire quello che, nel periodo precedente, era stato conquistato spesso a caro
prezzo.
Naturalmente, questo non
avviene per caso; perch un sistema, ormai corrotto, di simboli serve a
proteggere la classe che detiene il dominio del potere e della CULTURA, pur
se di questa se ne possa mantenerne il nome (ad ogni buon conto ed a scanso di
equivoci, le abbiamo riservato lonore dei caratteri maiuscoli non potendo qui
abusare di quelli cubitali).
Infatti, per fare solo alcuni
tra i mille possibili esempi, come spiegare il fatto che, nonostante le
immense conquiste scientifiche di Egizi e Mesopotamici, in Ionia ed in Italia,
agli albori della civilt greca, si deve praticamente ripartire da zero? E,
ancora, come spiegare, altrimenti, il fatto che Ionici ed Italici, dopo enormi
conquiste riescono a raggiungere le vette della scienza archimedea e,
nonostante ci, Galileo e Newton devono ripartire anchessi quasi da zero?
Le spiegazioni che usualmente
se ne danno non hanno n capo, n coda come acutamente osserva il
Farrington,35 il quale,
giustamente, propone una spiegazione fondata sulla struttura sociale e
politica.
Noi, qui, ci proponiamo di
ampliare questa tesi, mostrando lo stretto legame tra le strutture sociali e le
strutture linguistiche della scienza.
Il reggino Teagene, intorno al 500 a. c., difende Omero dallaccusa di
essere dannoso e sconvenientemente irriguardoso verso gli di adducendo che i
miti omerici non riguardavano gli di, in quanto i nomi ad essi attribuiti
stavano a rappresentare le concrete forze della natura. Certo, ai tempi dellovviamente
altrettanto sacrilega scienza pitagorica della natura, e particolarmente a
Reggio, dove allora Teagene scriveva, egli si poteva permettere una tale difesa
di Omero; trovandosi in un posto ed in unepoca tra quelle fortunate, se pur
brevi, in cui risulta possibile la pratica e lo sviluppo della scienza; chiss
se lavrebbe potuto nellAtene di Socrate!
Si potrebbe attribuire un senso
politico al mito, riportato da Filodemo, secondo il quale il poeta ed indovino
Epimenide diceva che le Arpie figlie di Oceano e di Gea furono uccise presso
Reggio!
Ma, per ironia della sorte,
sono rinate da quelle parti, costringendo proprio a Reggio gli ultimi
Pitagorici, scacciati a forza dalle loro citt-Stato.
Ma, a noi, resta il problema di
sapere perch Omero sentiva la necessit di nascondersi dietro il nome degli
di dellOlimpo!
Non sar forse la stessa
ragione per cui qualcosa sembra anche nascondersi nei miti attribuiti ad Orfeo,
il quale viene spesso associato ai Pitagorici?
Nel coro degli uccelli di
Aristofane si sente leco della teogonia orfica:
Il Caos e la Notte, lErebo oscuro, il Tartaro immenso primi regnarono;
n Terra, n Aere, n Oceano potevano esistere ancora;
ma dentro gli sterminati spazi di Erebo
un uovo
senza seme, per primo, le buie ali della Notte partorirono;
si
susseguirono le stagioni ed emerse da questo lamabile Eros,
dal tergo
splendente di ali dorate, qual
vortice duragano
egli si
un al Caos alato; nella notte del Tartaro
sconfinato,
il
genere dei mortali fu creato e portato
alla luce.
Non esistevano ancora gli di immortali, prima che Eros
accoppiasse le cose.
Ma quando ogni cosa allaltra fu accoppiata, Urano e Oceano comparvero
e
Terra; e, degli altri di,
lintera progenie immortale.
Proviamo a interpretare tali
versi secondo il suggerimento di Teagene:
Prima che luovo senza seme,
cio luomo in quanto astratto dal suo substrato materiale, in quanto pensiero,
potesse condurre i mortali alla luce del sapere, luniverso appariva disordinato;
era semplicemente Caos, sterminato come il Tartaro, informe come lErebo e buio
come la Notte. Prima che la mente delluomo distinguesse le cose, lidea stessa
di materia, nei suoi tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso (=
Terra, Oceano ed Aria), non era nemmeno pensabile.
Solo dal primigenio pensiero
pu sorgere lidea di Eros, cio della connessione intima di cose contrapposte
tra loro (lidea dei contrari dei Pitagorici cantata nei versi di Empedocle,
da cui pu nascere, in seguito, anche lidea di attrazione reciproca tra
cariche di opposta polarit). Questa, unendosi allidea di materia ancora
informe, ma in eterno movimento, rappresentata dal Caos alato, col susseguirsi
delle stagioni, porta i mortali dalla notte dellignoranza alla luce del
sapere. Non pu esistere il concetto di immortale senza quello, di origine
empirica, di mortale. Infatti, nei versi di Aristofane, gli di nascono dopo!
Solo cos si possono creare i
concetti scientifici (gli di immortali) di cielo, di mare e di terra (=Urano,
Oceano e Terra). Tali concetti, in quanto concetti, possono essere creati solo
dopo che siano nati gli uomini, con la luce del loro intelletto, ma ogni
concetto , per sua natura, eterno come, necessariamente sar successivamente,
anche lEssere di Parmenide.
E qua Aristotele e soci
scoprirebbero unaporia: come possibile che siano eterni e quindi increati se
sono stati creati dalluomo? Naturalmente, questo lo ipotizziamo perch
Aristotele non riesce mai a distinguere il concetto da quello che esso rappresenta.
La nostra stupida domanda sembra molto simile a quella che porta al paradosso
di Russell. lo stesso che chiedersi come pu essere immortale il nome
immortale che luomo stesso ha inventato?!
Che il
mito orfico si riferisse alla spiegazione razionale e soprattutto logica
delluniverso testimoniato dallaltro grande poeta greco Euripide che nellAlceste, riferendosi alle tavolette
di Orfeo di Tracia, canta:
Io,
grazie alle Muse,
mi son
librato in alto,
ho
esaminato ogni discorso,
ma, della Necessit, niente di pi cogente
ho
potuto scoprire, n altro si pu ricavare
dalle
tavolette di Tracia
che la
voce di Orfeo ha dettato...
Ricordiamo
che Euripide ha difeso con i suoi versi il suo amico Anassagora accusato di
empiet.36
La spiegazione orfica della
natura percorre tutta la scienza dei cosiddetti presocratici, dove, di volta in
volta, se ne mette in luce un qualche aspetto particolare, molto probabilmente,
per controbbattere le obiezioni pi stupide che ad essa si venivano facendo.
Anche se fra tali obiezioni ce ne potevano essere di pi serie e meritevoli di
essere considerate e superate; come di fatto sono state via via superate. Per
esempio, il ruolo della necessit logica, menzionata nei versi di Euripide,
sar di fondamentale importanza nella scienza degli Italici e culminer nella
ferrea logica di Parmenide e del suo discepolo Zenone.
Tradizionalmente, dato che solo
in anni relativamente recenti si sono decifrati i papiri e le tavolette di
Egizi e Mesopotamici, la nostra scienza si f cominciare da Talete. Questi
riduce il principio di tutte le cose allacqua.
Questa visione, se dobbiamo
fare lipotesi che i dossografi riportino correttamente, sembra un regresso
rispetto al mito orfico echeggiato da Aristofane.
Lipotesi che i dossografi
riportino correttamente sembra altamente improbabile. Infatti costoro in
massima parte si limitano a riportare le opinioni di Platone o di Aristotele,
spesso anche peggiorandone il senso; ma quasi sempre daccordo con i paradigmi
interpretativi di questi due personaggi che si sono imposti nei secoli bui
della scienza.
Tuttavia, alla luce dei
risultati e delle credenze della scienza galileiana, esaminando le critiche
che, con una presunzione inaudita, i due sommi filosofi rivolgono agli
scienziati che li avevano preceduti nel tempo, appare manifesta la loro
assolutamente bambinesca concezione del mondo che, in nessun modo, pu reggere
il confronto con la profondit di pensiero di tutti i loro predecessori. E per
capire questo bastano le loro stesse critiche!
E ci, come crediamo di avere
mostrato, risulta pienamente confermato dai pochissimi frammenti che di tali
antichissimi veri scienziati ci sono pervenuti.
Potrebbe apparire sorprendente
ed addirittura misterioso il fatto che di tutti gli scienziati, anteriori,
contemporanei o anche posteriori a Platone e ad Aristotele, niente o quasi ci
sia pervenuto; mentre di questi due campioni abbiamo quasi tutto quello che
hanno scritto e, forse, anche qualcosa che non hanno scritto, visto che sono
infinite le diatribe sullautenticit di alcune loro opere. Ma, alla luce della
su accennata legge dellentropia, sarebbe sorprendente se fosse successo il
contrario.
Proviamo a chiederci quali
opere resteranno tra mille anni a partire da oggi?
Naturalmente non i libri di
scienza, la cui diffusione irrisoria in confronto ai libri che hanno un
mercato! Il pronostico si pu fare facilmente esaminando il mercato dei libri o
le vetrine dei librai!
***
Per tornare alle prove
contrarie alla teoria delle PULCI, supponiamo, solo per un momento, che il
pensiero dei presocratici sia giusto quello che dai dossografi ricaviamo.
Allora per spiegare il regresso
degli Ionici rispetto ai miti orfici, come reinterpretati alla luce
dellipotesi di Teagene, ci rimarrebbero pochissime possibilit.
Accettando la tradizione che
vuole Talete di stirpe fenicia e che, a detta di Flavio, Ferecide di Siro, Pitagora, Talete, furono per ammissione generale
discepoli degli Egizi e dei Caldei
allora o la scienza di Egizi e Caldei era meno avanzata di quella tramandata
dai miti orfici o larmamentario culturale di Talete non era sufficientemente
adeguato per capire appieno la scienza di quei popoli. Si dovrebbe scartare la
seconda ipotesi dal momento che Proclo dice che Talete fece molte scoperte nel
campo della geometria che aveva appreso in Egitto e, daltra parte, Plutarco
(PR p. 89) dice che i sacerdoti egizi pensano
che anche Omero, come Talete, pose lacqua inizio e matrice di tutte le cose, avendolo appreso dagli Egizi: infatti Oceano
Osiride, Tetide Iside ....
Certo, pensando che la civilt
degli Egizi, come quella dei Caldei, si sviluppata in assoluta dipendenza dai
fiumi attorno ai quali vivevano, si potrebbe ritenere che lacqua potesse
essere vista come lelemento primordiale.
Ma questa rozza concezione del
mondo contrasterebbe con le meravigliose conquiste scientifiche oggi
abbondantemente documentate dai ritrovamnenti scritti (tenuto conto della
legge, sopracennata che i libri si conservano proporzionalmente alla loro
diffusione, legge confermata empiricamente in tutti i ritrovamenti presso i
resti delle civilt sepolte).
Del resto, sembra accertato che
la scienza della Mesopotamia, dopo uno sviluppo notevole nel corso di pochi
secoli, ristagner per millenni, fino alla totale distruzione.
Come scrive un noto storico
della scienza antica,37 si
hanno due gruppi di testi relativi alla matematica mesopotamica che
corrispondono a due periodi nettamente delimitati e molto lontani tra loro. Il
primo va dal 1800 a.C. al 1600 a.C., il secondo si riferisce agli ultimi tre
secoli a.C. (per la maggior parte, tavolette che dovevano servire come libri di
scuola o altre di contabilit relativa ai commerci del tempo).
Pochi sono i mutamenti che si
possono osservare passando da un gruppo allaltro e nel secondo gruppo non vi
interviene alcun principio nuovo che non fosse gi pienamente utilizzato nel periodo
precedente. Per cui il Neugebauer conclude: E
consuetudine postulare un lungo sviluppo, che si suppone necessario, per
raggiungere un alto livello di intuizione matematica. Non so su quale
esperienza si basi un giudizio del genere. Tutti i periodi, storicamente noti,
di grandi scoperte matematiche hanno raggiunto il loro apice dopo uno o due secoli di rapidi progressi,
preceduti e seguiti da molti secoli
di relativo ristagno.
Del resto, anche in tutti gli
altri campi della cultura, si nota un decadimento della cultura Assira e
Babilonese rispetto a quella dei Sumeri, loro predecessori in Mesopotamia.38
Non pu essere un caso che i
maggiori progressi scientifici, sia nella Ionia, sia nella Magna Grecia, sia
nella Mesopotamia si abbiano in corrispondenza di una organizzazione
socio-economica fondata su pacifiche citt-Stato.
Sia in Mesopotamia, nel
passaggio dalle sumeriche citta-Stato agli imperi AssiroBabilonesi, che in
Grecia, nellanologo passaggio allegemonia ateniese, si osserva nella cultura
un parallelo passaggio dal naturalismo spontaneo, che si riflette nelle
credenze religiose, ad un pi stretto rigore moralistico che accentua la
trascendenza del divino; ma lo stesso fenomeno trova conferma nella storia di
tutte le civilt.
Questo si riscontra nei miti
sumerici confrontati con quelli babilonesi. Spesso, basta una semplice
trasposizione dei nomi degli di per ottenere lo stesso significato dei miti
delle diverse civilt anche lontane tra loro nello spazio e nel tempo.
Tuttavia, spesso, gli storici
della scienza si affannano nel cercare di sminuire le conquiste del passato,
ci al solo scopo di far tornare i conti con la teoria delle PULCI.
A che punto siamo oggi?
Siamo nella fase della Scienza
o in quella del Mito?
Per il momento lasciamo al
lettore la risposta a tale arduo quesito.
Appendice.
Un sistema di logica.
Diamo qui di seguito un elenco
di formule, gi riportate nei vari lavori di logica scritti dal Peano (cfr.
OS-II e FM)39, ordinate in
modo da costituire uno tra i possibili sistemi deduttivi che dalle formule di
Peano si possono estrarre.
Lo scopo quello di dare un
esempio concreto di sistema deduttivo e un riferimento immediato per le formule
che si incontrano nel testo. Per tale ragione sono state introdotte alcune
lievi modifiche nei segni usati dal Peano per renderli omogenei alle
convenzioni adottate nel testo.
***
Termini, descrizioni e assiomi della
metalogica:
Termini:
= significa significa.
C . = . propriet.
I . = . individuo.
P . = . proposizione.
. = . un (copula).
. = . implica
(deduzione).
∩ . = . e (congiunzione).
. = . propriet complementare dellintersezione delle propriet a
e b.
Simboli: le lettere minuscole
dellalfabeto italiano.
Assiomi:
(M1) ,
(M2) x a . . x I ∩ a C ∩ (x a) P,
(M3) ,
(M4) ιa C ,
(M5) a C
. . a C .
Definizioni,
assiomi e teoremi della logica.
Termini
primitivi: , ι, ,
~,
.
Descrizioni:
. = . un .
ι . = . identico a .
. = . propriet che
implica la .
~ . = . incompatibilit tra
due propriet o proposizioni.
. = . propriet assurda o
proposizione assurda.
Definizioni:
(A1) = .=. ι
(A2) .=.
(P1)
(Q1)
(A3)
(A4) ax
.=. x a
(A5) x a .= . ax
(A6) 'x ax .=. a
(A7)
significa la propriet
banale cio quella propriet che posseduta da qualunque individuo o
(negli altri contesti appropriati) la tautologia cio la proposizione
necessariamente vera.
(P2)
(Q2)
(P3)
(Q3)
(P4)
(Q4)
Assiomi :
(P5)
(Q5)
(P6)
(Q6)
(P7)
(Q7)
(P8)
(Q8)
(P9)
(Q9)
(P10)
(Q10)
(P11)
a b . = . ab =
a
(Q11)
ax by . = . axby
= ax
La formula (Q11) non si
trova in Peano; ma non da arguire che possa essere asserita in base al
calcolo proposizionale di Whitehead e Russell (nel seguito li indicheremo con
la sigla WR).
Infatti, la (Q11) ha
un significato affatto diverso da quanto viene asserito in tale calcolo, in
quanto non si riferisce a proposizioni categoriche, come per i succitati
autori, ma a schemi di proposizioni.
Ricordiamo che, per Peano, le proposizioni categoriche non fanno parte della logica (cfr. OS-II p. 314).
Notiamo intanto che il segno
(che possiamo leggere implica) ha un significato
profondamente diverso dallimplicazione
materiale di WR e, daltra parte, non corrisponde nemmeno alla loro implicazione formale, la quale
corrisponde al segno x di Peano, che definito
dallidentit:
(a1) a,
b Cls . : . a b . =: x a . x .x b .
Cio, se a
e b sono classi (=propriet) allora dire che lestensione di a inclusa nellestensione di b
lo stesso che dire che, per ogni individuo
x, x a implica x b (vedi FM p. 7), avendo, tuttavia, fatto la convenzione che le
estensioni definiscano completamente le propriet (come chiarito nella Parentesi epistemologica).
Nel calcolo delle classi di
Peano il segno di inclusione rappresenta una relazione
tra propriet (analoga al segno tra numeri) e, quindi, per
la (al), lo stesso vale per limplicazione formale x.
Nella formulazione di WR
(che quella che successivamente si affermata) il segno di implicazione
materiale, indicata sempre col segno , rappresenta unoperazione
(analoga al segno + tra numeri), essendo definita dalla
├─ (p q
= ~ p U q)
dove p
e q sono proposizioni arbitrarie.
Ricordiamo che per WR il
segno ├─
a indica che la proposizione a viene asserita e non semplicemente menzionata (colle
convenzioni di Peano, che qui abbiamo seguito, non necessario introdurre un
segno speciale per le asserzioni in quanto ogni proposizione della logica si
intende, non solo asserita, ma addirittura come necessariamente asserita; essendo che la logica elenca solo
proposizioni che sono necessariamente
vere e non solo semplicemente vere e
non elenca proposizioni false se non per negarle quando siano delle contraddizioni).
Quindi, WR non pretendono
nemmeno che si abbia:
(a2) ├─ (p q = ├─ ~ p U q)
Mentre la (Q11) vale
[vedi appresso (T21)]:
(a3) ax by . = . x
U by =
cio, esplicitando interamente le nostre
convenzioni: ax by ,
per definizione, la stessa cosa che dire che la proposizione x U by necessariamente vera.
Resta da capire in che modo
una proposizione relativa ad un individuo x possa essere collegata in
modo necessario ad una proposizione
relativa ad un altro individuo y; ma questo lo si potr vedere, in
seguito, con lintroduzione delle diadi.
Diamo intanto alcuni assiomi
che servono a collegare le propriet alle proposizioni:
(C1)
(ab)x . = . axbx
(C2) xa . = . ι x
a . = . i x a
(C3) ax ∩ (a b) . . bx
Questa rappresenta la forma individuale del
sillogismo. La (C3) viene data,
spesso, come assioma ma si potrebbe (vedi appresso T23) dimostrare come teorema a partire da (C2) e dal sillogismo in forma
universale (vedi appresso T22) che si dimostra, indipendentemente, a
partire dagli altri assomi.
Sono utili anche i seguenti
assiomi:
(C4) a
b . = . a b .
= . a b
(C5)
(C6) x
a
. . $a
(C7)
Con lintroduzione delle diadi si pu ricondurre al formalismo
generale delle propriet anche quello
delle relazioni.
Consideriamo una relazione arbitraria, p.es., quella che
abbiamo indicato col segno , e supponiamo di volere
esprimere simbolicamente lidea che che la coppia di simboli x e a stiano nella relazione x a. Considerando
la diade (x; a) (coppia ordinata
in cui x il primo termine e a
il secondo) come un singolo individuo,
possiamo scrivere (x; a) R asserendo che R R e R . = . relazione che quindi, per (M2), diventa una propriet (R
C)
Avendo indicato col termine
(costante) R la propriet che un qualsiasi individuo x ha di possedere una
data propriet a.
Cio, nel nostro caso
particolare, possiamo scrivere (x; a) R . = . x a.
Allo stesso modo, possiamo
definire (x; y) R= . = .
x = y, (a; b) R . = . a b,
(a; b) R∩ . = . a ∩
b, ecc.
Si potrebbe formalizzare il
tutto in modo affatto generale ma, per i nostri scopi, ci non necessario.
ovvio che, a partire dalle
diadi, si possono definire le triadi: (x; y; z) . = .
((x; y); z) e cos via, per
qualsiasi insieme totalmente ordinato con un numero qualsiasi di simboli.
Con queste convenzioni
possiamo, p. es., senza bisogno di altri assiomi, ricondurre la (C3) ad una forma particolare della (Q11).
Baster, usando la (A2),
riscrivere la (C3) come: ax ∩ (b)a . . bx e, ricorrendo al formalismo delle triadi,
avendo posto (x; a; b) R . = . ax ∩ (b)a , per la (Q11)
possiamo scrivere R(x;a;b) bx
.
= . R(x;a;b) bx = R(x;a;b).
Questo ci fa capire, anche,
in che senso unimplicazione tra proposizioni singolari pu esprimere una necessit logica, cio una tautologia e ancora, in connessione con
la (T20), ci mostra come non sia
necessaria una logica modale come
calcolo separato. Infatti le modalit vengono
fuori dal significato che abbiamo attribuito al segno $.
Con ci, perdono di
significato le logiche intuizionistiche e
le altre diavolerie del genere (vedi PF).
***
Regole deduttive:
Dl. Da ogni singolo schema
di proposizione valido della logica si pu dedurre un altro schema valido
sostituendo ad un suo simbolo, qualsiasi altro simbolo, purch la sostituzione
venga effettuata in ogni posto dello schema in cui compaia il primo simbolo.
D2. Da ogni schema di
proposizione valido della logica si pu dedurre un altro schema valido
sostituendo ad un suo simbolo, un altro simbolo che risulti identico al primo,
per via di qualche proposizione valida del sistema.
D3. Da ogni identit valida
del sistema deduttivo (x = y)
si ottiene unaltra identit valida (ωx
= ωy) operando su ambo i membri dellidentit con un operatore (ω) per il quale abbia senso
applicarlo su uno dei due membri della prima identit.
Per la defizione di identit
e per le regole deduttive valgono sempre gli schemi seguenti:
(I1) a =
a
(I2) a =
b . = . b = a
(I3) (a =
b) ∩ (b = c) . = . (a
= c)
A partire dalle definizioni
e dagli assiomi precedenti si possono dimostrare moltissimi teoremi, usando
tali regole deduttive.
Tuttavia importante ricordare
che per Peano i teoremi della logica sono, in generale, evidenti di per s; per
cui lo scopo della dimostrazione non quello di assicurarci la verit dei
teoremi ma solamente quello di mostrarci come certi modi di ragionamento
possono essere ridotti a modi pi semplici.
Noi elencheremo solo
pochissimi teoremi e non ne daremo le dimostrazioni; fatta eccezione per
alcuni, giusto per mostrare come anche un computer li potrebbe fare.
Teoremi:
(T1) a . . a
(T2) ab . . a
(T3) ab . . b
(T4) a
∩ a . = . a
(T5) a
= b . = .
(a b) ∩ (b a)
(T6) a
b ∩ c . = . (a b) ∩ (a c)
(T7)
(T8)
(T9)
(T10)
(T11)
(T12)
(T13)
(T14)
(T15) . . a
(T16)
(T17)
(T18)
(T19)
(T20)
(T21)
(T22)
(T23)
Diamo
ora alcune dimostrazioni :
(T1)
asserisce a a . Partiamo dallassioma (P11) che per D1. (con la
sostituzione di a , ovunque compaia b ), si pu scrivere a
a . = . aa =
a ma aa = a la formula (T10), valida nel sistema,
che si dimostra, indipendentemente da (T1), a partire da (P1) che
negata (per D3.) diventa giusto la (T10), se teniamo, anche, conto della
(P4).
(T22)
asserisce il sillogismo espresso in forma universale; le ipotesi del teorema
sono:
(L1) a b
(L2) b c
per (P11), D1. e D2. diventano
rispettivamente:
(L3) ab = a
(L4) bc = b
per D3. [operando con c∩ su
(L1) e a∩ su (L2) ] e (T11),
che si dimostra indipendentemente da (P6), si ottiene rispettivamente:
(L5) abc = ac
(L6) abc = ab
Da queste ultime per D2. si
ha
(L7) ac = ab
e da questa per (L3)
e D2. si ha
(L8) ac = a
che per (P11) e
D1. si pu scrivere
(L9) a c
che la tesi del
teorema che si voleva dimostrare.
Per finire, diamo la dimostrazione di (T23), che la stessa
cosa di (C3), cio il sillogismo in forma individuale.
Partiamo da (T22)
e operiamo, per D1., le sostituzioni ι x a, a b, b c, ottenendo:
(ι x a)
∩ (a b) . . (ι x b)
per (C2) e D1.
otteniamo la (T23).