Il linguaggio scientifico dei Presocratici

analizzato con lideografia di Peano

Salvatore Notarrigo

 

 

 

 

 

 

Preambolo

 

La lingua naturale uno strumento essenziale per risolvere i problemi che luomo deve affrontare nel suo vivere sociale. Senza di essa non potrebbero esistere n scienza, n poesia, n rapporti sociali e nemmeno chiacchiere inutili; in una parola, non potrebbe esistere la societ. Ma proprio per tale ragione le lingue naturali, attraverso il loro lungo e contorto sviluppo nel corso della storia delle singole comunit linguistiche, vanno accumulando ambiguit, ridondanze, contraddizioni, paradossi.

Da ci la necessit di creare gerghi particolari per determinate attivit che a loro volta ed alla lunga contribuiscono ad aumentare la confusione nella lingua comune; e non a caso fin da tempi remoti si tramanda il mito della torre di Babele!

Un particolare gergo, creatosi allinterno di una qualche comunit, pu assolvere il compito per cui s formato solo finch resta circoscritto a quella comunit ed allo scopo per cui nato. Ma cos facendo si chiude inesorabilmente allinterno di se stesso e muore con il cambiare delle condizioni al contorno relative alle attivit per il cui scopo il gergo si era venuto formando; condizioni al contorno che a loro volta si vanno modificando anche per effetto dello stesso sviluppo sia dellattivit che dello stesso gergo.

La riprova di ci il fatto che tutti i tentativi di creare una lingua universale, come lesperanto o il latino sine flessione di Peano, ecc., sono miseramente, ma necessariamente, falliti.

Qualche volta il gergo resiste solo perch si venuto trasformando in un coacervo di dogmi che, pur avendo perso ogni significato reale, hanno strutturato in qualche modo la comunit che lo usa; trasformandola alla fine in una setta che continua a scambiarsi messaggi che ormai risultano incomprensibili ai suoi stessi membri; per cui il gergo assume la sola funzione di mantenere i rapporti gerarchici che si sono stabiliti allinterno di essa.

Anche nella matematica e nella logica, la cui essenza proprio consiste nella corretta manipolazione di simboli, si verificato il fenomeno prima considerato e nel corso della loro storia stato necessario rivoluzionare tutto per conseguire reali progressi; per cui, come giustamente notava il Peano, la storia della matematica e quella della logica praticamente coincidono con la storia dei loro simboli.

Ma non necessariamente il cambiamento dovuto allesigenza di progredire perch spesso gli interessi costituiti di determinati settori della societ impongono il cambiamento proprio allo scopo di impedire una rivoluzione. E non mai stato facile distinguere la rivoluzione dalla reazione; anche se ognuno ritiene di essere in grado di farlo; anche se poi scopre che la sua particolare bipartizione diversa da quella degli altri; ma la cosa, in genere, non lo preoccupa minimamente perch sempre pronto a ritenere che gli altri o sono in malafede o sono dei semplici imbecilli.1

Solo a poche persone riservata la capacit di distinguere senza farsi distogliere da pregiudizi di parte.

Uno dei rari esempi tra questi laristocratico Tomasi di Lampedusa il quale fa dire, durante lavanzare della classe borghese, a uno dei suoi aristocratici personaggi che bisognava cambiare qualche cosa perch tutto potesse rimanere come prima!

 

***

 

Poich il fenomeno di cui stiamo parlando, cio linstabilit dei gerghi, , al contrario, estremamente stabile, necessariamente deve esistere un meccanismo sottostante che lo regola (per evitare equivoci chiariamo che il termine instabilit viene qui usato nel senso tecnico della teoria matematica dei sistemi complessi e cio nel senso di una situazione che per un certo tempo si muove cos lentamente da apparire praticamente ferma finch non incontra un punto di catastrofe che ne cambia radicalmente laspetto qualitativo).

In generale, per scoprire un meccanismo, bisogna prima ridurre il fenomeno ai suoi elementi fondamentali ed alle forze che li sospingono. Per tale ragione, in modo n esaustivo n definitivo, distingueremo quattro aspetti del linguaggio e due forze contrastanti alle quali per va sempre aggiunto il principio generale dellentropia.

Il primo aspetto rappresentato dal linguaggio pratico; questo serve, in modo (pi o meno) razionale, a risolvere tutti i problemi quotidiani e di routine. Il suo fondamento costituito precipuamente dalla regola del provare e riprovare empiricamente cercando di correggere gli errori con la metodologia del caso per caso.

La forza che lo spinge la necessit della sopravvivenza.

Ed la stessa forza che anche lo spinge a creare un linguaggio pi sintetico ma pi potente, svincolato dallempiria e dal caso per caso. Proprio per questa ragione esso devessere astratto e generale e tuttavia estremamente preciso e quindi capace di affrontare situazioni nuove, mai prima sperimentate. Questo costituisce il secondo aspetto e cio il linguaggio scientifico.

Tale forza in avanti automaticamente crea la sua controreazione (la necessit del progresso): infatti lestrema precisione del linguaggio scientifico crea una specie di prigione che impedisce qualsiasi evoluzione. A ci contribuiscono le Vestali che presto o tardi, magari proprio quando esso ha perduto ogni sua funzione, si costituiscono a custodi delle regole del linguaggio che perci da funzionali diventano ferree. Per uscire fuori dalla prigione occorre volare via spaziando con estrema audacia nel regno dellignoto o comunque del non ancora ben noto.

E cos si viene a creare il linguaggio poetico, terzo degli aspetti sopramenzionati.

Dallo scontro di queste due forze uguali e contrarie si genera il quarto aspetto del linguaggio e cio quello delle chiacchiere inutili.

Queste non contribuiscono menomamente al progresso ma lo ostacolano; e non contribuiscono alla sua precisione ma ne aumentano la confusione e servono solo ad erigere la torre di Babele.

La causa di ci il principio generale dellentropia: la necessit della precisione, insieme ai veri scienziati, tende a produrre il fenomeno negativo delle Vestali o falsi scienziati; daltronde, la necessit del progresso porta seco, insieme ai veri poeti, gli istrioni o falsi poeti.

Vestali ed istrioni vengono, spesso a loro insaputa, rimescolati ed usati dalla necessit della pratica che, nel frattempo trasformatasi in interessi costituiti, sfruttando le spinte contrastanti dei microinteressi individuali o corporativi diventa la sola legge imperante.

E, allo stesso modo di come si verifica in termodinamica statistica, la legge del caso trasforma un sistema deterministico ma reversibile in un sistema ancora deterministico ma apparentemente casuale ed irreversibile. Venendosi cos a confermare il principio generale dellentropia secondo il quale i sistemi isolati devono marciare inesorabilmente dallordine verso il disordine.

E tuttavia le chiacchiere inutili hanno una grande funzione sociale in quanto, anche se in s non significano niente, servono ad unire i simili con i simili; creando cos le varie chiese, o corporazioni, o consorterie.

Attraverso queste, molte CHIACCHIERE INUTILI vengono pomposamente ribattezzate LA SCIENZA e LA POESIA.

Di tanto in tanto, tuttavia, emergono i geni che, rifacendosi alle conquiste del pensiero passato, ma ormai sepolto dalle infinite diatribe tra falsi scienziati e falsi poeti (cumulativamente li chiameremo falsi profeti!), tendono a procurare qualche avanzamento; ed in minima parte vi riescono lasciando la loro traccia; anche se, subito dopo, i falsi profeti tendono ad annebbiare tutto di nuovo (magari abusando del nome degli stessi geni che vengono trasformati, ormai che sono morti e non possono pi reagire, in santoni) proclamando il nuovo verbo, che ormai falsato, non si riesce pi a distinguere da quello vecchio che preesisteva al genio; e, arrogandosi il diritto di diffondere questo nuovo vangelo e distribuendosi le cariche di vescovi e di papi, giudicano inappellabilmente di chi tra i fedeli sia un ortodosso o un eretico.

Per tale scopo i falsi profeti hanno la necessit di forgiarsi la teoria delle PULCI (cio del Progresso Universale Lineare Continuo Infinito); quando, al contrario, la storia rivela un caotico succedersi di avanzate e retrocessioni che spesso rasentano di nuovo lo zero assoluto! Ma la teoria del progresso ininterrotto molto comoda e difficile da abbandonare; con tale teoria viene permesso infatti ad un moderno, anche se imbecille, di avere sempre ragione su di un antico, anche se un genio; allo stesso modo dei grandi che pretendono di avere sempre ragione sui bambini, nonostante la sequenza temporale , nel nostro caso, invertita.

Notiamo che lapparizione dei geni non contraddice lanalogia termodinamica in quanto questultima scienza prevede anche situazioni lontane dallequilibrio in cui la riduzione del contenuto entropico del sistema si ottiene a spese di sorgenti esterne o sfruttando riserve precedentemente accumulate in una parte di un sistema pi ampio (pensiamo alle riserve di combustibili della terra come sistema pi ampio della biosfera).

Nel caso del linguaggio scientifico lesterno rappresentato dai contatti con altre culture e le riserve si trovano nascoste nelle biblioteche sotto forma di libri che nessuno ha mai letto perch non servono al paradigma dominante e di tanto in tanto anzi si provvede con qualche incendio ad arrestare lincombente pericolo della scienza (questa volta scritta in minuscolo!) che farebbe sgonfiare tutti i palloni che a forza erano stati gonfiati.

Si dice che il califfo Omar, ritenuto lennesimo incendiario della biblioteca di Alessandria, abbia detto per spiegare (naturalmente non per giustificare!) il suo operato: Se i vostri libri dicono le stesse cose che dico io allora sono inutili; se dicono cose diverse allora sono dannosi.

 

***

 

Nelle discussioni sulla scienza e quindi sul suo linguaggio si sono fatte molte chiacchiere, data la sua enorme rilevanza sociale. Ai nostri fini menzioneremo solo due problemi sui quali lungamente si dibattuto.

Il primo riguarda la nascita della scienza, il secondo la sua evoluzione. Per entrambi si sono sostenute tesi contrapposte. Nasce la scienza dalle esigenze pratiche e dal perfezionamento del lavoro tecnico o non piuttosto dalle religioni e dai miti?

La prima tesi viene prevalentemente sostenuta da coloro che si mettono in posizione critica nei confronti del sistema; per costoro gli attori del processo di creazione della scienza sono ovviamente i lavoratori; da questi si formano i tecnici e da questi, a loro volta, emergono gli scienziati. La formazione dei sacerdoti o bramini della scienza sono un fatto involutivo dovuto a cause sociali esterne. I sostenitori di tale tesi tendono a rispondere al problema dellevoluzione della scienza ricorrendo a cause esterne e cio alla struttura sociale.

La seconda tesi viene sostenuta principalmente dagli apologeti del sistema; naturalmente per costoro la scienza nasce dal mito e dalla religione; gli attori del processo sono i sacerdoti che hanno il tempo sufficiente per occuparsi di cose che vanno oltre le necessit immediate. Il problema dellevoluzione della scienza viene quindi risolto ricorrendo alla dinamica interna della scienza che trascende i mutamenti delle strutture sociali. Se una societ viene distrutta o si autodistrugge, la scienza, come anima immortale, si trasferisce altrove e continua a crescere indisturbata.

Ma non sono solo questi ultimi a sostenere quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI, anche i primi la sostengono. Entrambi per sostenerla sono costretti a mutilare la scienza: i primi, identificando praticamente la scienza con la tecnica, guardano allaccumularsi delle conoscenze tecniche e trascurano quasi totalmente, almeno nei fatti, gli elementi teorici che sotto il nome di ideologia vengono semplicemente derisi; spesso buttando via il bambino insieme allacqua sporca. Stranamente, poi, lidentificazione della scienza con la tecnica viene invece diffusa tra le masse proprio dai detentori del potere economico dopo averne operato solo una piccola, ma non neutrale e non senza conseguenze, sostituzione: il lavoro viene sostituito con la grande industria come motore delle conoscenze scientifiche.

Gli apologeti del sistema, invece, per mutilare la scienza sono costretti a mutilare la storia, classificando come barbari ed incolti tutti i popoli che non stanno dentro il paradigma, inventandosi capziose provenienze culturali; come p. es. gli europei hanno fatto con la cultura greca: tagliando completamente fuori tutte le filosofie medioevali da cui pi propriamente la nostra cultura immediatamente deriva e gettando un diretto ma impossibile ponte verso la scienza greca.

La nostra idea che entrambe queste tesi siano parziali e adialettiche.

Come si verifica in tutti i sistemi complessi, e la cosa ha una spiegazione matematica, si hanno consecutivi rami evolutivi, qualitativamente diversi, e intervallati da punti di diramazione con caratteristiche catastrofiche tali da annullare quasi tutto quello a cui precedentemente si era dato il nome di scienza. In ogni punto di diramazione si aprono altri rami possibili, che il futuro potrebbe in teoria percorrere, diversi tra loro dal punto di vista qualitativo; limboccare luno o laltro ramo dipende da fattori esterni quasi esclusivamente di natura economica e sociale.

A partire da tale punto di instabilit, superata la fase iniziale, in cui ogni volta si riparte praticamnente da zero, il sistema socio-economico-culturale si stabilizza; anche sviluppando meccanismi di autoprotezione, e procede con uninflessibile logica interna fino a che le forze entropiche non lo distruggeranno di nuovo quando si sar raggiunto il prossimo pulito di diramazione.

 

In questo scritto vogliamo, in un primo momento, descrivere levoluzione del linguaggio scientifico tra due successivi punti catastrofici e per concretezza il materiale empirico lo prenderemo dalla storia dellevoluzione del pensiero scientifico nato, quasi contemporaneamente, nella Ionia e nellItalia di alcuni millenni f. Questo per due ragioni: luna che tale periodo storico abbastanza lontano nel tempo, riducendo cos la probabilit (anche se non la possibilit!) di lasciarci coinvolgere completamente nelle passioni ideologiche; laltra ragione che questo periodo della storia della cultura sufficientemente documentato per poterne azzardare una descrizione teorica.

 

Per fare questo, senza incorrere nel sempre presente pericolo delle chiacchiere inutili sar prima necessario costruirsi gli strumenti adatti.

 

Anche se tali strumenti sono stati usati, spesso con grande maestria, fin dai tempi di Pitagora e, molto probabilmente anche prima, il loro perfezionamento e la riflessione su di essi opera molto recente e quasi esclusivamente dovuta a Peano ed alla sua scuola.

A tal riguardo potrebbe apparire strano il fatto che tale scuola sia oggi quasi completamente dimenticata ed al suo posto si sia affermata una sua derivazione distorta ed assurda (come andremo notando nel seguito) iniziata dal Russell; ma alla luce delle considerazioni precedenti il fatto, pi che strano, appare invece assolutamente naturale e difficilmente si sarebbe potuto immaginare il contrario (vedi in proposito larticolo di Boscarino in questo stesso numero dei Quaderni che sar indicato nel seguito colla sigla PF).

 

 

Lideografia di Peano

 

Dal momento che, oggi, lideografia di Peano praticamente sconosciuta ed i simboli da lui inventati vengono usati con significati del tutto diversi o, comunque, distorti e poich essa avr un ruolo fondamentale per sviluppare il nostro discorso, questa sezione ad essa dedicata assumer, necessariamente, una forma piuttosto didascalica.

Dal punto di vista filosofico, i contributi fondamentali di Peano alla scienza della logica (non considerando i molti ed importantissimi contributi da lui apportati dal punto di vista pi specificatamente tecnico) sono due: la distinzione tra i diversi significati che si nascondono sotto lunico termine rappresentato nella lingua comune dal verbo essere ed il chiarimento concettuale dei termini fondamentali e del significato di quello che oggi si chiama un sistema deduttivo.

Cercheremo di capire, in questa sezione, lessenza di tali contributi straordinari ed estremamente fecondi.

Consideriamo le seguenti proposizioni della lingua italiana:

1) Mongibello lEtna.

2) Il mais granoturco.

3) LEtna il vulcano pit alto.

4) Socrate mortale.

5) Socrate un uomo.

6) Aristotele un uomo.

7) Luomo mortale.

8) Il cane un animale.

9) Qualcosa mortale.

10) Qualcuno mortale.

Secondo la logica grammaticale, le dieci proposizioni sono tutte della forma: soggetto, copula, predicato.

Al contrario, i loro significati reali (cio quello che effettivamente significano, indipendentemente dalla forma nella quale sono state espresse) sono tutti diversi.

Tuttavia, dal punto di vista della logica, alcune hanno significato formale (cio la forma logica in cui sono espresse, indipendentemente dal loro, eventuale, significato reale) identico ed altre, invece, diverso:

Nella 1), i termini a sinistra e a destra della copula sono entramnbi degli individui 2

Nella lingua italiana gli individui sono, generalmente, rappresentati da nomi propri (propri ad un solo e ben determinato individuo).

Nella 2), i termini a sinistra e a destra della copula sono entrambi delle propriet.

Nella lingua italiana le propriet sono, generalmente, rappresentate da nomi comuni (comuni a pi individui).

E, tuttavia, le 1) e 2) hanno qualcosa in comune che li distingue formalmente dalle altre. Infatti, in entrambe, si intende dire che i due termini a sinistra e a destra della copula, anche se diversi tra loro, hanno identico significato (reale); in altre parole, sono due nomi diversi per la stessa cosa; il che implica che lun termine si pu sostituire allaltro, e viceversa, in ogni contesto in cui compaiano; purch detti termini intendano riferirsi ai loro significati e non ai segni stessi.

Per esempio, se dico mais ha quattro lettere non posso sostituire al termine mais il termine granoturco. E non posso sostituire mais a granoturco nella proposizione:

granoturco una parola composta dalle due parole grano e turco.

Possiamo convenire di scrivere, al posto della copula, il segno = e cos le 1) e 2) diventano:

Mongibello = Etna

mais = granoturco

secondo lo schema di proposizione:

 

(F1) a = b,

 

da leggere: a identico a b; ovvero a significa b; dove a e b sono due simboli che rappresentano due termini generici. Cio termini dotati di un significato (e di uno solo) ma che non ci interessa di sapere perch noi siamo interessati solo alla relazione che li lega, denotata dal segno =.

Nelle 3), 4), 5), 6), invece, a sinistra ci sta un individuo e a destra una propriet. Questo basterebbe a dirci che la copula, in questo caso, non pu significare lidentit dei due termini. Di fatto, in queste proposizioni, si vuole intendere che a sinistra della copula ci sta un individuo che ha la propriet nominata a destra.

Converremo, in questo caso, di indicare la copula semplicemente con il segno e scrivere:

Etna vulcano pi alto

Socrate mortale

Socrate uomo

Aristotele uomo.

Secondo lo schema:

 

(F2) a b,

 

da leggere: a un b ovvero: lindividuo a ha la propriet b.

Nelle 7) e 8), a sinistra e a destra della copula ci sono due propriet, come nella 2), ma i due termini non sono reciprocamente sostituibili in quanto il primo esprime un concetto che parte del secondo; o, in altre parole, la prima propriet implica la seconda ma non viceversa.

Per questaltro significato del verbo essere, useremno il segno secondo lo schema:

 

(F3) a b,

 

che leggeremo: la propriet a implica la propriet b, ovvero la propriet a include la propriet b o, ancora: gli individui che hanno la propriet a sono inclusi tra gli individui che hanno la propriet b.3

Infine, nelle 9) e 10), a sinistra della copula ci sono degli individui e a destra delle propriet, come nelle 3), 4), 5) e 6), ma lindividuo non rappresentato da un nome proprio ma da un pronome indefinito che, quindi, indica un individuo generico e le proposizioni, pi che asserire qualcosa sugli individui, asseriscono qualcosa sulle propriet stesse.

In particolare, con la 9) si asserisce che la propriet mortale non una propriet assurda, cio senza individui che la possano avere; ma, al contrario, non affatto impossibile lesistenza di individui che hanno la propriet di essere mortali.

Con la 10) si vuole dire la stessa cosa, solo che, nellaccezione comune, il termine qualcuno, a differenza di qualcosa, vuole indicare un uomo; per cui la 10) si potrebbe esprimere con, qualcosa uomo e mortale. Se indichiamno con il segno la congiunzione e, si pu formare la propriet composta: uomo mortale e la 10) si riconduce allo schema 9) che possiamo simbolizzare con:

 

(F4) $ a ,

 

 

dove a rappresenta una propriet (eventualmente, anche composta), ed il segno $ indica che possono esistere individui che hanno tale propriet.

La (F4) si pu leggere: vi sono degli a o, anche, vi almeno un a, ecc.

 

Le (F1), (F2), (F3), (F4) individuano quattro significati diversi del verbo essere che necessario distinguere formalmente in un sistema deduttivo per evitare conclusioni assurde a partire da determinate premesse.

Pu essere talvolta utile esprimere anche le (F1), (F3), (F4) sotto la forma della (F2), cioe: soggetto, copula, predicato.

Ci si pu ottenere stipulando opportune convenzioni:

Se conveniamo di indicare con il segno ι la propriet di essere identico a qualcosa, allora formalmente le (F1) ed (F2) si possono esprimere con la formula:

 

(F1) a ι b,

 

che si pu leggere: a identico a b (cio, a ha la propriet di essere identico a b).

Intendendo, quindi, che i termini logici = e ι hanno lo stesso significato. Cio il segno = unabbreviazione dei due segni accostati e ι .

Cio:

 

(A1) = .=. ι

 

 

Notiamo che nella (A1) i due segni = e . = . hanno lo stesso significato reale ma un diverso significato formale, in quanto il primo appartiene al linguaggio simbolico che si ha intenzione di costruire (linguaggio oggetto); mentre il secondo appartiene al linguaggio che, necessariamente, dobbiamo usare per costruire il primo (metalinguaggio).

Se conveniamo di indicare con il segno la propriet di implicare la propriet b (quindi b una propriet di propriet) , possiamo scrivere:4

 

(F3) a b .

 

Si pu, quindi, asserire:

 

(A2) .=. .

 

Nella (F3), la propriet a assume la funzione logica di individuo rispetto alla propriet di secondo livello b .

Quindi se ne deduce che i concetti di individuo e di propriet, tranne casi particolari, hanno valore relativo e non assoluto; cio se un termine ha il ruolo di propriet in una determinata proposizione essa pu assumere il ruolo di individuo in unaltra, come in: Socrate mortale e mortale propriet.

Anche la (F4) pu essere messa nella forma (F2); per far ci conviene introdurre la propriet assurda che non pu essere posseduta da alcun individuo e rappresentata dal segno .

 

Con luso di tale segno si pu esprimere lidea che una data propriet a assurda o contraddittoria scrivendo:

(F5) a =

 

che per la decoposizione dellidentit si pu scrivere:

(F6) a ι

 

che si pu anche leggere: non possono esistere individui che possiedono la propriet a.

Se conveniamo di usare il segno ~ per negare una propriet, cio per indicare la propriet complementare della propriet data, (nel nostro caso, la ι , cio la propriet di essere identica alla propriet assurda) potremo scrivere:

 

(A3) $ a .=. a ~ ι .

 

cio: dire che vi sono degli a la stessa cosa che dire che la propriet a non identica alla propriet assurda.

importante notare che lidea di esistenza in logica coincide con lidea di esistenza possibile. Altri significati del termine sono propri delle scienze empiriche e devono essere descritti e menzionati esplicitamente come particolari propriet di determinati individui.

Notiamo, ancora, che la distinzione tra i significati del verbo essere espressi dai due termini logici e di estrema importanza; in quanto, oltre ai diversi significati reali, i due segni hanno propriet formali molto diverse tra loro.

Infatti consideriamo le due proposizioni seguenti:

0a) Socrate mortale,

0b) gli italiani sono dotti.

Il verbo essere nelle due frasi precedenti ha un significato logico diverso come si pu subito mostrare.

Notiamo prima che, tra gli innumerevoli altri, ci sono due modi diversi per negare le due frasi:

1a) non vero che Socrate mortale,

2a) Socrate immortale (= non mortale);

1b) non vero che gli italiani sono dotti,

2b) gli italiani sono ignoranti (= non dotti).

Le proposizioni 1a) e 2a) hanno ovviamente lo stesso significato (a meno che non si cambi il significato di immortale riferendosi, come spesso si usa, non alluomo ma alla sua opera od al suo nome); mentre, altrettanto ovviamente, le 1b) e 2b) hanno significato diverso.

La 1b) ci dice che possono esserci degli italiani che sono ignoranti ma non nega che ci possano essere degli italiani dotti; la 2b) invece nega esplicitamuente anche questa seconda possibilit. Spesso per evitare ambiguit si preferisce dire al posto della 1b): non vero che tutti gli italiani sono ignoranti.

Tutto questo ci fa vedere che il verbo essere, nei due casi 0a) e 0b), assume significato diverso; infatti non possibile pensare che ammesso, per ipotesi assurda, che abbia lo stesso significato si debba comportare in modo diverso quando le due proposizioni vengano sottoposte alle stesse possibili operazioni di negazione.

 

Esprimeremo le frasi precedenti in modo pi preciso con:

0a) Socrate mortale,

0b) italiano dotto,

1a) Socrate ~ mortale,

2a) Socrate ~ mortale,

1b) italiano ~ dotto,

2b) italiano ~ dotto.

Abbiamo abbreviato con i segni ~ e ~ la negazione delle relazioni5 e rispettivamente (il che equivale a negare le proposizioni stesse nella loro globalit); e con i segni ~ e ~ la negazione dei soli termini di destra della proposizione, cio mortale e dotto rispettivamente.

Si pu quindi scrivere in modo generale ed astratto, cio formale:

 

~ .=. ~

 

Cio:

 

i segni ~ e ~ hanno lo stesso significato.

 

E, daltra parte:

 

~ ( ~ .=. ~ ) .

 

Le parentesi servono solo ad indicare che il primo ~ si riferisce a tutta la proposizione, compresa tra le due parentesi, retta da .=. .

Si pu evitare luso delle parentesi scrivendo:

 

~ . ~ =. ~ ;

 

 

o, pi semplicemente, abbreviando: ~ = con il segno :

 

~ . . ~ .

 

Cio le ultime tre, con segni diversi, dicono tutte che:

non vero che ~ e ~ hanno lo stesso significato

o equivalentemente:

~ .non significa. ~ .

Pu risultare utile fare anche le abbreviazioni al posto di ~ e al posto di ~ scrivendo:

.=. ~ .=. ~

 

ed invece si avra:

*.=. ~ . . ~

 

In matematica si dice brevemente che la coppia di segni ~ e gode della propriet commutativa mentre per la coppia ~ e tale propriet non vale.

Unaltra importante diversit formale tra i segni e si pu notare dai seguenti esempi:

dalle asserzioni

luomo mortale

e

ogni mortale un essere vivente

segue necessariamente lasserzione:

luomo un essere vivente (sillogismo).

O, detto in modo pi preciso:

uomo mortale e mortale essere vivente implicano: uomo essere vivente.

O, in simboli: (a b) (b c ) .. (a c) ;

Luso di tra proposizioni, col significato di implica (come quello che nellultima formula sta tra i due punti), invece che tra propriet, sar chiarito in seguito.

I matematici dicono che la relazione gode della propriet transitiva. Propriet che invece non vale per la relazione ; infatti da Socrate mortale e mortale una propriet non segue che Socrate una propriet o in scrittura pi precisa: da Socrate mortale e mortale propriet non segue Socrate propriet.

Ancora, banalmente: mentre gode della propriet riflessiva, p.es.: uomo uomo; non avrebbe alcun senso dire uomo uomo o Socrate Socrate; tuttavia potrebbe avere senso dire: un uomo uomo: perch con il termine un uomo si vuole intendere un individuo generico del concetto di uomo, cio, che ha la propriet di essere uomo.

 

***

 

In un sistema deduttivo si deve distinguere tra termini primitivi di cui gi se ne suppone noto il significato reale, e termini derivati di cui, invece, se ne d una definizione nominale, a partire dai termini primitivi, mediante luso dei vari termini logici.

Una definizione nominale non dice niente sui significati reali dei termini definiti, almeno direttamente. Essa si riferisce solo ai nomi.

La forma pi usuale :

 

(F7) a . = . b,

 

dove a il nuovo termine (o complesso di termini) da definire e b il complesso di termini, di significato gi noto, che danno il significato formale di a e, indirettamente, anche il suo significato reale a partire da quello proprio di b.

Un esempio :

pentagono . =. poligono con cinque angoli.

Dove si suppone noto il significato reale di tutti i termini a destra dellidentit e si intende introdurre il nuovo termine pentagono come semplice abbreviazione dei termini a destra di . = . .

Il significato reale dei termini primitivi (o alloccorrenza, come ulteriore schiarimento, anche di quelli derivati) si pu dare solo mediante una descrizione, eventualmente corredata da opportuni esempi.

Anche se praticamente impossibile circoscrivere il significato di un termine, mediante una descrizione, in modo da ridurre a zero ogni ambiguit, tuttavia, nella pratica scientifica, si riesce a ridurre le ambiguit a limiti pi che soddisfacenti.

Del resto, in modo del tutto spontaneo, quando un linguaggio scientifico si viene formando, i suoi utenti, anche se nel parlare comune attribuiscono significati diversi ai singoli termini, devono, allinterno del contesto della loro formalizzazione mettersi necessariamente daccordo per restringerne il significato al loro nucleo comune; fermo restando che fuori dal contesto ognuno pu dare ad essi il significato che pi gli aggrada purch non affermi in questo caso di fare affermazioni scientifiche.

Senza che per questo si debba svalutare il linguaggio non scientifico; e questo non solo perch, come gi detto nel Preambolo, si annullerebbe il valore della poesia la quale si basa essenzialmente sullambiguit dei termini (il cui scopo quello di suggerire, attraverso i canali dellemotivit, significati pregnanti sul piano esistenziale) ma anche perch il linguaggio scientifico troppo restrittivo e, usato indiscriminatamente, verrebbe a costituire una prigione e si trasformerebbe nel contrario della scienza stessa impedendo qualsiasi reale progresso scientifico. Una parola di moda che comprende anche questo fenomeno di sociologia della scienza paradigma.

Si pu quindi dire che il linguaggio scientifico serve per capire ed il linguaggio poetico serve per progredire; ma, dialetticamente, non si pu progredire senza prima avere capito e non si pu capire senza tentare di progredire. Ecco perch i veri scienziati sono anche in parte poeti ed i veri poeti sono anche in parte scienziati. Non a caso i grandi scienziati del nostro lontano passato scrivevano la loro scienza in versi poetici come Parmenide ed Empedocle, per citare solo quelli di cui ci sono pervenuti ampi frammenti.

 

***

 

Dopo che si siano definiti i vari termini e se ne sia ristretto il significato in modo da ridurre le ambiguit al minimo possibile, bene, anche se non strettamente necessario, inventare per essi dei simboli adatti creando cos unideografia cio una corrispondenza biunivoca tra lidea che si vuole rappresentare ed il segno introdotto.

Il procedimento che abbiamo descritto per restringere il significato dei termini del discorso costituisce, appunto, la descrizione del termine. Esso lunico modo possibile per assegnare al termine un significato reale (nel seguito, spesso, lo indicheremo semplicemnente con significato) in quanto distinto dalleventuale suo significato formale (nel seguito, spesso, indicheremo questultimo semplicemente con definizione). Appunto per questo, spesso, la descrizione viene anche chiamata definizione reale del termine, da distinguersi dalla definizione nominale che fa astrazione dal significato reale e ne d invece il significato formale (vedi PF).

Poich il segno, che viene formalmente introdotto per designare il termine, di cui se ne sia gi data la descrizione, in generale diverso dai pi o meno corrispondenti termini del linguaggio comune sar pi facile evitare gli usuali slittamenti semantici che conducono a paralogismi ed a paradossi. Ed per la stessa ragione che la corrispondenza tra idee e segni deve essere biunivoca (cio ad ogni segno deve corrispondere un solo termine e viceversa); per cui nel linguaggio veramente scientifico non dovrebbero ammettersi n omonimi n sinonimi; a meno di utili e non ambigue eccezioni, come quando per quanto riguarda i sinonimi possa risultare utile lintroduzione di un nuovo segno che stia come semplice abbreviazione di una pi lunga sequenza di segni precedentementi introdotti, in tal caso si parla appunto di definizione nominale; come nellesempio citato: pentagono = poligono con cinque angoli o per quanto riguarda gli omonimi lassegnare lo stesso segno a relazioni ed operazioni che siano correlate da una corrispondenza tra insiemi diversi di oggetti (cio nei casi in cui i matematici parlano di isomorfismo o, pi generalmente, di omomorfismo), finch non sorgano pericoli di ambiguit.

Anche una macchina, che sia in grado di riconoscere i segni che corrispondono alle lettere dellalfabeto, pu essere in grado di sostituire alla parola pentagono tutte le parole che lo definiscono (che stanno a destra del segno =) e viceversa; e ci anche se non conosce menomamente il significato reale delle parole che tratta. Del resto proprio per questo che un computer riesce a fare tutte quelle belle cose che tutti sanno, nonostante non capisca niente dei significati reali delle parole che elabora! Tuttavia tale macchina funziona molto meglio di qualsiasi uomo per quanto riguarda i significati formali appunto perch non condizionato dai significati reali e bada solo alle regole di trasformazione che sono state memorizzate una volta per tutte nel suo programma e per di pi di gran lunga pi veloce!

Il linguaggio del calcolatore, quello della logica formale e della matematica hanno questo in comune, cio quello di realizzare il sogno di Leibniz attuato compiutamente dal Peano, di poter decidere ogni diatriba semplicemente dicendo calculemus e procedendo formalmente alle necessarie logiche deduzioni a partire dalle definizioni formali (cio nominali) date e dagli assiomi anchessi formalizzati ed esplicitamente presupposti.6

Tuttavia non da pensare che il calcolatore possa fare della matematica o stabilire gli assiomi della logica; non fossaltro perch non ne capisce i significati reali; esso pu solo effettuare dei calcoli, una volta che il matematico e/o il logico gli abbiano fornito definizioni, assiomi e regole di trasformazione; ed per questo che non sbaglia! (naturalmente limitatamente al suo compito abbastanza ristretto che, per lappunto, consiste in quello di calcolare o, pi generalmente, di elaborare).

Il matematico ed il logico invece possono sbagliare perch non facile individuare tali inputs per il calcolatore non essendo facile liberarsi da pregiudizi metafisici o di ogni altra natura; a parte losservazione banale che quello dei logici e dei matematici (o almeno dovrebbe essere) un lavoro creativo e non di semplice elaborazione. Ne consegue che il calcolatore pu fare quasi tutto, anche dimostrare teoremi, ma non pu sostituire il matematico; e pu fare financo le poesie ma non certamente potr fare mai il poeta! Naturalmente finch non si voglia ridefinire il ruolo di matematici e poeti come spesso avviene e ci capita, e non di rado, anche a tali medesimi attori come si desume leggendo certe loro enunciazioni o guardando a certe loro pratiche.

 

***

 

Esempi di definizioni reali sono appunto quelli che abbiamo dato descrivendo il termine definizione nominale e quelli che andremo facendo per descrivere il termine stesso di definizione reale. In modo pi formale, possiamo descriverle cos: Supponiamo di voler descrivere un termimie che chiameremo x, supponiamo che a, b, c, d, e, f, ecc., siano delle propriet di cui, anche se in modo non privo di ambiguit, ne conosciamo gi il significato; allora cominciamo a precisare che: x e un a o un b ed anche un c ma pu essere anche un d o un e ma non un f. E cos seguitando, in modo pi o meno analogo, usando le particelle un, e, o, non, ... , o altre particelle che abbiano la stessa funzione, cio quella di connettivi operanti tra le varie propriet di partenza; e adducendo, eventualmente, opportuni esempi.

Ma gi possiamo notare che le particelle: un, ed, o, ma, non ecc. sono anchesse dotate di una notevole dose di ambiguit. Infatti, quando usiamo la disgiunzione o inserita tra le propriet d ed e, la dobbiamo intendere in senso inclusivo o in senso esclusivo? o, in altre parole, intendiamo riferirci ad una qualunque delle tre possibilit, per x, di essere: un d senza essere un e, un e senza essere un d o, anche, un d e nello stesso tempo pure un e? oppure vogliamo escludere lultima possibilit cio che x possa avere entramnbe le propriet d ed e insieme?

E la stessa congiunzione e (o ed) che significa?

Spesso nella lingua comune la si usa col sigmiificato della o inclusiva, come quando al botteghino del teatro incontriamo un cartello con su scritto: Riduzione per militari e studenti.

Certamente si vuole dire che per avere la riduzione bisogna essere o militari o studenti o entrambe le cose; e non certo che bisogna essere contemporaneamente sia militari che studenti, cio studenti che fanno il militare o militari che sono studenti.

Dellambiguit di un abbiamo gi detto.

Allora per evitare ambiguit scriveremo un segno speciale per ogni possibile significato, evitando i pericoli dellomonimia; p.es:

U per la disgiunzione inclusiva,

per la congiunzione,

~ per la negazione, ecc.

Poi, potremmo scoprire che i segni introdotti non sono tutti indipendenti e che alcuni di essi si possono definire, questa volta nominalmente, come combinazioni degli altri; p.es. la disgiunzione esclusiva si pu rendere con la formula: (d ~ e) U (~ d e); cio: d e non e o non d ed e. Risparmiandoci, in questo modo, lintroduzione di un nuovo segno. (Per ragioni puramente estetiche nella presentazione grafica delle formule scriveremo qualche volta, al posto di ~a; per cui la formula precedente diventa ).

Daremo ora alcuni significati reali di termini che useremo in seguito; altri (spesso in nota) li daremo al momento opportuno, a meno che non emergano chiaramente dal contesto. Ovviamente, assumeremo noti (almeno approssimativamente) i significati delle parole che useremo per descriverli. Il risultato finale potrebbe risultare diverso da quello a cui siamo abituati. Ma poco male, se abbiamo guadagnato in precisione potremo sopportarne il sacrificio. Naturalmente, se alla precisione che siamo interessati! Ma purtroppo senza precisione semantica non si pu dedurre un bel niente ma si potr fare solamente una gran confusione.

Chiameremo segno un singolo atto della percezione sensibile, indipendentemente dal fatto che tale atto abbia per noi umi significato o meno; quindi anche uno scarabocchio o un rumore qualsiasi sar per noi un segno. (Nel dizionario tale significato incluso tra i possibili ma non il solo e nemmeno quello originario o etimologico).

Chiameremo termine un segno che invece abbia per noi un significato ben definito come: Socrate, uomo, animale, u, ecc. Quindi, secondo le superiori descrizioni, tutti i termini sono segni, ma non tutti i segni sono termini.

Chiameremo simbolo un segno dotato s di significato ma non fissato; cio si suppone che il segno abbia un significato ma non ci interessa di conoscerlo. Come nelloperazione formale d U e in cui si suppone che i simboli d ed e abbiano un significato ma non ci interessa di conoscerlo perch noi siamo interessati, invece, solo alla loro relazione formale individuata dal termine U.

Spesso si indicano con i segni costante e variabile i significati che noi invece abbiamo attribuito ai segni termine e simbolo. Noi lo eviteremo perch si sono dimostrati ambigui. Non siamo sicuri che la nostra scelta potr risultare migliore ma, al momento, la giudichiamo tale. Sarebbe bene inventare dei segni del tutto nuovi e convenzionali, ma quasi sempre, come gi adombrato nel Preambolo, una precisione eccessiva riduce la facilit di comprensione immediata e questo, alla fine, potrebbe provocare leffetto opposto.

Per tutti i termini che abbiamo descritto, comunque, la confusione , attualmente, massima anche nel linguaggio della logica, per non parlare degli altri linguaggi scientifici; quindi non c soverchio pericolo nellusare un nome con un significato particolare, purch convenientemente descritto.

Useremo il termine proprieta come sinonimo di predicato, di nome comune, di attributo, di aggettivo, ecc.

Useremo, invece, il termine individuo come sinonimo di cosa, di oggetto, di nome proprio, ecc.

Naturalmente con lintesa che i termini precedenti devono essere usati nei significati appropriati, cio quando i termini sopraelencati rappresentino effettivamente dei sinonimi, quindi, devono essere usati con quel significato che lintersezione di tutte quelle proprieta alle quali nella lingua comune si fa riferimento usando tali termini, come abbiamo chiarito nel descrivere le descrizioni.7

Come gi detto, questo lunico modo con cui si pu restringere il significato di un dato termine, data lambiguit del linguaggio naturale.

Abbiamo chiamato tale processo la descrizione o definizione reale del termine.

Per esempio, come notava il Padoa, illustre collaboratore di Peano, non potremo mai ottenere il significato reale del termine significa mediante una sua possibile definizione nominale perch dovremmo scrivere:

significa .significa. (un certo complesso di segni).

E, una volta trovato tale complesso di segni che definisce la parola significa, ne avremmo gi dovuto conoscere il significato per poterlo riferire alla seconda apparizione di significa. In altre parole, il formalismo della logica non si occupa di significati ma solo di relazioni formali tra termini dotati di significato. Anche se molti sembrano pensare esattamente il contrario e cio che si occupi del significato di relazioni formali tra termini senza significato!

Abbiamo scritto delle frasi come:

a) Socrate mortale, uomo mortale, mais = granoturco,

ma anche delle formule come

b) x a , x a , x = a .

Nelle a) compaiono oltre ai termini logici , , = anche i termini extralogiciSocrate, uomo, mortale, mais, granoturco.

Queste sono proposizioni con un valore semantico ben definito e non fanno parte della logica.

Le formule b) invece sono proprie della logica la quale tratta solo schemi formali che stanno per proposizioni arbitrarie. Quando sar necessario essere pi precisi li chiameremo schemi di proposizioni invece che proposizioni. Peano li chiama proposizioni condizionali per distinguerle dalle prime che chiama proposizioni categoriche. La terminologia attuale varia.

Quindi, negli schemi di proposizioni, oltre ai termini logici compaiono solo dei simboli, che non hanno significato definito, espressi usualmente con singole lettere minuscole dellalfabeto (possibilmente dotate di indici); ma tali simboli non sono senza significato; ch uno necessariamente lo devono avere anche se al formalismo della logica non interessa conoscerlo; gli basta sapere che uno (ed uno solo!) ce labbiano. Tali simboli, come gi detto, vengono chiamati (tradizionalmente ma non molto opportunamente) variabili.

Il nome variabile poco opportuno perch, preso alla lettera, potrebbe significare che noi potremmo effettuare, lungo il corso dun ragionamento, degli slittamenti semantici per cui dalla formula sillogistica: a b e b c implica a c, potremmo concludere assurdamente: Elisei venti e venti numero implica Elisei numero; cio dal momento che gli Elisei sono venti e venti un numero ne segue che gli Elisei sono un numero!

Anche formule del tipo x numero o simili, cio quelle in cui compaia un qualunque termine extralogico, non fanno parte della logica anche se possono fare parte di altre scienze formalizzate come laritmetica. Nei libri di logica, di tradizione russelliana che poi sono la stragrande maggioranza, questa regola non viene osservata arrivando a conclusioni paradossali, perch si mantiene lillusione che tutto, ed in particolare laritmetica, sia riducibile a logica; identificando la logica con la metafisica, come chiarito in PF.

Non necessario nemmeno menzionare (nellassiomatizzazione della logica) i termini propriet ed individuo e non interessa nemmeno conoscerne il significato, ammesso che ne abbiano alcuno oltre quello formale.

Il decidere se hanno un significato non puramente formale non una questione di facile soluzione essendo un problema di metafisica.

Non stiamo usando tale ultimo termine nel suo senso deteriore ma semplicemente per dire che la questione non risolvibile n con la logica, n empiricamente; ma che bisogna necessariamente ricorrerre a postulati preliminari di ordine teoretico dei quali, nel costituire qualunque scienza, logica compresa, non si pu fare assolutamente a meno.

Ci costituisce la pi grande costernazione dei neopositivisti che, pur di non ammettere questa banale verit, finiscono con lo scambiare la peggiore metafisica con le scienze, empiriche o formali che esse siano.8

 

***

 

Dal punto di vista puramente formale, cio puramente logico, possiamo (meglio dobbiamo) fare finta di non conoscere il significato che tali termini hanno nel linguaggio comune e dire che una propriet qualunque cosa che venga rappresentata da un segno, qualunque ne sia il suo significato (purch ne abbia uno e uno solo!), che stia a destra di , ed invece un individuo ci che rappresentato da un segno, qualunque ne sia il significato, che stia a sinistra di .

Se non si osserva la regola che le lettere minuscole dellalfabeto, che abbiamo usato come simboli per generici ma determinati termini, debbano avere uno (e uno solo) significato (per cui di fatto sono costanti!) si potr facilmente arrivare alle pi assurde conclusioni come quelle gi menzionate o di altro tipo; p.es. si potrebbe dedurre, dallosservazione che il cane abbaia e che il cane un sostantivo maschile, la verit (!?) che il sostantivo maschile debba necessariamente abbaiare!

Se vogliamo esplicitamente asserire che a rappresenta una propriet scriveremno a C; dove ora C, al contrario di a, non un simbolo arbitrario (nel qual caso avrebbe un significato variabile, nel particolare senso che il significato del simbolo varierebbe da una proposizione allaltra per cui bisogner fissarlo di volta in volta in ogni singola proposizione). Invece C un termine che ha sempre un significato costante nel senso che rester invariato in tutto il nostro discorso.

Quindi intendererno sempre: C = propriet (si pu dire che C il nome comune dei nomi comuni!). Allo stesso modo scriveremo a I se voglianmo dire che a rappresenta un individuo, quindi I = individuo .

Nella formalizzazione della logica pura (intendendo con tale locuzione linsieme dei simboli, degli assiomi e dei teoremi pertinenti ad essa, con lesclusione quindi della metalogica cio del linguaggio con cui si parla di essa) non necessario usare i termini C e I, bastando la convenzione metalinguistica che deriva dallo stare il simbolo a destra o a sinistra del segno , come gi detto.

Nel caso che la logica venga usata come metalinguaggio per la costruzione di altri linguaggi scientifici (p.es., la matematica, nel qual caso le formule di logica funzioneranno da metamatematica) pu risultare utile (anche se non necessario: infatti sempre possibile introdurre apposite convenzioni nelluso dei segni per evitarlo) menzionare lipotesi che un dato simbolo indichi una propriet, scrivendo: a C ; questo bisogner farlo, in ogni caso, quando ci sia pericolo di ambiguit sul significato logico del simbolo a.

 

***

 

Faremo ancora finta di non sapere il significato della parola propriet ma affermeremo che se a e b sono simboli che denotano propriet, allora anche loperazione:9 una propriet.

Questo un esempio di quelle che si dicono definizioni ricorsive cio: si elencano prima gli oggetti elementari che possiedono la propriet da definire (in questo caso, le propriet elementari sono rappresentate dai simboli semplici a, b) e poi si d una regola per definire gli oggetti composti (nel nostro caso, le propriet composte sono quelle del tipo ). Con ci ovviamente non si d il significato reale del termine definito ricorsivamente (nel nostro caso, il termine propriet), che invece dobbiamo gi possedere, ma soltanto quello formale; quindi le definizioni ricorsive sono definizioni nominali anche se non ne hanno la forma esplicita che abbiamo descritto sopra.

Possiamo simbolizzare quanto detto con la formula:

 

(M1) ,

 

 

cio

se a e b sono propriet lo anche e viceversa.

Dal punto di vista puramente formale non necessario sapere il significato reale di (fermo restando il suo significato formale di operazione che date due propriet ne produce una terza); ma se ne pu dare una definizione reale (= descrizione) dicendo che significa la propriet complementare della propriet intersezione di a e b, cio la propriet di non essere a e b contemporaneamente.

In modo pi formale: se qualcosa, p. es.: x, ha la propriet allora necessariamente x non ha la propriet intersezione di a e b, cio o non ha la propriet a o non ha la b; o, ancora, x non pu essere a e b nello stesso tempo.

 

***

 

Per il significato che abbiamo dato al segno ι, possiamo convenire che ιa significa il concetto determinato completamente dalla propriet a. Cio: ιa .=. concetto di a.

Notiamo che, dal momento che si ha sempre a = a e quindi a ιa, a ha la funzione di individuo nei confronti della propriet ιa. In questa funzione diremo che a lintensione del concetto ιa o, che lo stesso, a lintensione del concetto di a. Ma, naturalmente, la forma simbolica pi perspicua di qualunque adattamento, pi o meno forzato, della lingua comune.

Nel caso che a sia un termine che rappresenti un individuo realmente (e non solo formalmente, cio nel caso che il termine sia un nome proprio, come, p. es., Socrate) diremo che a lindividuo e ιa lidea di a (Peano usava il nome elemento per essa, ma oggi tale nome viene usato come sinonimo di individuo).

Per esempio se uomo una propriet, ι uomo il concetto di uomo. E uomo lintenzione del concetto di uomo. Se Socrate un individuo ι Socrate lidea di Socrate.

Notiamo che ι si pu considerare come un operatore che applicato ad un individuo ne produce la sua idea e applicato ad una propriet ne produce il suo concetto.

Nellipotesi che, nel seguito, possa servire introdurremo loperatore inverso di ιa che fa passare dal concetto alla sua intensione (o dallidea allindividuo corrispondente). Lo indicheremo con j

Per esempio, se b il concetto di uomo, j b la propriet uomo. Se b lidea di Socrate, jb lindividuo Socrate.

Ne segue che: j ιa = a e ι j a = a qualunque cosa sia a.

Converremo, ancora, che se a la propriet che definisce il concetto ι a allora a ne denota la sua comprensione.

Intenderemo, invece, con il termine estensione il gruppo di individui dei quali possiamo affermare che sono degli a; lestensione di ιa differisce dallintensione di ιa e la indicheremo, se dovesse servire, con ext a; ma vedremo che in un linguaggio scientifico tale segno non necessario.10

Per le convenzioni fatte, le proposizioni elementari si possono tutte ricondurre alla forma x a, che alloccorrenza, abbrevieremo con il segno ax, cio:

 

(A4) ax .=. x a

 

Per gli assiomi elencati in Appendice anche le proposizioni composte (cio quelle formate analogamente alle propriet composte) possono essere poste sotto tale forma. Per cui se conveniamo di abbreviare il termine proposizione con P possiamo scrivere:

 

(M2) x a . . x I a C (x a) P,

 

 

cio: la formula x a implica che x un individuo, a una propriet e x a una proposizione.

Notiamo che nella (A4), il segno x assume il ruolo di un operatore che, assegnato un determinato individuo x, ci fa passare da una data propriet alla corrispondente proposizione relativa ad x.

In tale ruolo lo indicheremo con x.

Possiamo, invece, assegnare al segno 'x il ruolo di operatore inverso che fa passare dalla proposizione relativa a x alla corrispettiva propriet.

Per cui si avr:

 

(A5) ax .=. x a ,

 

 

(A6) a .=. 'x ax

 

Operando sui due membri delle due identit, rispettivamente, con 'x e x, si ottiene:

 

 

'x ax = 'x x a = a ,

 

 

x a = x 'x ax = ax ;

 

questo significa che i due operatori 'x x e x 'x operando, rispettivamente, su di una propriet e su di una proposizione le lasciano inalterate; tale propriet pu risultare utile nelle deduzioni.

Infatti, lo scopo principale di un sistema deduttivo quello di dedurre da proposizioni ritenute come vere altre proposizioni valide, in modo assolutamente meccanico mediante pochissime regole deduttive.

Le proposizioni che si assumono come vere si dicono assiomi, quelle dedotte dagli assiomi, mediante le regole deduttive, si dicono teoremi.

Tuttavia, importante osservare che la distinzione tra termini primitivi e termini derivati, da un lato, e definizioni nominali, assiomi e teoremi dallaltro, ha un valore relativo e non assoluto. La scelta di cosa assumere come primitivo o come derivato assolutamente arbitraria e dipende solo dalla volont di chi costruisce il sistema deduttivo.

Tale scelta non dipende n da una necessit pratica, n teorica, ma solo da condizionamenti esterni dettati da valutazioni soggettive, quali: considerazioni estetiche, ricerca di semplicit, adeguamento a particolari concezioni del mondo o, anche e non ultime, ragioni economiche, ecc.

Per esempio, nellindustria dei calcolatori si sceglie (in questo caso, fisicamente, nel processo di produzione dei chip di silicio) loperazione che abbiamo indicato con il simbolo (la chiameremo operazione nand, abbreviazione dellinglese not and) come operazione primitiva, a partire dalla quale costruire le altre operazioni logiche, perch si riducono notevolmente i costi di produzione dei circuiti integrati.

La ricerca della semplicit solo un mito, sia perch un concetto difficile da definire, sia perch una volta definitolo in un caso particolare non sar pi adatto in un altro caso.

Al contrario, il costo unitario di un determinato circuito integrato (e quindi il maggiore o minore profitto da ricavare dalla sua vendita), per il bene o per il male, invece oggettivamente determinabile!

Il Peano, giustamente, non si preoccupa gran ch di stabilire un sistema assiomatizzato al massimo grado, convinto com che, in un linguaggio scientifico, da qualunque punto si parta, si debba necessariamente arrivare allo stesso risultato; purch non si scambino pseudoproblemi di natura puramente verbalistica per problemi effettivi che concernono i concetti e le idee (vedi comunque PF).

Tuttavia il suo collaboratore A. Padoa stabilisce un sistema deduttivo in cui, come termini primitivi di tutta la logica, si assumono solo tre termini; e precisamente quelli da noi indicati con =, e 'x; a partire dai quali vengono definiti nominalmente tutti gli altri.11

In generale, nei vari campi della scienza, non nemmeno unimpresa semplice, ma, in qualche caso, richiede il lavoro di molti anni da parte di provetti matematici, il verificare se una data proposizione data come assioma non possa essere, invece, dimostrata come teorema a partire dagli altri assiomi.

In Appendice viene dato un possibile sistema di termini primitivi, di definizioni nominali e di assiomi per la logica.

Qui ci limiteremo a notare che a partire dalloperazione ~ si possono definire nominalmente tutti gli altri connettivi logici che servono a formare tutte le altre propriet partendo da quelle elementari.

Per esempio la propriet complementare di una data propriet a si pu definire mediante la:

 

(P1)

 

Lunione di due propriet con:

 

(P2)

 

Lintersezione con

 

(P3)

 

Si soliti sottindendere il segno di intersezione con la definizione:

 

(P4)

 

Con tale abbreviaziomie si realizza una consistenza simbolica con il segno originario ~; infatti, operando sui due membri della (P4) con ~ si ottiene: .

Per realizzare un migliore aspetto tipografico delle formule useremo, talvolta, la convenzione di negare solo loperazione invece che lintera proposizione, p. es.: e .

Per la stessa ragione useremo, a volte, le convenzioni: ~ a . = . ~ (a) . = . .

Il significato reale dei segni introdotti mediante definizione nominale potrebbe desumersi a partire da quello dei segni primitivi.12

Possiamo asserire gli ovvi assiomi seguenti:

 

(P5)

 

cio: facendo il complemento del complemento si riottiene la propriet di partenza.

 

(P6)

 

che esprime la propriet commutativa delloperazione retta da ~.

 

(P7) ,

 

con labreviazione:

 

(P8) .

 

Le (P7) e (P8) esprimono la propriet associativa delloperazione retta da .

 

(P9) ,

 

che esprime la propriet distributiva di rispetto a U (il segno , per la convenzione (P4), sottinteso nellultima formula).

 

(P10) ,

 

cio: la propriet a assurda. O, in altre parole, non possibile che qualcosa sia a e non-a nello stesso tempo.13

Per le definizioni e gli assiomi dati, si possono assumere tre sole regole deduttive, che appelleremo:

D1. Regola di sostituzione tra simboli di segno uguale.

D2. Regola di sostituzione tra simboli di segno diverso.

La D1. ha origine dal significato del termine simbolo che, stando per un generico termine, permette di sostituire, in una data proposizione, un determinato simbolo con un qualsiasi altro simbolo; purch: a simboli di eguale nome si sostituiscano altri simboli che, corrispondentemente ed uniformemente, siano ancora di eguale nome; cos, per esempio, la (P9) si pu scrivere anche x (y U z) . = . xy U xz con identico significato. Ma non lecita la sostituzione x (y U z) . = . xb U xz perch, se si cambia il nome di b con y, la sostituzione deve essere effettuata in tutti i posti in cui compaia il simbolo b nellintera proposizione. Ci in quanto, allinterno di ogni singola proposizione (o in una catena deduttiva), il simbolo ha significato costante, anche se variabile da una proposizione allaltra.

La D2. ha origine dalla propriet del segno =, che d, identicamente, lo stesso significato ai termini a destra e a sinistra di esso. Seguendo il Padoa, la chiameremo: la propriet sostitutiva del segno =. Infatti, se quello che sta a destra di = significa la stessa cosa di quello che sta a sinistra (e viceversa) ne segue che se si asserisce: a = b, si pu sostituire a in qualunque formula compaia b, e viceversa. Per di pi, qualunque operatore sia definito su a, lo si pu applicare anche su b senza alterare lidentit.

Esprimendo quanto detto con una formula:

D3. Se ω un operatore che ha senso applicare al termine simbolizzato da x allora:

 

x = y . . ω x = ω y ,

 

anzi, se ω ammette un inverso allora il segno si pu sostituire nellultima formula con il segno =.

Per la propriet sostitutiva del segno = non necessario, per questa seconda regola deduttiva, operare la sostituzione del simbolo in tutti i posti in cui esso compaia, dato che il simbolo che si va a sostituire ha lo stesso significato di quello che lo sostituisce (infatti sono sinonimi). Solo ragioni di convenienza, a fini deduttivi, ci suggeriscono dove e quando operare la sostituzione.

Dalla propriet sostitutiva del segno = vengono fuori immediatamente le propriet caratteristiche dellidentit e cio le propriet: riflessiva, simmetrica e transitiva. E cio:

 

(I1) a = a

 

 

(I2) a = b . = . b = a

 

 

(I3) (a = b) (b = c) . = . (a = c)

 

 

***

 

 

 

A partire dalle (P1) - (P10), mediante le regole deduttive D1., D2., D3., si possono dedurre molti teoremi sulle propriet.14

Se si introduce lassioma:

 

(P11) a b . = . ab = a ,

 

la comprensione di un concetto diventa una struttura ordinata dalla relazione .15

Una struttura analoga si verr a generare anche per le proposizioni, a partire dallassioma del metalinguaggio (analogo di M1):

(M3) ,

 

se si assumono assiomi analoghi ai (P1) - (P10) (vedi Appendice).

Qui notiamo solo che, ovviamente, loperazione di complementazione diventa la negazione.

Lunione diventa la disgiunzione inclusiva.

Lintersezione diventa la congiunzione.

Lassioma (P5) diventa lasserzione metalinguistica che due negazioni affermano.

Valgono, analogamente, le propriet: commutativa, associativa e distributiva.

Linclusione tra propriet diventa limplicazione tra proposizioni (detta anche segno di deduzione).

Anche qui vale il fortissimo assioma:16

 

(Q11) ax by . = . axby = ax .

 

Nel caso che tutte le proposizioni si riferiscano ad un solo individuo x, si instaura un perfetto isomorfismo tra le due strutture formali relative alle propriet e alle corrispettive proposizioni riguardanti il detto individuo; ci si ottiene formalmente con lassioma:

 

(C1) (ab)x . = . axbx .

 

Un altro importante assioma e:

 

(C2) xa . = . ι x a . = . i x a

 

che permette di dimostrare unaltra forma di sillogismo relativo alle asserzioni singolari:

 

(C3) ax (a b) . . bx .

 

Un altro ovvio assioma, che come il (C2) permette il collegamento tra propriet di un livello a quelle di livello superiore, :

 

(C4) a b . = . a b

 

che, ovviamente, si pu scrivere anche:

 

(C4) a b . = . a b

 

 

 

 

Parentesi epistemologica

 

Fin dal tempo in cui luomo ha cominciato a riflettere su se stesso e sulla realt che lo circonda, egli ha coltivato due superbe illusioni; da un lato, quella di scrivere un libro, simile a quello delle fantastiche invenzioni di Borges, in cui vi fossero elencate tutte le proposizioni della conoscenza universale ricavate da uninfinita sequenza di osservazioni empiriche. Questo, e solo questo, avrebbe costituito LA SCIENZA e, per sapere qualsiasi cosa relativa alluniverso fisico e mentale, sarebbe bastato consultare questo immenso vocabolario, dovendosi solo conoscere lordine in cui le conoscenze furono disposte.

Da questa illusione, nasce lidea delluomo dotto come magazzino di informazioni varie, bench sconnesse, che ancora dura ai nostri giorni e, anzi, si rafforza per via dellinfinita congerie di informazioni su presunti risultati di scienze confuse, diffuse, profuse dagli odierni mezzi di informazione di massa.

Dalla stessa illusione nascono le innumerevoli filosofie che, sotto diversi nomi, si rifanno alla concezione empirista della realt.

Ma, non appena si cominci a stendere tale libro, anche nelle dimensioni le pi ridotte, ci si accorge subito che non per nulla facile trovare lordinamento pi razionale affinch esso risulti di facile consultazione. Si scopre che indispensabile un criterio di classificazione.

Nasce cos la tassonomia e le sue strutture astratte che, ora, vengono identificate con LA SCIENZA.

Ci, a un certo punto, crea la seconda superba illusione, secondo la quale, un bel giorno, luomo sar in grado di possedere ununica e breve formula magica a partire dalla quale, senza nemmeno pi consultare il risultato degli esperimenti, si potranno dedurre tutte le conoscenze delluniverso. Questo crea il mito delluomo colto che, seduto a tavolino con la pipa in bocca, alla stregua di Ercole Poirot, da pochi indizi ricrea presente, passato e futuro.

La stessa illusione d origine alle pratiche magiche ed a tutte quelle filosofie che sotto vari nomi si rifanno alla concezione idealista della realt.

Si potrebbe pensare che chi coltiva la prima illusione non possa coltivare la seconda e viceversa. Ma ci non vero perch luna illusione conseguenza dellaltra, come appunto gli empiristi logici stanno a dimostrare, non solamente, guardando al nome con cui si qualificano!

Ora ci occuperemo un momento degli effetti della cattiva filosofia di cui alla citazione di Engels in nota8.

Quando ci si voglia occupare scientificamente di un determinato campo di ricerca bisogna necessariamente delimitarlo.

Gli epistemologi di orientamento empirista pensano che, intanto, bisogna partire dai fatti, cio dal dato empirico. Altri obbiettano che ci praticamente impossibile dal momento che in nessuna scienza esiste il dato empirico in astratto ma solo una ben particolare selezione di dati. E per fare tale selezione preventiva noi dobbiamo essere gi in possesso di una teoria anche se in una forma ancora rudimentale.

La pi rozza forma di teoria deve partire da alcune propriet che, allinizio, saranno necessariamente vaghe e non ben definite ma che possono permettere una prima classificazione. Qui siamo ancora in una fase puramente tassonomica o, per usare la terminologia di Bunge,17 in una fase protoscientifica.

Dal momento che ci sembra ovvio e banale c da chiedersi come mai gli empiristi trascurano questo fatto, visto che si appellano ai fatti.

Inseguendo le loro argomentazioni ci si accorge che essi usano il termine fatto nellaccezione della lingua comune, la quale porta a confondere gli elementi teorici con gli elementi fattuali.

Il sostantivo fatto omonimo del participio passato del verbo fare. Ma, nellaccezione comune, il sostantivo, da tale participio derivato, assume i significati relativi a tutti i tempi del participio: presente, passato e futuro.

Per cui, usualmente, molti considerano un fatto il contenuto semantico della proposizione: chiunque cada dalla finestra finisce a terra.

ovvio che questa non si riferisce al passato, come in sono caduto dalla finestra e sono finito a terra che, effettivamente, si riferisce ad un fatto; ma, piuttosto, rappresenta un futuro ipotetico ed ha la struttura di una legge fisica che, in ogni caso, contiene elementi teorici e, come minimo, presuppone il postulato metafisico induttivista che se una correlazione tra due fatti si sempre verificata in passato deve continuare a verificarsi in futuro.

Intanto, la proposizione precedente si deve, correttamente, porre nella forma se qualcuno cade dalla finestra, allora egli finisce a terra ovvero x a x b, dove x il qualcuno, a la propriet di cadere dalla finestra e b quella di finire a terra.

Pi semplicemente possiamo scrivere a b, dal momento che, in ogni discorso teorico si fa lipotesi forte che la legge vale qualunque sia lindividuo x, per cui la propriet coincide con la sua estensione, ipotesi questa che dovr mantenersi fino a prova contraria, altrimenti sarebbe difficile fare qualsiasi deduzione che non sia banale.

Per la fisica, la precedente proposizione vera ma ellittica e la si dovrebbe completare con un sistema deduttivo di proposizioni del tipo:

1) Tutti i corpi soggetti alla forza di gravit sono accelerati lungo la direzione della forza stessa.

Questo un principio fisico che, nella teoria, assume il ruolo di assioma; il che un modo per dire che una proposizione primitiva, cio indimostrabile (e nemmeno verifcabile, visto che noi possiamo sperimentare solo sotto certe particolari condizioni mentre il principio espresso in forma universale).

2) Sulla terra c un campo di forze di gravit diretto dallalto verso il basso.

Anche questo un assioma.

3) x soggetto alla forza di gravit della terra ed libero di cadere perch la finestra situata in alto rispetto alla superficie della terra.

Questa una condizione iniziale. Nella teoria assume il ruolo di ipotesi, eventualmente da verificare empiricamente, da assumere anchessa come proposizione primitiva.

4) x finisce a terra per 1), 2), 3) e per le leggi del movimento.

Risultato verificabile empiricamente. Nella teoria un teorema.

Ma questa solo una rozza semplificazione che serve solo a dare lidea della complessit di una descrizione scientifica del fenomeno considerato.

A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la descrizione scientifica complica inutilmente le cose solo per dire, n pi n meno, quello che, non solo gi sapevano, ma che, addirittura era assolutamente necessario sapere per avere una pur minima legittimit nellasserire i princpi fisici da cui si tira la conclusione.

Ci tremendamente vero!

Ma la spiegazione scientifica non ha lo scopo di dedurre cose banali da cose banali (come spesso appare dopo avere letto i pi famosi libri di epistemologia!). Ma il suo scopo quello di dedurre, rigorosamente, da cose assolutanmemte banali, o ritenute tali, cose di gran lunga pi complicate come, p. es., dedurre listante preciso in cui un missile (lanciato dalla terra da un certo posto e in un certo istante) raggiunger il pianeta Marte ed in quale preciso punto.

La previsione risulter pi interessante se quello che si deduce paradossale, perch questo imporr la scelta tra le ipotesi di partenza e le conclusioni finali o, quanto meno, una reinterpretazione della teoria; non potendosi, almeno logicamente, mantenere due proposizioni contradittorie.

E qui si capisce a che serve la logica!

Essa non ci pu dire niente sulla verit delle ipotesi e degli assiomi, n su quella delle conclusioni!

Ma ci pu dire se ipotesi, assiomi e conclusioni siano contradittori o compatibili. E ci molto importante per la scienza.

La logica non la scienza della VERIT ma, semplicemente, un piccolo insieme di regole di deduzione. Anzi, non nemmeno una scienza ma una precondizione di ogni scienza!

Allora, come gi sapevano gli antichi, nella scienza non si parte dai fatti ma dalle propriet, (o dai concetti che lo stesso) che una volta astratte dallesperienza sono gli individui della nostra comprensione e gli elementi della nostra teoria.

La comprensione un insieme strutturato di propriet; unalgebra di Boole, come gi detto nella sezione precedente.

Quanto detto vale anche per una scienza puramente empirica, cio priva di qualunque forma di teoria la quale possa assumere a priori i suoi elementi costitutivi.

Infatti, per la costituzione di un linguaggio scientifico si parte (consciamente o inconsciamente) da un insieme non strutturato di propriet, che chiameremo i generatori dellalgebra (sottinderemo: della comprensione); essa delimita il campo di ricerca.

Tutte le altre propriet del campo di ricerca, elementi compresi, possono essere generate, appunto, da tali generatori mediante loperazione tra propriet, nand, che abbiamo indicato con il simbolo .

Potrebbe sembrare, a prima vista, che partendo da un numero finito di propriet si possa generare tutta uninfinit di altre propriet, per effetto di successive e ripetute applicazioni delloperazione nand.

Ma ci non vero, in quanto gli assiomi che sono stati dati nella sezione precedente limitano enormemente il numero delle propriet semanticamente differenti. Si dimostra, infatti, che se si parte da n generatori si possono ottenere solo N 2n propriet atomiche, cio propriet, mutuamente incompatibili, mediante le quali si pu generare tutta lalgebra della comprensione, che conterr esattamente 2N propriet, comprese la propriet assurda, che abbiamo indicato con , e la sua complementare, che indicheremo con e che chiameremo la propriet banale, cio quella propriet posseduta da tutti gli individui che costituiscono il campo di ricerca.

Faremo il postulato che le propriet della comprensione, cos generata, costituiscano tutte e sole le propriet possedute dagli individui del campo di ricerca.

Tra le propriet generate, alcune hanno unimportanza maggiore delle altre; per cui risulta utile introdurre, mediante definizione nominale, dei segni particolari per esse.

Il massimo numero di propriet atomiche, N = 2n, si otterr solo quando capiti che si siano scelti i generatori tutti indipendenti tra loro di modo che, presi due qualunque di essi, p.es. a e b, si abbiano certamente individui che posseggono contemporaneamente entrambe le propriet, cio, quando si possa certamente asserire: $ ab.

Ne segue che, se con Aristotele, pensassimo di definire la sostanza o essenza (ούσία) come la propriet dellesistenza delle cose (facendo astrazione da ogni altra propriet), si avrebbe n = 0, N = 20 = 1 e la comprensione avrebbe solo 2N= 21 = 2 propriet e cio solo la propriet assurda e la propriet banale, come Parmenide cercava di far capire agli empiristi che precedettero lempirista Aristotele. Ma ci lo esamineremo pi dettagliatamente in seguito.

 

***

 

Ma, per potere entrare nei dettagli della scienza degli antichi, necessario chiarire alcune questioni metodologiche.

Solo pochissimi frammenti ci sono pervenuti dei cosiddetti presocratici.

Quasi tutto quello che sappiamo, o che crediamo di sapere, ci proviene dai dossografi.

Si potrebbe pensare che con un minuzioso lavoro filologico si possa ricostruire, in qualche modo, il loro pensiero. Questa, in ogni caso, lopinione generale. Ma noi pensiamo che la filologia non di nessuno aiuto in questa impresa. La riprova di ci che ci sono tanti Parmenidi e tanti Democriti per quanti filologi ci siano.

Escludiamo, ovviamente, dal novero dei filologi tutti quelli che hanno seguito (o che seguono) un ben determinato paradigma. Ch, per i ben noti meccanismi della carriera accademica, non aggiungono niente di nuovo.

per la forza del paradigma aristotelico che molti dossografi sembrano dire la stessa cosa. Di fatto, non fanno altro, per lo pi, che pestare e ripestare le opinioni di Aristotele, con la convinzione, che ancora perdura, che il pensiero di Aristotele, ritenuto il pi grande scienziato del passato, fosse pi maturo dei suoi predecessori. Questo in omaggio a quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI.

Se si abbandona questa teoria si potrebbe pervenire alla conclusione che Aristotele rappresenta un profondo arretramento nel processo di costruzione del linguaggio scientifico.

Ma se neghiamo valore ai dossografi e al loro progenitore Aristotele come potremo procedere?

Semplicemente sostituendo la logica (come chiarita da Peano) alle speculazioni metafisiche che cercano supporto nella filologia.

Gi lo stesso Peano aveva ricostruito, con i suoi simboli, lopera di Euclide; nella convinzione (che anche la nostra) che, da qualunque punto si parta, se si procede coerentemente e senza ambiguit, il risultato deve necessariamente essere lo stesso, se le ipotesi di partenza sono le stesse.

Ma quali erano le ipotesi dei presocratici?

Questo ce lo faremo dire dallo stesso Aristotele, che nel criticarli, le ha enunziate, anche se malamente illuminate, allombra del suo paradigma.

Quindi per studiare i presocratici saremo costretti a partire da Aristotele; ma non dalle sue conclusioni, bens da unanalisi logica del suo paradigma.

 

***

 

Accettando le conclusioni di Max Mller,18 Peano notava che le categorie grammaticali derivano da Aristotele, il quale elenca dieci categorie logiche in corrispondenza con le parti del discorso della grammatica greca. Lo stesso Mller osservava che la classificazione dei vocaboli nella lingua semita e in quella cinese era ben diversa.

Questo significava, per Peano, che altro sono le propriet reali dei nomi e altra cosa le propriet formali, in quanto derivanti esclusivamente dalla tradizione linguistica.19

A partire da questo possiamo concludere alcune cose ovvie.

Si dice spesso che Aristotele da considerare il padre della logica. Peano, in pi di unoccasione, nota che la logica di Aristotele di nessun uso per la matematica. La diversit concettuale, del resto, salta immediatamente agli occhi.

Daltra parte, le conquiste nel campo della matematica dei presocratici sono immense. Si pensi ad Eudosso e Democrito che godevano la profonda ammirazione di Archimede.20

Ovviamente, non si pu fare matematica senza logica; e, del resto, tra le opere di Democrito, elencate da Diogene Laerzio tra gli scritti di fisica, vi figura Logica o Canone in tre libri.21

Se ne pu semplicemente concludere che la logica di Aristotele la logica del senso comune e quella di Democrito doveva necessariamente essere quella della matematica.

 

***

 

Quale dovrebbe essere la logica della scienza in generale?

Per Democrito non ci sarebbe potuto essere alcun dubbio, visto che per lui la scienza era una e non era divisa in branche e sottobranche di specialisti che, secondo laforisma di Bernard Show, sono coloro che sanno tutto su nulla.

Oggi, la risposta non sembra cos ovvia, anche a causa della confusione epistemologica di marca russelliana, ancora imperante! (si veda PF).

utile entrare, per un momento, in qualche dettaglio per capire la profonda differenza tra le metafisiche che si nascondono sotto dei simboli apparentemente uguali e per vedere come lo scontro tra queste due contrapposte metafisiche non diverso da quello che ciclicamente si verificato nel corso della storia.

Come viene chiarito in PF, tale differenza si manifesta nellinterpretazione estensionale del termine classe nelluna concezione del mondo contrapposta a quella intensionale dellaltra.

Al senso comune appare che gli oggetti immediati della nostra percezione siano le cose in quanto individui. Da esse noi formeremmo gli aggregati di cose. Successivamente, avendo dato un nome allaggregato, raggiungeremmo la classe.

Se cos fosse non avremmo nemmeno bisogno di nominare le propriet.

Infatti nella logica empirista il ruolo delle classi risulta del tutto marginale ed il ruolo primario viene assunto dalle proposizioni categoriche.

Per esempio, Russell (vedi PF) concede qualche ruolo alle intensioni solo per parlare dei numeri transfiniti, che per altro, nessuna applicazione trovano nelle scienze.

Saltando, cos, con un solo incredibile balzo, dalle banalit della logica del senso comune agli iperuranici meandri dellinfinito.

Tuttavia, una tale filosofia ha un profondo fascino; perch conforta gli sciocchi che si sentono a loro agio nel linguaggio atavicamente acquisito e pretendono di stupire il mondo con i supposti paradossi della matematica. Allo stesso modo di Aristotele che pretendeva di superare quelle che egli chiamava le aporie di Zenone; le quali, invece, come vedremo, erano dei semplici teoremi. Il paradosso nasceva solo al confronto con le difettose premesse aristoteliche.

Uno potrebbe, ingenuamente, pensare che, quando si incontrano dei paradossi, vuol dire che i significati degli assiomi di partenza (essendo libere creazioni dellintelletto umano!) siano contraddittori; ma i falsi profeti concludono diversamente; ipotizzando, inconsciamente o esplicitamente, che i loro assiomi e relativi significati siano leggi imposteci dalla natura; per cui bisogna abituarsi a convivere con paradossi ed aporie, cercando di arrangiarsi a fare il meglio che si pu acciocch non diano soverchio fastidio quando dal mondo iperuraneo del pensiero astratto si voglia fare il tentativo di applicarle a situazioni concrete o pseudoconcrete.

Per assaporarne, in seguito, le analogie coi discorsi degli antichi, esaminiamo il paradosso centrale dei logici moderni che , appunto, quello che va sotto il nome di paradosso di Russell e che deriva, sostanzialmente (senza tenere conto delle infinite chiacchiere inutili) dal dogma che la matematica si occupa solo di estensioni e dalla conseguente identificazione del termine classe con il termine aggregato. (Per capire come Russell doveva, necessarianmente, arrivare al paradosso basta leggere la confusa ed incomprensibile distinzione tra classe, concetto e concetto-classe nellintero capitolo dedicato a tale questione nel suo The principles of mathematics, dove con argomenti non dissimili da quelli medioevali, riferentisi al sesso degli angeli, si critica, anche a sproposito, la chiara e precisa impostazione di Peano; vedi, comunque, PF).

Per Peano, al contrario, la logica non una scienza a s sulla quale esercitarsi con lalta matematica, per poi applicarla ad astruse questioni metafisiche (nel senso deteriore di tale termine) ma un semplice strumento per il chiarimento dei concetti della matematica; la quale, a sua volta, non serve per costruire castelli di carta della pi inutile astrazione, ma costruisce le sue strutture formali a partire da modelli che idealizzano le concrete operazioni della scienza empirica.22

Per Russell, la matematica quella scienza che non deve sapere nemmeno di che cosa tratta, secondo un paradossale aforisma russelliano. Ma nonostante ci, egli procede impunemente a matematizzare la logica.

Lobiezione, pi ovvia, a una tale impostazione quella di notare, banalmente, che fare della matematica sulla logica che, a sua volta, deve servire a fondare la matematica, equivale a porsi lirresolubile problema di sapere se nato prima luovo o la gallina; come tutte le successive chiacchiere inutili sul sovrumano problema dei fondamenti della matematica stanno a dimostrare. Infatti, la conclusione a cui giungono i superlogici che si autodefiniscono metamatematici la contradittoria asserzione che, da un lato, la matematica non si pu fondare sulla logica (vedi le varie interpretazioni del famigerato teorema di Goedel) e che, daltro lato, la matematica riducibile ai concetti della logica.

Ma vediamo di capire lessenza del tremendo ed esiziale paradosso di Russell.

Se, come abbiamo convenuto, scriviamo a e C per dire che a una classe, dove a e un simbolo che pu assumere qualunque valore semantico (ovviamente tra i termini che denotano una classe), possiamo pensare di essere liberi di attribuire ad a il particolare valore C, scrivendo CC.

Se interpretiamo C come sinonimo di mucchio, cio estensionalmente, e, ancora arbitrariamente, ipotizziamo di essere liberi di creare astrattamente dei mucchi con la sola potenza del nostro pensiero, possiamo pensare, che oltre a C, ci siano altri mucchi per i quali si possa scrivere a a (pressappoco come quel fantastico mucchio di spaghetti che contiene la pentola che li contiene; infatti baster ribattezzare la pentola con il pi pomposo nome di insieme degli spaghetti che contiene se stesso!) chiamiamo tali chimerici mucchi:

insiemi chiusi.

Ovviamente ci sono anche banalissimi insiemi che fra i loro membri non contengono lo stesso insieme che li deve contenere, chiamiamoli: insiemi aperti.

Immaginiamo ora, sempre con linfinita potenza del nostro pensiero, di compiere un ultimo atto di creazione e generiamo Eva dalla costola di Adamo inventandoci linsieme di tutti gli insiemi aperti che chiameremo R.

Nasce un tremendo problema che assomiglia al problema di Wiener il quale si chiede se, essendo Dio onnipotente, possa creare un masso cos pesante, ma cos pesante, che Egli stesso non possa sollevare. Il problema o non ha soluzione perch mal posto o conduce ad una contraddizione che viene a negare lonnipotenza di Dio. Infatti o in grado di creare il masso e allora non potr sollevarlo o non ne sar in grado. In ogni caso, non sarebbe onnipotente.

Non dissimile il problema di Russell: R chiuso o aperto?!

Se chiuso dovr aversi R R. Ma R era linsieme degli aperti e, quindi, R R, per definizione.

Se aperto dovr aversi R R ma allora dal momemmto che R aperto dovr essere contenuto in R che linsieme degli aperti e quindi R R.

Allora, o la questione mal posta o il pensiero astratto non onnipotente. Noi pensiamo che entrambe le ipotesi siano vere!

Ma forse che, da questa patente contraddizione, Russell ed i logici posteriori concludono che ci deve essere qualcosa di marcio sotto? No!, al contrario, pensano che sia un brutto scherzo della natura stessa della logica e quindi ricorrono a delle pezze per salvare il salvabile e, cos Russell si inventa la famigerata ed inutilmente complessa teoria dei tipi che complicherebbe enormemente la vita ai matematici che, infatti, lhanno sempre rifiutata.

Tuttavia, questi ultimni o fanno limita di niente, forse tacitamente assumendo che la questione malposta, o ricorrono ad una semanticamente non chiarita distinzione tra insieme e classe aggiungendo un, praticamente inutile, postulato secondo il quale, affinch qualcosa sia un insieme non basta che ci siano degli individui che vi appartengano ma deve esistere, anche, un non meglio specificato ente a cui linsieme stesso deve appartenere; con divertenti conseguenze quando le astratte formule si volessero interpretare semanticamente.

Infatti, a causa dello stesso errore che porta ai paradossi, Whitehead e Russell, insieme ad altri posteriori assiomatizzatori, giungono a definire linsieme vuoto come linsieme di quegli individui per cui valga la proposizione x x e la classe universale viene definita come la classe di quegli individui per cui valga la proposizione x = x.

Analizzando le precedenti definizioni con lideografia di Peano se ne pu misurare facilmente la loro assurdit.

Per quanto riguarda la classe universale: usando il precedentemente introdotto simbolo per la formazione di classi a partire dalle proposizioni, si ha 'x (x = x) e per la decomposizione di = : 'x x ι x che, per la propriet gi menzionata delloperatore 'x x , si riduce semplicemente a ι x. Per cui la classe universale si riduce a quella che abbiamo chiamato lidea di x che, in ogni caso, una classe con un solo individuo.

Ma, essendo x un simbolo generico senza significato definito, si conclude che la classe universale la propriet di nessun individuo determinato e quindi la propriet assurda.

Allo stesso modo, per linsieme vuoto si ha: 'x (x x) e quindi 'x x ~ ι x e, alla fine, ~ ι x ; in conclusione: la propriet complementare delle cose che non hanno significato e quindi, se volessimo insistere sullinterpretazione estensionale, la propriet di tutte le cose che significano qualcosa; per cui linsieme vuoto viene ad essere pieno zeppo!

E si potrebbe continuare, con divertimento, a volont!

Nella formulazione di Peano, tali assurdit non possono mai presentarsi; infatti: non ha senso scrivere x x (come in molte altre rinomate assiomatizzazioni si scrive!) ma solo x x o x ι x qualunque cosa sia x, in particolare anche C.

Per cui, al massimo, potremmo ottenere solo le banali asserzioni C C o C = C che sono, ovviamente, sempre vere e ci dicono: nel primo caso che la classe una sottoclasse del termine classe o, in altre parole, che il termine classe un membro della comprensione del concetto di classe; come, daltra parte, vale per qualsiasi altro termine!

Nel secondo caso avremo che la classe identica alla classe o, in altre, parole che il termine classe un membro del concetto di classe.

Tutte queste frasi sono modi pi precisi, anche se inutili e banali, di enunciare lambigua affermazione del linguaggio comune che una classe una classe!

Come sempre, i paradossi derivano da una ben povera teoria! Ma la gente sembra deliziarsi con i paradossi e ne va costantemente alla ricerca in ogni campo della SCIENZA (naturalmente di quella scritta a caratteri maiuscoli!).

 

***

 

La confusione epistemologica, a nostro giudizio, pu essere portata avanti solo per un profondo malinteso sul ruolo della matematica nella scienza.

C, intanto, unimportante distinzione che bisogna fare entro le scienze particolari a cui la logica si applica, distinguendo tra quelle formali, come la matematica, quando si astrae da qualunque applicazione concreta, e quelle empiriche in cui la matematica nientaltro che il mezzo per organizzare ogni discorso.

Nel primo caso si ha solamente una struttura formale non interpretata. Nel secondo caso, oltre alla prima, che spesso si dice la teoria, si ha anche tutta una serie di affermazioni riguardanti i dati empirici, cio esperimenti, osservazioni empiriche, e loro risultati fattuali, i cui termini sono dotati di significato non formale, ma operazionale.

Il collegamento tra le due parti del linguaggio viene operato mediante un processo di interpretazione di natura solamente e, necessariamente, metafisica (cio non dimostrabile formalmente, n verificabile empiricamente) che consiste nello stabilire opportune relazioni tra termini definiti operazionalmente e termimui definiti teoricamente.

Solo allora i teoremi dedotti dalle ipotesi teoriche potranno essere falsificati empiricamente se, per di pi, si stabilisce un limite di accettabilit, tenuto conto che, in ogni esperimento reale, siamo costretti a un processo di idealizzazione per cui, solo statisticamente, si possono trarne conclusioni intorno allaccordo tra teoria ed esperimento.23

Gli stessi termini operazionalmente definiti presuppongono elementi teorici, anche se non formalizzati, provenienti dal, generalmente inconscio, processo di concretizzazione o ipostatizzazione degli enti astratti (cio che sono stati astratti dal caotico mondo delle sensazioni).

A maggior ragione, gli assiomi della teoria (che, ovviamente, non sono direttamente collegati ai termini del linguaggio empirico) sono astrazioni; ma, in questo caso, pi opportuno dire idealizzazioni, intendendo con questultimo termine il processo per cui, da determinate propriet precedentemente astratte dal mondo sensibile (anche se nei contesti i pi disparati), a partire dalla ripetuta applicazione delloperazione tra propriet che abbiamo indicato con , si generano altre propriet che definiscono una nuova idea generale, che non fa parte delle cose osservabili.

Un esempio si ha in meccanica classica dove si definisce il concetto di punto materiale, mediante le propriet astratte di essere senza dimensioni fisiche e, tuttavia, dotato di massa. Dopodich si attribuisce agli individui di tale classe astratta anche la propriet dellesistenza; quindi concretizzandola.24

Dal momento che i termini della teoria rappresentano idealizzazioni e che, quindi, gli individui sono definiti a partire dalle propriet, e non viceversa (anche gli enti, cosiddetti, sensibili sono, anche se spesso inconsciamente, definiti per propriet!), ne consegue che tali termini, per parlare propriamente, non avrebbero unestensione, se volessimo usare tale termine nellaccezione degli empinisti, nella quale si mantiene lillusione che vi siano oggetti che esistono in quanto sensorialmente percepiti. Quando invece in realt si assume ipostaticamente che esistono realmente proprio perch creati indipendentemente dai nostri sensi e cio al di l del caos sensoriale.

Ragione per cui, nel linguaggio teorico, assumiamo (o, facciamo la convenzione, come dice Peano) che lestensione coincida con lintensione. Per cui la classe si pu far coincidere con la propriet che la definisce.

Ma se tale identificazione, tra intensione ed estensione, va bene nel linguaggio teorico di una scienza empirica, non va per niente bene in un linguaggio puramente tassonomico.

Infatti, senza la convenzione ext a = a, possiamo solo scrivere: a ext a (ma non viceversa) e non saremmo pi autorizzati a generare tutta lalgebra della comprensione e, al massimo, potremmo pervenire a una struttura formale meno forte (esattamente si perverrebbe a quello che i matematici chiamano un reticolo non distributivo).

Per vederne la ragione, esaminiamo la scoperta gi attribuita ai Pitagorici (PR p. 131)25 che la stella del mattino e la stella della sera sono termini diversi per lo stesso oggetto.

Le propriet che i due termini descrivono sono diverse e non pu sussistere nessuna relazione di inclusione tra di esse.

Empiricamente niente potremo dire su una loro eventuale relazione; al massimo potremmo osservare determinate correlazioni tra certe particolari osservazioni.

Lasserzione della loro equivalenza estensionale pu derivare solo da una teoria fisica sulla costituzione del sistema solare che creerebbe un altro concetto (di ancora diversa intensione): il pianeta Venere.

A questo punto, non saremmo in grado di stabilire nessuna relazione di inclusione tra le tre propriet diverse. Avremo bisogno di tutta una, piuttosto complessa, teoria che leghi il moto dei pianeti alle nostre osservazioni empiriche; e, quindi (come minimo) di una qualche teoria della luce.

Lalgebra di Boole di questo sistema teorico sarebbe davvero troppo vasta. Ma senza di questa non potremmo scrivere nessuna relazione logica fra le tre propriet.

Ma, naturalmente, la scienza teorica procede per altre vie. Cio introducendo altre relazioni oltre a quelle puramente logiche e che, invece, sono specifiche delle varie scienze particolari (mediante le cosiddette definizioni per astrazione vedi PF).

Da ci risulta chiaro che il mito empirista assolutamente vacuo.

Cos come lo quello del razionalismo estremo; il quale viene derivato dal primo mediante lillusione di poter trovare una regoletta universale che spiega tutto anche a costo di partire da strutture meno forti (come in meccanica quantistica) dellalgebra della comprensione e che si limitino a rispondere solo sul risultato di possibili misure.

Da questa osservazione, la fisica moderna, dentro il paradigma della meccanica quantistica, conclude che bisogna rinunciare a costruire lalgebra di Boole, accontentandosi di un reticolo non distributivo; al quale, arbitrariamente, si attribuisce la propriet di modularit debole. Ci semplicemente allo scopo di salvare il mito empirista.

Ma se si rinuncia alla SCIENZA UNIVERSALE, si possono ben spiegare le nostre osservazioni empiriche con modelli parziali nellestensione ma strutturalmente completi.

Solo allora possibile e, anzi, necessario identificare lintensione di un concetto con la sua estensione, se si vuole dedurre qualcosa.

Ma ci, certamente, non potr essere possibile nella matematica, quando la si voglia considerare come un puro gioco astratto di simboli, nel qual caso, parlare di estensione non avrebbe molto senso, potendosi essa riformulare in modo da non nominare assolutamente gli individui.

Ma, piuttosto, nella teoria delle scienze empiriche.

Vedremo che questa era la filosofia degli antichi scienziati che vengono qualificati come Italici.

 

 

Il linguaggio scientifico dei preso cratici.

Essere e Non-essere.

 

Lintreccio tra le due contrastanti metafisiche di cui alla sezione precedente molto antico.

P.es., Diogene Laerzio nel Proemio alle sue Vite dei Filosofi divide i filosofi antichi in due principali tradizioni: la Ionica che fa capo a Talete e lItalica originatasi da Pitagora.

Non sembra che il criterio di classificazione di Diogeime fosse geografico in quanto molti tra gli Ionici non erano della Ionia, n tutti gli Italici erano dellItalia. Tale ripartizione molto antica e si fa risalire a Sozione.

Infatti tra gli Ionici oltre, ovviamente, a Talete, Anassimandro, Anassimene e Anassagora, vengono annoverati anche Socrate, Platone e Aristotele. E tra gli Italici troviamo oltre a Pitagora, Empedocle, Archita, Filolao, Parmenide e Zenone, anche Eudosso, Senofane, Leucippo, Democrito, Protagora ed Epicuro.

probabile che la bipartizione avesse a che fare, invece, con il differente dogma centrale che ognuna delle due tradizioni assumeva. Esso si riferiva alle due possibili alternative per linterpretazione del termine realt.

Nella tradizione ionica la realt inizialmente viene, sostanzialmente, identificata con il dato dei sensi; la conoscenza della realt quindi data immediatamente e la ragione umana pu solo limitarsi a classificare le sue esperienze, la matematica non adatta per la comprensione della complessit del reale come concluder Aristotele (Metaf. 995a 15-20): N, daltra parte, si deve pretendere luso di un esatto linguaggio matematico indistintamente in ogni settore di ricerca, ma soltanto nel caso che si studino enti immateriali. Perci un tale modo di esprimersi non si addice allindagine sulla natura, giacch ogni ente naturale non certanmente privo di materia.

Nella tradizione italica, viceversa, il dato sensoriale solo apparenza; la realt in quanto essenza una ricostruzione razionale accessibile solo mediante lo strumento matematico.

Limperativo per ogni scienza era stato posto da Solone: Testimonia le cose invisibili con quelle visibili.

Come possiamo interpretare questa esortazione?

Dato per scontato che le le cose visibili, cio le sensazioni, sono il dato di partenza di qualunque processo conoscitivo, non possiamo fermarci ad esse se vogliamo fare scienza.

Le sensazioni sono semplicemente Caos. Fare scienza significa, quanto meno, dare un ordine alle sensazioni, farne un Cosmos.

Non si pu nemmeno riflettere sulle sensazioni senza individuarne alcune, che abbiano un certo grado di stabilit, dando un nome ad esse. Ma questo solo il principio della scienza.

La scienza deve anche essere in grado di spiegare per essere in grado di prevedere, quindi bisogna cercare le cose invisibili, cio le connessioni intime tra le cose visibili.

da queste che bisogna partire, non dai sensi.

Ma queste connessioni non possono essere arbitrarie, devono essere testimoniate, cio verificate dai nostri sensi.

Quindi le sensazioni sono il punto di arrivo della scienza non il punto di partenza, al contrario di quello che pensano Aristotele e Mach (per citare alcuni dei pi illustri empiristi).

Ma come son fatte le cose invisibili?

Somigliano, forse, allaria dello Ionico Anassimene, che secondo quanto riferisce Ippolito (PR p. 109): quand tutta uniforme, sfugge alla vista, mentre si mostra col freddo e col caldo, con lumido e il movimento. E si muove sempre perch, se non si muovesse, tutto quel che si trasforma non si trasformerebbe Sicch i contrari fondamentali per la generazione sono il caldo e il freddo ?

O non somigliano, piuttosto, alla monade dellItalico Pitagora; che, secondo quanto riferisce Diogene Laerzio (DL VIII, 25)26: principio di tutte le cose; dalla monade nasce la diade infinita, che sottosta come materia alla monade che causa; dalla monade e dalla diade infinita nascono i numeri; dai numeri i punti; da questi le linee, da cui le figure piane; dalle figure piane le figure solide; da queste i corpi sensibili, i cui elementi sono quattro: fuoco, acqua, terra, aria che mutano e si volgono per il tutto, e da questo risulta il cosmo animato, intelligente, rotondo, che contiene al centro la terra anchessa rotonda e abitata ?

La contrapposizione netta. Gli Ionici, seguono una tradizione molto antica che si pu far risalire alle prime civilt neolitiche. Essa sfocer in quelle che oggi vengono matematizzate sotto il nome di teorie di campo.

Infatti Aristotele dice (PR p. 89): ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero di specie materiale, perch ci da cui tutte le cose hanno lessere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualit, questo essi dicono che lelemento, questo il principio delle cose e perci ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poich una sostanza siffatta si conserva sempre Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che lacqua. E Simplicio (PR p. 90) aggiunge che Talete era spinto a tale conclusione dallesame sensoriale dei fenomeni.

Quindi per gli Ionici la realt non altro che una determinata materia sensibile che, in qualche modo trasformandosi, d origine al mondo.

Ma tuttavia, dialetticamente, tra i primi Ionici si ammetteva ancora un principio unitario allo stesso modo degli Italici. Infatti Simplicio (PR p. 90) dice: Altri supposero un elemento solo e questo dissero illimite per grandezza, come Talete a proposito dellacqua. Ed Aezio (PR p. 90): Talete ed i suoi discepoli dicevano che uno il cosmo. E c anche il tentativo da parte di Anassimandro di pensare il principio come indeterminato fisicamente, introducendo il termine di infinito; ma secondo Aristotele (PR p. 100) chiaro che linfinito causa come materia, che la sua essenza privazione e che il sostrato in s ci che continuo e sensibile. E tutti gli altri [pensatori], si vede chiaramente, utilizzano linfinito come materia. Simplicio (PR p. 109) precisa che Bisogna sapere che altro linfinito e il limitato quanto al numero, il che proprio di coloro che ammettono molteplicit di princpi, altro linfinito e il limitato quanto a grandezza, il che ... conviene ad Anassimandro e ad Anassimene, i quali ammettono s un unico elemento, ma infinito per grandezza. Ma nello stesso tempo parlano, secondo Teofrasto (PR p. 109), di rarefazione e condensazione.

Questo un punto che sar soggetto alla critica che muovono gli Italici, come vedremo.

Questi, come gi detto, seguono la tradizione pitagorica che vuole spiegare le cose del mondo non ricorrendo ai dati sensibili (i quali necessitano di spiegazione essi stessi) ma allaritmetica e alla geometria.

Proclo (PR p. 118) ci fa sapere che dopo Talete si ricorda come studioso della geometria Mamerco, fratello del poeta Stesicoro [della citt siciliota di Imera] e dopo costoro si dedic allo studio della geometria e le diede forma di educazione liberale Pitagora, ricercandone i principi primi e investigandone i teoremi concettualmente e teoreticamente: per primo egli tratt poi dellirrazionale e trov la struttura delle figure cosmiche.

Ma anche qui c un elemento dialettico, se dobbiamo credere a Diogene Laerzio, il quale, parlando di Pitagora (DL VIII, 14), dice che fu il primo ad introdurre in Grecia misure e pesi, come dice Aristosseno.

Il discorso dei Pitagorici molto pi astratto e di pi difficile comprensione di quello degli Ionici, specialmente per chi non ha confidenza con la matematica e soprattutto con le applicazioni di essa al mondo fisico. I travisamenti di Aristotele ne sono lesempio pi lampante.

Ma gi, allinterno stesso della tradizione pitagorica, avviene una profonda divisione (PR p. 124) tra esoterici (o matematici, o Pitagorici) da una parte ed essoterici (o acusmatici, o Pitagoristi) dallaltra; che in seguito si trasformer anche in una contrapposizione politica (se pur non sia stato esattamnente il contrario e cio che la contrapposizione ideologica fosse il risultato di quella politica!)27

Vediamo di interpretare le parole, sopra riportate, con le quali Diogene Laerzio descrive la filosofia di Pitagora.

Facciamo lipotesi che si abbia:

 

monade = ι uno

 

 

che, nel linguaggio comune, viene espressa con: la monade luno; ma che pi precisamente si dovrebbe esprimere con: la monade identica al concetto di uno, se interpretiamo uno come una propriet che diversi individui possono possedere o, invece, (secondo la distinzione terminologica che abbiamo, a suo tempo, introdotta): la monade identica allidea di Uno, se, al contrario, pensassimo che Uno sia il nome proprio di qualche individuo esistente, magari nel mondo iperuraneo. La nostra ideografia non in grado di distinguere tra le due possibili interpretazioni che corrispondono a due diverse metafisiche. Ma dal momento che la propriet uno si dice di ogni individuo, vale la prima interpretazione e, se Uno esiste, ovviamente Uno uno e non serve ripetere il ritornello di Aristotele, che uno si dice in molti sensi, se si vogliono evitare le contraddizioni.

Del resto, questa era la polemica che gli Eleati portavano avanti contro i rozzi predecessori di Aristotele.

Notiamo, tuttavia, che si pu porre, senza inconvenienti Uno . = . ι uno; ma, in tal caso, bisogner scrivere Uno . = . monade e monade Monade, con la conseguenza che ci sarebbero infiniti mondi iperuranei.

Ma, naturalmente, in ogni caso si avr:

 

uno monade ,

 

 

cio: uno una monade che, senza la distinzione logica che abbiamo chiarito, sembra che dica la stessa cosa di: la monade luno.

I dossografi non sono in grado di afferrare la differenza tra individuo ed elemento (tra άτομον e μονάς) per cui riportano (vedi PR p. 489): Archita e Filolao chiamano indifferentemente luno anche monade e la monade uno.

Molto probabilmente, invece, i due Pitagorici menzionati volevano mettere in evidenza la diversit formale tra la propriet e lelemento che ne il suo concetto.

Ma i dossografi sono ormai sotto la cappa del vocabolario antiscientifico creato da Aristotele il quale, anche se in qualche modo aveva intuito la profonda differenza della semantica pitagorica rispetto a quella degli Ionici, non riesce a liberarsi dal concreto sensibile e dalla sua logica grammaticale; dice infatti nella Metafisica (PR p. 520): I principi e gli elementi di cui si servono i filosofi che sono detti Pitagorici, sono assai lontani da quelli dei fisiologi. E la causa in questo, che essi non li hanno presi dalle cose sensibili; gli enti matematici infatti, se si eccettuano quelli che riguardano lastronomia, sono senza movimento.

La concezione degli enti matematici di Aristotele oggi appare infantile, se confrontata a quella dei Pitagorici che andava criticando; per cui egli si sorprende che i Pitagorici li potessero applicare allindagine sulla natura ed allo studio delle cose percepibili. E si chiede stupefatto in che senso si deve intendere che il numero e le propriet dei numeri sono causa delle cose che sono.

Per capire cosa mai i Pitagorici intendevano dire, useremo le notazioni di Peano.

Indichiamo com x un individuo che appunto uno e indivisibile come l άτομον dei greci.

Con indivisibile dobbiamo intendere loggetto pensato come indiviso, cio in quanto individuo anche se, per altri aspetti, pu essere divisibile allinfinito.

Si pensi al termine retta: possiamo pensare la retta come individuo indivisibile componente di uno spazio fatto di rette o come insieme di punti e quindi divisibile allinfinito.

Nel linguaggio formale bisogner usare due simboli diversi per i due concetti se, nel contesto in cui se ne parla, servono entrambi: se P la propriet punto, P sar la comprensione di P e cio la propriet insieme di punti. Cio: P . = . punto e P . = . insieme di punti.

Supponiamo che R . = . retta. Sarebbe errato scrivere: R P in quanto si avrebbe per sillogismo (nella sua forma singolare) x R . . x P, cio, se x una retta allora x un punto.

Bens, dobbiamo scrivere: R P, che d origine a: x R . . x P

(ovvero: x R . . x P), cio se x una retta allora x un insieme di punti.

Ma, nello stesso tempo, avremo: ι x R . . ι x P cio, ι x il concetto di una data retta x; x, invece, una tra le propriet possibili degli insiemi di punti, cio della comprensione del concetto insieme di punti, e, a sua volta, il concetto insieme di punti la comprensione del concetto punto.

Nel linguaggio ordinario, con il termine retta si intendono entrambe le cose e non si possono evitare le contraddizioni.

Allo stesso modo, se scriviamo: x monade avremo x = uno; ma se scriviamo: ι x monade (monade=elemento=concetto di essere uno), dobbiamo intendere ι x . = . uno e quindi: x ι x . = . x uno e, ancora: x = x . = . x uno. Cio, se qualcosa una monade essa luno e, invece, quella cosa di cui predichiamo che una, sempre uguale a se stessa e viceversa.

Di nessun concetto (o idea) noi possiamo predicare che non uno; perch arriveremmo alla conclusione assurda che x x. Quindi se qualcosa un concetto o unidea, allora una.

Ma, dal momento che la vera realt, lessenza delle cose tutte, sono i concetti, allora se qualcosa allora essa una. E, allo stesso tempo, uno sar molti, anzi infinito, essendo che infiniti sono gli individui dellestensione del suo concetto. Asserzione che verr, poi, ribadita dagli Eleati.

Tale asserzione esprime il fatto ovvio che qualsiasi idea o concetto uno, financo il concetto di pluralit. E, viceversa, qualsiasi propriet che non sia unidea singolare molti, come la stessa propriet di essere uno.

Abbiamo convenuto che uno una propriet, infatti, non esiste alcun individuo di cui Uno sia il nome proprio.

Ma una volta che ci siamo formati il concetto di uno, per contrapposizione logica, acquistiamo anche il concetto di non-uno, che pu essere o semplice molteplicit, cio numero, o linfinito cio il non numerabile (nel senso che non possibile assegnargli un numero ne viene che i numeri interi, essendo infiniti, non sono numerabili; contrariamente alla definizione odierna, originatasi dalle ipotesi di Cantor) ottenendo cos la diade, cio la coppia (uno;non-uno) che perci viene detta infinita dai Pitagorici, in quanto ogni cosa uno o non-uno.

Quindi la diade non lidea di due.

Tuttavia gli individui della diade sono due; ma tali due individui sono propriet complementari delle cose tutte.

Lo stesso vale per qualsiasi altra propriet. In altre parole, tutte le volte che introduciamo una nuova propriet, se essa non la propriet assurda (il non-essere) o la propriet banale (lessere), allora esisteranno individui che hanno la propriet complementare. Quindi tutto il mondo viene generato (logicamente) dalle coppie di contrari di cui i Pitagorici ne fanno un lungo elenco a scopo esemplificativo.

Ma non tutte le propriet sono attribuibili alluno in quanto individuo della monade perch molte altre propriet sono attribuibili solo agli individui che hanno la propriet di essere uno o non-uno, che sono tutti gli individui del mondo (fisico o logico che esso sia).

Ma se limitiamo il campo di ricerca, identificando la diade con la totalit delle cose che sono nello spazio (la monade coincider, in questo caso, con il concetto di punto), avremmo:

diade =(punto;non-punto) e gli individui elementari sarebbero solo gli indivisibili punti.

Con ci abbiamo creato unaltra diade di enti contrapposti e cio la contrapposizione concreto-astratto; per cui lindividuo, in quanto pensato come essere concreto, sottost come materia alla monade che causa ovvero elemento, (o anche: principio, forma, idea, essenza, sostanza, ecc, che sono gli svariati termini con i quali, nel fluire dellentropia durante il corso dei secoli, si tradotto il termine greco αιτία o gli altri termini con i quali Aristotele crede di spiegare il predetto termine).

Che questa nostra interpretazione possa essere la pi corretta (necessit logica a parte) viene confermato da certe parole dello stesso Aristotele, l dove dice (PR p. 512-13): Al tempo di costoro [Leucippo e Democrito], si dedicarono alle matematiche e per primi le fecero progredire quelli che son detti Pitagorici. Questi, dediti a tale studio, credetterro che i principi delle matematiche fossero anche principi di tutte le cose che sono [notiamo che i princpi delle matematiche sono princpi logici]. Or poich principi delle matematiche sono i numeri [questa ci sembra una personale opinione di Aristotele; infatti, per i Pitagorici non c differenza fra numeri e rapporti tra grandezze; e tutte le cose del mondo hanno grandezze fisiche; e solo mediante queste le descriviamo! infatti i Pitagorici:] vedevano espresse dai numeri [perfino] le propriet e i rapporti degli accordi armonici ... hanno pensato che due sono le cause i Pitagorici, ma essi hanno in pi pensato, e in questo la loro singolarit, che il limitato e linfinito e luno non siano attributi degli altri enti, come il fuoco e la terra e qualunque altra cosa simile a questi, ma che lo stesso illimitato e lo stesso uno siano la sostanza delle cose che da essi sono predicate [infatti fuoco uno uno predicato = essenza = causa = elemento = sostanza = ...] ... di numeri compongono lintero cielo; ma non di numeri formati da unit senza grandezza, ch essi attribuiscono grandezza alle unit. ... Dicendo che sostanza lunit, e non la cosa di cui si dice che una, Platone daccordo coi Pitagorici; e ancora saccorda con essi quando dice che i numeri sono causa dellessere delle altre cose [cio sono propriet delle cose che sono]. Suo proprio invece laver sostituito la diade allinfinito concepito come uno, e aver creduto che linfinito consti del grande e del piccolo [infatti, per i Pitagorici, linfinito qualunque cosa sia diverso dal niente, dalluno e dal molti, indipendentemente dal fatto che sia grande o piccolo, i punti di un granellino di sabbia sono infiniti come quelli dellintero universo fisico]. Inoltre egli pose i numeri fuori delle cose percepibili, mentre essi dicono che le cose stesse sono numeri [infatti, p. es., gli occhi delluomo sono 2 e gli occhi sono cose! Se ne diamo unaltra interpretazione, bisogner pensare che i Pitagorici fossero dei deficienti! ma questo proprio non sembra!], e non pongono nel mezzo gli enti matematici [da Platone indebitamente ipostatizzati!]. Questo, il porre, diversamente da quanto fanno i Pitagorici, luno e i numeri fuori delle cose, e introdurre le specie egli pot fare perch nella ricerca si serviva della dialettica, che i filosofi precedenti non conoscevano.

Con il significato odierno di dialettica diremmo che i filosofi precedenti erano dialettici, mentre Platone era assolutamente adialettico, a meno che per dialettica non si intenda la possibilit di asserire contemporaneamente due asserzioni contraddittorie, come spesso viene intesa.

Ma come mai dai numeri nascono i punti?

Questo ce lo faremo spiegare dal pitagorico Archita (PR p. 491): Sio mi trovassi allestremit dello spazio, ad esempio nel cielo delle stelle fisse, potrei tendere la mano o un bastoncino fuori di quella? o non potrei?

Se consideriamo come unit di misura il bastoncino (o la mano, in tal caso parleremmo di un palmo), con lesempio di Archita avremmo generato la serie dei numeri interi e al limite linfinito. La domanda di Archita non altro che un modo di enunciare il principio di induzione matematica cos come formalizzato da Peano. Ma il bastoncino lo possiamo dividere in sottomultipli sempre pi piccoli e al limite, otterremmo i punti.

divertente, a questo proposito, osservare lincapacit di Aristotele di pensare i numeri come riferibili alle grandezze fisiche; al pi, ed ovviamente sbagliando, identifica lunit con il punto (PR p. 516): Anche i Pitagorici pensano che il numero sia dun modo solo, e cio [numero] matematico ...Di numeri infatti compongono lintero cielo; ma non di numeri senza grandezza, ch essi attribuiscono grandezza alle unit e pi oltre, avendo stabilito, invece, che almeno le unit non possono avere grandezza essendo indivisibili (non si capisce perch!), si chiede attonito: com possibile che una grandezza sia composta da indivisibili? E tuttavia il numero formato da unit. Essi invece dicono che il numero le cose che sono, o almeno applicano i loro teoremi ai corpi, come se i numeri fossero corpi.

Ma per Pitagora di punti si compongono le linee e di queste le figure piane e di queste, a loro volta, le figure solide.

Ed in che altro modo potremmo descrivere i corpi sensibili se non con questi strumenti matematici?

Forse che fuoco, acqua, terra, aria non sono corpi sensibili?

E tuttavia essi assumono forme geometriche ed hanno grandezza!

Baster aggiungere il movimento per ottenere il cosmo animato e intelligente. Intelligente perch concepito dalla nostra intelligenza.

Tale filosofia stata in seguito praticata da Democrito e da Archimede ed stata esplicitamente enunciata da Galileo asserendo che la natura un libro aperto ma che i suoi caratteri sono figure geometriche.

Ma ecco il concetto centrale: il cosmo animato creato dallintelligenza, la quale si contrappone al caos informe delle sensazioni.

Il concetto di ordine fondamentale per il cosmo; nella lingua greca i due concetti hanno lo stesso nome. Aezio (PR p. 131) dice: Pitagora fu il primo a chiamare cosmo la sfera delle cose tutte, per lordine che esiste in essa.

molto probabile che il concetto di ordine derivasse da quello di legge scritta che dalla sfera sociale veniva estesa alla sfera naturale. Nella Storia del mondo antico della Cambridge University Press, lo storico P.N. Ure, in relazione al fatto che le prime legislazioni scritte nel mondo di lingua greca si devono ai legislatori pitagorici Zeleuco di Locri e Caronda di Catania, scrive: Nelle comunit di fondazione relativamente recente della Magna Grecia e della Sicilia le costumanze inveterate erano indubbiamente considerate meno sacrosante che nella madrepatria, circostanza che pu spiegare il ruolo eminente che queste regioni ebbero nel mutamento importantissimo rappresentato dallintroduzione di codici scritti.

Che le cose nella mente di Pitagora fossero legate assieme testimoniato da Diogene Laerzio il quale riferisce che egli scrisse tre libri: Delleducazione, Del governo delle citt, Della natura.

Ma questo della natura non un ordine statico in quanto il cosmo animato, cio dotato di movimento. Questa semplice idea rende logicamente impossibile la concezione del mondo propria degli Ionici la quale, a sentire Teofrasto (PR p. 138), fu anche ripresa dallex pitagorico Ippaso (il quale sembra che abbia organizzato una rivolta politica allinterno delle citt rette dai Pitagorici): Anche Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso dissero che luno mosso e limitato, ma pensarono come fuoco il principio, e dissero che dal fuoco nascono le cose per condensazione e per rarefazione, e che in esso poi le cose si dissolvono, perch questa sola per essi la natura che fa da sostrato.

Ma per capire come tale assunzione sia in assoluto contrasto con le teorie pitagoriche bisogner seguire la linea consequenziale del pensiero degli Italici emergente dal poema Sulla Natura scritto da Parmenide (PR p. 271):

 

Orbene io ti dir e tu ascolta attentamente le mie parole,

quali vie di ricerca sono le sole pensabili:

luna dice che e che non possibile che non sia,

il sentiero della Persuasione (giacch questa tien dietro alla Verit);

laltra dice che non e che non possibile che non sia,

questa io ti dichiaro che un sentiero del tutto inindagabile:

perch il non essere n lo puoi pensare (non infatti possibile),

n lo puoi esprimere.

 

Prima di riportare questi versi Sesto Empirico premette: (PR p. 268) Il suo [di Senofane] discepolo Parmenide condann il discorso di opinione, cio quello costituito di rappresentazioni non salde, e pose come criterio il discorso scientifico, cio quello che non pu essere rovesciato, rifiutando ogni credibilit alle sensazioni. E Simplicio (PR p. 269) dice: Questi uomini posero una duplice ipostasi: luna ci che realmente , lintelligibile; laltra ci che diviene, il sensibile, che non credettero di chiamare essere assoluto, ma essere apparente. Ragione per cui dicono che dellessere c verit di ci che diviene opinione.

Mettiamo le affermazioni di Parmenide in simboli: Nella via della Persuasione e della Verit (oggi diremmo della Logica) se asseriamo $a dobbiamo asserire necessariamente a ; e non possiamo asserire ~$a e nello stesso tempo a .

Se, daltra parte, astraiamo da qualsiasi propriet a, come in seguito penser di poter fare Aristotele introducendo il suo multiforme e perci ambiguo concetto di ούσία , ci ridurremmo alla propriet banale posseduta da tutte le cose e alla sua complementare, la propriet assurda che nessuna cosa (nemmeno puramente ideale) pu possedere, come si visto nelle sezioni precedenti.

Ed infatti il poema parmenideo continua:

 

Bisogna che il dire e il pensare sia lessere: dato infatti essere,

mentre nulla non ; che quanto ti ho costretto ad ammettere.

Da questa prima via di ricerca infatti ti allontano,

eppoi inoltre da quella per la quale mortali che nulla sanno

vanno errando, gente dalla doppia testa. Perch lincapacit che nel loro

petto dirige lerrante mente; ed essi vengono trascinati

insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi,

da cui lessere e il non essere sono ritenuti identici

e non identici, per cui di tutte le cose reversibile il cammino.

 

Quindi per Parmenide la descrizione (il dire e il pensare) della realt coincide con la realt stessa (lessere); il resto nulla; cio, 1ingannevole effetto di sensazioni informi (prive di alcuna individuabile propriet):

 

Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero

n labitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via,

a usar locchio che non vede e ludito che rimbomba di suoni illusori

e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina che io ti espongo. ...

 

Lessere, in quanto tale, un ente della logica, cio del nostro modo di esprimerci e pertanto non ha senso dire che ha unorigine o una fine; esso

 

Essendo ingenerato anche imperituro,

tutto intero, unico, immobile senza fine.

Non mai era n sar, perch ora tuttinsieme,

uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare?

Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetter n

di dirlo n di pensarlo. Infatti non si pu n dire n pensare

ci che non . E quandanche, quale necessit pu avere spinto

lui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima?

Di modo che necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.

Giammai poi la forza della convinzione verace conceder che dallessere

alcunch altro da lui nasca. Perci n nascere

n perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i leganmi,

ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini;

o non . Si giudicato dunque, come di necessit,

di lasciare andare luna delle due vie

come impensabile e inesprimibile (infatti non la via vera)

e che laltra invece esiste ed la via reale.

Lessere come potrebbe esistere nel futuro?

In che modo mai sarebbe venuto allesistenza?

Se fosse venuto allesistenza non e neppure se per essere nel futuro.

In tal modo il nascere spento e non c traccia del perire.

Neppure divisibile, perch tutto quanto uguale.

N vi in alcuna parte un pi di essere che possa impedirne la contiguit,

n un di meno, ma tutto pieno di essere.

Per cui tutto contiguo: difatti lessere a contatto con lessere.

 

Ne consegue che parlare di un principio materiale, unico, limitato ed in continuo movimento, con condensazioni e rarefazioni, come fanno Eraclito ed il Pitagorista Ippaso (i fisici, oggi, chiamerebbero la concezione del mondo di costoro una Teoria di Campo) unassurdit, perch lessere se essere non pu che essere limitato, immobile, omogeneo, isotropo e senza tempo. Tali propriet si possono solo attribuire ad un insieme di punti indifferenziato; solo quando ne considerassimo anche la propriet della estensione fisica diventerebbe lo spazio assoluto di Newton, che poi lo spazio come modellato dalla geometria.

Infatti lessere

 

... immobile ... senza conoscere n principio n fine ... E rimanendo identico nellidentico stato, sta in s stesso ....

 

In quanto lessere un costrutto logico non ha senso il dire che illimitato, altrimenti sarebbe incompiuto e manchevole; la qual cosa impossibile perch non esistono punti che non siano punti dellessere: ... infatti la dominatrice Necessit lo tiene nelle strettoie del linmite che tutto intorno lo cinge ....

Per introdurre il concetto di spazio illimitato abbiamo bisogno di introdurre altre propriet oltre a quella primordiale di essere, come gi detto.

Senza di queste

 

saranno tutte soltanto parole ... nascere e perire, essere e non essere, cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore.

 

In assenza di altre propriet non c niente che possa cambiare nella sola propriet di essere. E lessere

 

compiuto da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera ... che egli infatti non sia n un p pi grande n un p pi debole qui o l necessario ... n c la possibilit che lessere sia dellessere qui pi, l meno, perch del tutto inviolabile..

 

A questo punto siamo costretti a osservare che se identifichiamo lessere con la materia, esso non potrebbe muoversi senza vuoti frapposti, ma allora lessere sarebbe e nello stesso tempo non sarebbe; sarebbe uno e, nello stesso tempo, molti. Ma ci contro la logica.

Aristotele crede di superare la ferrea logica di Parmemmide opponendo che lessere si dice in molti sensi. Ed vero! Ma proprio questo che Parmenide vuole superare! cio lambiguit ed i molteplici sensi delle parole della lingua comune, legata al sensibile e non adatta per un discorso veramente scientifico.

Ma come, a partire dalla logica di Parmenide, possiamo spiegare lapparenza dei sensi?

 

Con ci interrompo il mio discorso degno di fede e i miei pensieri

intorno alla verit; da questo punto le opinioni dei mortali impara

a conoscere, ascoltando lingannevole andamento delle mie parole.

Perch i mortali furono del parere di nominare due forme,

una delle quali non dovevano e in questo sommo andati errati ;

ne contrapposero gli aspetti e vi applicarono note

reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo

che dolce e leggerissimo, del tutto identico a se stesso,

ma non identico allaltro, e inoltre anche laltro [lo posero] per s

con caratteristiche opposte, [come] notte senza luce, di aspetto denso e pesante.

Questordinamento cosmico, apparente come esso , io te lo espongo compiutamente,

cosicch non mai assolutamente qualche opinione dei mortali potr superarti.

 

A partire da questo punto, solo pochi sconnessi frammenti ci rimangono della titanica opera parmenidea. Non ci resta che continuare con la sua ferrea logica.

Per spiegare il mondo dei sensi, quindi, dobbiamo introdurre altre propriet che non possono essere di natura logica come quella dellessere. In contrapposto al logico, porremo il materiale.

Allora, tra i punti dellessere ci saranno i punti materiali e quelli non-materiali cio i punti dello spazio vuoto di materia; cio, il vuoto, il quale esiste alla stessa stregua della materia. Perch sia i punti materiali che i punti privi di materia sono punti dello spazio fisico che coincider con lessere se gli individui del nostro campo di ricerca sono solo essi.

 

Queste cose, bench lontane, vedile col pensiero saldamente presenti:

non infatti distaccherai lessere dalla sua connessione con lessere

n quando sia disgregato in ogni senso completamente con cura sistematica

n quando sia ricomposto.

Si intende nella sua reale unit di essere pensato; anche se prima o dopo lo possiamo ripensare completamente disgregato come costituito di punti materiali che si muovono nello spazio geometrico. E questo quello che concretamente ha fatto Archimede (vedi rifer. di cui a nota20).

Si pu concludere che per Parmenide una Teoria di Campo logicamente autocontraddittoria ed solo possibile una Teoria di Particelle come sar succesivamente precisata da Leucippo e Democrito, i quali secondo Diogene Laerzio seguono, appunto, la tradizione italica.

Ma prima di passare a questi ultimi giganti, bene seguire le conseguenze della critica parmenidea alle concezioni dei fisici dellopposta scuola di pensiero, come formalizzate dal suo discepolo Zenone.

 

 

 

Atomi e vuoto.

 

Notiamo intanto che, con limpostazione che abbiamo esposto, cade qualunque divieto per luso della matematica nella descrizione fisica della realt, sia di tipo aristotelico che, come abbiamo visto, relega la matematica allo studio di enti privi di materia e privi di movimento; sia alla proibizione misticheggiante di tipo platonico.28

Anzi, per capire la realt fisica, in quanto sintesi di materia e movimento, dobbiamo indagare a fondo sugli enti matematici, che per gli Italici, non sono avulsi dalla realt ma semplicemente astratti dalle impressioni sensoriali e che, anzi, costituiscono, ormai, la realt stessa. Per essi non avrebbe alcun senso una matematica chiusa su se stessa che non si curi di sapere di quali enti concreti si occupi.

Per loro non c differenza tra geometria e fisica. E non vero che per essi gli assiomi della geometria siano autoevidenti di per s, come la maggior parte dei commentatori moderni asserisce, attribuendo ai Greci il modo di ragionare di Aristotele, ma sono semplicemente quelli che meglio si adattano a fungere da mattoni per il sistema deduttivo. Per esempio, non serve, in questa logica, negare lassioma delle parallele per lo spazio fisico, perch la sua asserzione compatibile con tutte le osservazioni empiriche.

Diogene Laerzio attribuisce a Zenone la dottrina che Esiste un solo mondo e il vuoto non esiste; ma molto probabilmente, nella distorsioime postaristotelica, Diogene confonde il mondo con lessere, cio con la propriet banale (mentre per Zenone il mondo lessere materiale) e il vuoto con la privazione di essere, cio con la propriet assurda (mentre per Zenone il vuoto lessere privo di materia).


Infatti abbiamo visto che per il suo maestro Parmenide lessere non materiale ma logico e solo in questo senso uno. Del resto questo viene riconosciuto anche dallo stesso Aristotele (PR p. 256).29

Ed la stessa rozza filosofia di Antistene (di cui alla nota precedente) che impedisce ad Aristotele e ai dossografi di capire gli argomenti di Zenone.

Con Zenone siamo meno fortunati, in quanto i frammenti pervenutici sono pochissimi e le testimonianze sono inaffidabili, data lopposta metafisica dei commentatori.

Ma abbiamo visto che i frammenti di Parmenide sono compatibili con la logica della matematica cos come formalizzata da Peano e, per coerenza, dobbiamo postulare che il discepolo e difensore dellopera del maestro usi la stessa logica e, quindi, dobbiamo assumere che i suoi discorsi fossero costruiti per ridurre allassurdo le tesi degli antagonisti.

Esaminiamo prima le conseguenze logiche dei postulati che abbiamo attribuito a Parmenide ed a tutta la tradizione pitagorica.

Lente in quanto essere sensibile, oltre alla propriet di essere (cio di essere costituito dai punti dello spazio delle cose che esistono fisicamente ovvero la materia e di essere costituito dai punti dello spazio privi di materia, ovvero il vuoto) deve avere altre propriet che lo rendono sensibile e cio estensione fisica caratterizzata da propriet (massa, volume, forma, densit, ecc.) che ne diversificano le diverse parti. A tali propriet sono associate delle grandezze che le misurano.

Senza di queste lente non niente (cio ni-ente=non-ente); come, del resto, testimonia Simplicio (PR p. 302-03) riportando un frammento di Zenone: In questa argomentazione poi mostra che ci che non possiede n grandezza n spessore n massa alcuna neppure esiste. Dice:

Se infatti venisse aggiunto a un altro essere non lo renderebbe per nulla maggiore. Difatti, non avendo esso grandezza alcuna, quando venga aggiunto non possibile che nulla aumenti in grandezza. E cosi senzaltro ci che venne aggiunto non sarebbe nulla. Se poi, quando venga sottratto non diventer per nulla minore, e neppure, daltro canto, quando quello venga aggiunto questo diventer maggiore, chiaro che non era nulla n ci che venne aggiunto n ci che venne sottratto.

E questo Zenone non lo dice per negare luno, ma perch ognuno dei molti e infiniti ha grandezza ....

E tale grandezza divisibile allinfinito (PR p. 303): Se esiste necessario che ciascuna cosa abbia una certa grandezza e spessore e che in essa una parte disti dallaltra. Lo stesso ragionamento vale anche della parte che sta innanzi: anche questa infatti avr grandezza e avr una parte che sta innanzi. Questo vale in un caso come in tutti i casi: nessuna infatti di tali parti sar lultima e non possibile che non ci sia una parte a precedere laltra. Cos, se [tali parti] sono molte, necessario che esse siano piccole [in grandezza] e grandi [in numero]: piccole fino a non avere grandezza, grandi fino ad essere infinite [in numero]30.

La continuit dellessere (indipendentemente dal fatto che i singoli punti siano punti di essere solido e indivisibile o di essere fatto di pori contigui, come precisa litalico Empedocle,31) , per Zenone, una necessit logica e non leventuale risultato di unimpossibile osservazione empirica:

Se gli enti sono molti necessario che siano tanti quanti sono e non pi n di meno. Ma se sono tanti quanti sono saranno limitati.

Se gli enti sono molti sono infiniti: sempre infatti in mezzo agli enti ve ne sono altri e in mezzo a questi di nuovo degli altri. E in tal modo gli enti sono infiniti.

O, in altre parole, se gli enti in quanto essere sensibile fossero numerabili (molti)32 verrebbero ad essere non numerabili. Quindi per evitare contraddizioni logiche dobbiamo ammettere che anche lessere sensibile uno e continuo nella sua essenza, anche se ci appare come costituito di parti che si diversificano nelle varie propriet che ne definiscono lestensione fisica.

Se lo spazio fisico quello che, per via di pura logica, stato delineato (che altro non che lo spazio newtoniano!) non ha senso parlare di luogo che contiene le cose come in un vaso (secondo la similitudine aristotelica).33

Infatti, Zenone dice (PR p. 304): Ci che si muove non si muove n in quel luogo in cui , n in quello in cui non . In quanto sono le propriet dei punti dello spazio che si modificano, non nel senso che il singolo punto sia pi o meno denso di materia come nelle teorie di campo, che sono state dimostrate logicamente contraddittorie da Parmenide; ma nel senso che nel corso del tempo il singolo punto dotato o meno della propriet di essere materia o di essere vuoto.


La propriet di essere pi o meno denso solo apparenza, in quanto propriet di tutto un sistema di punti e solo in media di un determinato punto.

Aristotele, nella sua Fisica, spende decine e decine di pagine credendo di poter contestare Zenone aggiungendo parole confuse a parole di cui non ne comprende il significato. Ma non riesce a venirne a capo, passando da una contraddizione allaltra. E, alla fine, se ne tira fuori ricorrendo al Deus ex machina (di cui ne contestava, invece, luso nellarte drammatica) costituito dalla sua ineffabile distinzione tra atto e potenza.

Ma, con lultima citazione zenoniana, si esauriscono i frammenti di Zenone, come raccolti dal Diels-Kranz (vedi PR). Saremo costretti a seguire Aristotele servendoci solo della logica, ma non certamente della logica aristotelica!

Per Aristotele, Zenone appare il negatore di ogni movimento. Ma la verit che Zenone negava la possibilit logica del movimento se si fossero assunte le ipotesi che la lingua comune assumeva e che Aristotele ha cercato di giustificare con larricchire la lingua comune di altri termini di significato ancora pi ambiguo di quelli che voleva spiegare.

Nel linguaggio comune si ipostatizza una contrapposizione netta tra numeri e grandezze.

I numeri sono il regno del discreto, le grandezze quello del continuo.

I numeri sono fatti di unit e le unit sono indivisibili.

Le grandezze sono divisibili allinfinito.

I Pitagorici affermavano, invece, che i numeri sono rapporti tra grandezze, come abbiamo visto che lo stesso Aristotele testimonia.

Ma, secondo lui, non sembra che essi sappiano dire come sia composta la prima unit dotata di grandezza (naturalmente questo non vero come dimostra il ragionamento di Archita, precedentemente da noi citato, da cui emerge chiaramente che per i Pitagorici il numero non altro che il risultato delloperazione di misura delle grandezze per confronto con lunit di misura. E, questultima nello stesso tempo unit e grandezza).

Ma questo per Aristotele inconcepibile (PR p. 516-17):

Il modo [di concepire il numero] dei Pitagorici comporta meno difficolt di quelle di cui ho parlato finora, ma ne comporta altre sue proprie. Perch, se il concepire il numero come non separato [dalle cose] elimina molte difficolt, assurdo tuttavia dire che i corpi sono composti di numeri e concepire nello stesso tempo questi numeri come matematici. infatti errato parlare di grandezze indivisibili: e, daltra parte, se sono soprattutto in questo modo [come grandezze], almeno le unit non hanno grandezza. Ora com possibile che una grandezza sia composta di indivisibili? E tuttavia il numero formato di unit.

Ecco da dove proviene lassurdo! Per Aristotele, le grandezze sono sempre divisibili, le unit sono indivisibili, quindi le grandezze e i numeri sono inconciliabili. Daltra parte, anche i punti sono indivisibili e quindi sono unit, per cui i corpi non possono essere composti di punti, come concluder nella Fisica, ricorrendo alla finzione, di natura puramente verbale, che i punti sono il limite e le grandezze il limitato.

Questa, in seguito a complicatissimi (e senza senso) ragionamenti, porter Aristotele a concludere (Fisica 218a 18, 19): In realt, si deve ritenere impossibile che gli istanti siano continui tra loro, come impossibile la continuit tra punto e punto.

Ma, nello stesso tempo, per Aristotele, listante separa i due tempi prima e dopo il movimento e il punto separa i due luoghi dove si trovava loggetto prima e dove si trover dopo il movimento.

Ma Aristotele, dopo che in varie opere ha enunciato che la cosa pi certa che non si pu affermare contemporaneamente una propriet e la sua contraria, risolve il problema dicendo che: listante in parte identico e in parte non identico (Fisica 219b 32).

Ma se si assumono tali ipotesi, il moto risulta impossibile logicamente; e questo quello che Zenone dimostra.

Primo argomento: Se punti e istanti non sono continui lintervallo tra di essi, comunque piccolo, sar una grandezza finita. Allora, supponiamo che bisogna percorrere una lunghezza finita in un tempo finito. Cadremmo subito in contraddizione, perch per percorrere la lunghezza bisogner prima percorrerne la met. E poi la met della met. E cos via di seguito per un numero infinito di volte. Quindi, per lipotesi che gli intervallini sono finiti, occorrer un tempo infinito e la distanza stessa risulter infinita.

Aristotele crede di superare largomento dicendo che il rapporto di due grandezze infinite pu essere finito (Fisica 233a 13-28):

... risulta ovvio che, se il tenmpo continuo, lo pure la grandezza, se vero che nella met di un dato tempo si percorre la met di una data grandezza e, insomma, in un tempo minore una grandezza minore: identiche, infatti, saranno le divisioni del tempo e quello della grandezza, e se uno qualsivoglia dei due infinito, lo sar anche laltro; e nel modo in cui finito il primo, nello stesso modo lo sar anche laltro; ad esempio, se il tempo infinito per le estremit, anche la grandezza lo sar per estremit; e se quello infinito nella divisione, nella divisione sar infinita anche la grandezza; e se il tempo infinito in ambedue le guise, sar infinita anche la grandezza in ambedue le guise.

Anche per questo il ragionamento di Zenone erroneamente presuppone limpossibilit che si possano percorrere gli infiniti o che possano toccarsi ciascuno successivamente in un tempo finito. Difatti, tanto la grandezza quanto il tempo e, in generale, ogni cosa continua si dicono infiniti in due sensi, cio o per divisione o per gli estremi. Pertanto, gli infiniti che son tali secondo la quantit, non possono toccarsi in un tempo finito; quelli, invece, che son tali secondo divisione, lo possono, perch il tempo stesso infinito sotto questo aspetto.

Il ragionamento di Aristotele dice cose banali se riferite al moto uniforme, false se riferite al moto in generale come da lui considerato, ma soprattutto trascura di ricordare il fatto pi importante che per lui non c continuit n tra gli istanti n tra i punti, per cui ogni grandezza infinita per divisione deve risultare, necessariamente, anche infinita per gli estremi. Nella sezione successiva sembra ricordarsene, ma per uscirne ricorre alla incomprensibile dialettica tra potenza e atto. Il teorema di Zenone resta in piedi tutto intero.

Ma era quello, che noi abbiamo posto, il problema di Zenone?

Non lo potremo mai sapere!

Ma possiamo fare delle ipotesi sulla cultura matematica di Zenone in base alla tradizione che abbiamo descritto e ai pochi frammenti che ci rimangono; cose che depongono a suo favore. Nello stesso tempo, abbiamo la prova inequivocabile della incapacit di ragionamento scientifico che dimostra Aristotele in tutti i suoi scritti. Ma lo stesso Aristotele ci d un indizio (PR p. 295):

Allo stesso modo bisogna opporsi a quelli che ci fanno obbiezioni conformi al ragionamento di Zenone [e ritengono] che se si deve pur sempre percorrere la met, e se queste met sono infinite, non si pu percorrere linfinito, o anche ad altri che ci fanno obiezioni in maniera diversa, ma conformi pur sempre a quello stesso ragionamento, ritenendo che, nello stesso tempo in cui avviene il movimento nella met del percorso, si deve prima numerare la met che risulta da ciascuna met, sicch, mentre loggetto percorre lintero, accade che esso abbia numerato un numero infinito: cosa che, per comune consenso, riconosciuta impossibile.

Secondo argomento: detto Achille. Niente di nuovo rispetto al primo, come ci dice Aristotele, a parte il fatto che la grandezza successivamente assunta non viene divisa per due dal momento che chi insegue giunga in precedenza l di dove si mosse chi fugge; e a parte la drammaticit del fatto che la tartaruga non potr mai raggiungere il pi veloce Achille.

Su questo argomento, i commentatori moderni attribuiscono a Zenone laffermazione che non possibile ottenere una lunghezza finita come somma di una serie infinita, dimenticando anchessi di assumere, come viene esplicitamente assunto da Aristotele, il se esistono unit indivisibili (che non sono la stessa cosa degli indivisibili; infatti i punti sono indivisibili ma non sono unit e le unit (in quanto unit di misura) sono grandezze e sono sempre divisibili. Quindi la contraddizione viene dallassunzione gi contraddittoria che esistano unit indivisibili, che ci che appunto Zenone voleva dimostrare ricorrendo al ragionamemmto per assurdo).

Terzo argomento: La freccia scoccata dallarco non si muove, se, ovviamente, si fa lipotesi, che anche di Aristotele, che la freccia occupa un luogo che trasporta con se come un vaso e inoltre diciamo, come dice Aristotele, che un corpo fermo quando occupa il suo luogo, cio uno spazio uguale al corpo stesso. Ma in ogni istante questo vero; quindi, per definizione, il corpo fermo in ogni istante e quindi sempre. Aristotele crede di poter superare la contraddizione negando che il tempo sia costituito da istanti. Ma questo palesemente assurdo e Aristotele se ne esce dicendo che in un senso listante nel tempo e in un altro senso no per via del solito sotterfugio della potenza e dellatto a cui ora si deve aggiungere unancora pi misteriosa entelechia che rende perfetto latto. Amen.

Quarto argomento: quello delle masse uguali che si muovono lungo masse uguali in senso contrario, le une dalla fine dello stadio, e le altre dalla met con uguale velocit. In esso crede che si provi che sono un tempo uguale il tempo met e il tempo doppio. Il paralogismo consiste in questo, nel ritenere che con la stessa velocit si percorra nello stesso tempo ha stessa grandezza presa in un caso lungo un mosso e nellaltro lungo un immobile. Questo invece falso. (PR p. 298).

Verissimo! ma, al solito Aristotele, si dimentica di dire che con le sue ipotesi, pi volte qui sopra ricordate, le due velocit devono essere uguali! Non ha senso contestare un teorema cambiando le ipotesi lungo la strada! Ma, per Aristotele, la fisica una cosa che percepiamo con i sensi e la logica e la matematica sono unaltra cosa, da usare solo per fare discorsi con parole senza alcun significato. Come del resto avviene oggi per i cosiddetti logici o metamatematici moderni.

Con il contestatissimo Zenone si pu terminare qui.

Dopo di lui, entro la stessa tradizione, viene un altro grande scienziato, naturalmente molto inviso ad Aristotele, si tratta dellagrigentino Empedocle. Anche se, in questo caso, i frammenti pervenutici non sono pochi, la loro natura esula dal problema che stiamo trattando.

Possiamo per affermare che il suo discorso scientifico sta dentro la tradizione italica, come del resto testimoniato da quasi tutti i dossografi e non si capisce perch Aristotele, spesso, lo contrappone agli altri.

interessante la testimonianza di Neante, riportata da Diogene Laerzio (PR p. 325) che fino a Filolao e ad Empedocle i Pitagorici comunicavano le loro dottrine; ma che quando Empedocle le rese pubbliche attraverso la poesia, stabilirono la norma che non fossero comunicate a nessun poeta (e questo dice che dovette subirlo anche Platone: anche costui infatti ne rest escluso).

Naturalmente questo ci appare inevitabile nel constatare come Platone abbia deformato le loro dottrine continuando ad autodefinirsi Pitagorico.

Per Aristotele (PR p. 347) il poema di Empedocle non molto comprensibile:

Se la dissoluzione avr un termine, il corpo in cui si arrester sar o un atomo o bens divisibile, ma tale che nel fatto non sar mai diviso, come sembra voler dire Empedocle.

Queste cose che sembra voler dire Empedocle saranno chiarite da Democrito che fa parte della stessa tradizione come sappiamo per mezzo di Diogene Laerzio che parlando dellabderita dice (PR p. 665): Sembra, dice Trasillo, che egli sia stato un grande ammiratore dei Pitagorici, anzi fa menzione dello stesso Pitagora, parlandone con ammirazione nellopera che sintitola dal nome di lui. E parrebbe che Democrito avesse tratto da Pitagora tutte le dottrine e che ne fosse stato anche scolaro, se la cronologia non facesse ostacolo. Che in ogni modo per egli sia stato alla scuola dei Pitagorici, ci attestato da Glauco di Reggio, vissuto nella stessa epoca di Democrito. E anche Apollodoro di Cizico dice che frequent Filolao.

Dobbiamo ritenere che nello stesso periodo circolavano due opposte interpretazioni delle dottrine pitagoriche, quella di Platone e quella di Democrito e questo spiegherebbe quello che riferisce Diogene Laerzio (DL p. 367-68): Aristosseno nelle sue Memorie Sparse afferma che Platone ebbe lintenzione di bruciare tutte le opere di Democrito che pot raccogliere, ma che i pitagorici Amicla e Chinia lo distolsero dal suo proposito, in quanto non ne avrebbe tratto utilit alcuna, perch ormai i libri erano ampiamente diffusi nel pubblico. E ci chiaro. Infatti, Platone, che pure menziona quasi tutti i filosofi arcaici, non accenna mai a Democrito neppure l dove avrebbe dovuto contraddirlo, evidentemente perch era consapevole che avrebbe dovuto gareggiare col migliore dei filosofi, che anche Timone non pot fare a meno di lodare ...

Resta il problema di capire perch quasi tutta lopera di Platone arrivata fino a noi e niente della copiosa opera di Democrito ci pervenuta. Unipotesi per questo apparente miracolo sar avanzata nella prossima sezione.

Stranamente, pochissimi sono i frammenti genuini di Democrito ma moltissime le testimonianze il pi delle volte distorte o male interpretate.

Ma dai pochissimi frammenti indubbio che egli esprime la filosofia e la scienza della tradizione italica.

Sesto Empirico riporta il seguente frammento (PR p. 748): Opinione il dolce, opinione lamaro, opinione il caldo, opinione il freddo, opinione il colore; verit gli atomi e il vuoto.

Cio le sensazioni sono solo opinione perci fallibili, i costrutti logici di atomi e vuoto sono la realt scientifica.

Infatti Galeno, che uno scienziato, commenta tali parole (PR p. 688): ritenendo che tutte le qualit sensibili, chegli ritiene relative a noi che ne abbiamo sensazione, derivano dalla varia aggregazione degli atomi, ma che per natura non esistano affatto bianco, nero, giallo, rosso, dolce amaro: infatti lespressione per convenzione [vόμω] equivale, per esempio, a secondo lopinione comune [vόμιστί] e a relativamente a noi [πρός ήμάς], cio non secondo la natura delle cose, la quale egli indica con lespressione secondo verit [έτεή] ricavata da έτεόυ, che significa vero. E tutto il senso di questo discorso sarebbe il seguente: gli uomini credono che sia qualche cosa di reale il bianco e il nero, il dolce e lamaro, e tutte le altre qualit del genere, mentre in verit ente e niente = non-ente sono tutto ci che esiste, perch Democrito usava anche questi termini, chiamando ente gli atomi e niente il vuoto. Cos tutti quanti gli atomi, essendo corpi piccolissimi [oggi diremmo punti materiali o particelle elementari], non posseggono qualit sensibili, ed il vuoto uno spazio nel quale tali corpuscoli si muovono tutti quanti ....

Lo stesso Democrito, secondo Sesto Empirico, dice (PR p. 749), ripetendo in prosa la teoria che Parmenide aveva espresso in versi:

Vi sono due forme di conoscenza, luna genuina e laltra oscura; e a quella oscura appartengono tutti quanti questi oggetti: vista, udito, odorato, gusto, tatto. Laltra forma la genuina, e gli oggetti di questa sono nascosti [alla conoscenza sensibile e oscura]. Quando la conoscenza oscura non pu pi spingersi ad oggetto pi piccolo n col vedere n colludire n collodorato n col gusto n con la sensazione del tatto, ma si deve indirizzar la ricerca a ci che pi sottile, allora soccorre la conoscenza genuina, come quella che possiede appunto un organo pi fine, appropriato al pensare.

Pi duno tra i dossografi testimonia che Democrito chiama idee gli elementi e i principi delle cose che sono. Gli atomi sono gli individui, cio gli indivisibili di tali idee. E in quanto una porzione di spazio materia in modo continuo, essa solida cio indivisibile fisicamente (senza pori) e anchessa si comporta come un atomo, in quanto non pu avere qualit sensibili (che sono generate dalla mescolanza di atomi e vuoto mediante linterazione con i nostri sensi, anchessi composti di atomi e vuoto).

Di questi solidi niente possiamo sapere senza opportuni modelli particolari da verificare con opportuni esperimenti, se non quello che possiamo dedurre per via puramente logica e cio che essi possono differire solo per forma e volume e per la posizione che occupano nello spazio. E dal punto di vista logico, possono essere piccoli quanto si vuole (ma non di grandezza nulla) e grandi quanto il mondo.

La loro massa, finch sono solidi sar, necessariamente, proporzionale al volume, perch non c motivo che la densit della materia indistinta e priva di vuoto sia diversa da un solido allaltro.

Da queste ipotesi Democrito sviluppa tutta una scienza integrata che ci appare, nonostante le distorsioni dei commentatori, come moderna e grandiosa perch ricavata solo al lume della logica, astenendosi da ipotesi azzardate, quando la logica ne lasciasse aperte pi possibilit.

Infatti Democrito raccomanda (PR p. 784): Non sforzarti per sapere tutte le cose, perch c il rischio che tu finisca ignorante su tutte.

Ma, nello stesso tempo, inizia la sua opera intitolata Piccola Cosmologia (PR p. 784):

In questa trattazione discorro di tutte le cose ...

In altre parole: Evita di sapere Tutto su Nulla come lo specialista di Bernard Show e nello stesso tempo evita di sapere Nulla su Tutto come i tuttologi radiotelevisivi. Affidati solo alla ragione e non fare ipotesi azzardate che non siano testimoniate dai sensi.

In base a questa regola, quali possibilit esistono per il moto degli atomi?

Riferisce Simplicio (PR p. 681): Del fatto che le sostanze rimangano in contatto tra di loro per un certo tempo, egli d la causa ai collegamenti e alle capacit di adesione degli atomi.

E qui Simplicio d un elenco di possibilit, oggi, tutte spiegabili con le forze molecolari.

Ma come avviene la disaggregazione?

egli reputa dunque che gli atomi si tengano attaccati gli uni agli altri e rimangano in contatto solo fino a quando, col sopraggiungere di qualche azione esterna, una necessit pi forte non li scuota violentemente e li disperda in varie direzioni.

Ma da dove pu provenire lazione esterna se tutto lessere formato da atomi e vuoto? Dai commentatori non lo sappiamo perch ipotizzano cose contraddittorie ma la logica ci dice che gli atomi, necessariamente, interagiscono tra loro. Anche Newton sembra essere della stessa opinione.34

Ma Aristotele pensa che nel ragionamento di Democrito si nasconde un paralogismo perch (PR p. 684): Noi vediamo lo stesso corpo, saldamente unito, presentarsi ora allo stato liquido, ora solidificato, senza che si sia verificata in esso separazione o riunione di parti, e senza che ci si debba alla direzione o al contatto reciproco, come dice Democrito: perch il corpo da liquido si trasforma in solido senza spostamento interno e senza modificazione della sua struttura.

Chiaramente Aristotele condizionato dagli organi dei sensi e non riesce ad usare il senso pi sottile che quello della ragione che opera secondo la logica che non quella grammaticale di Aristotele.

Per Democrito che usa tale organo si ha, invece, (PR p. 682): Se dunque il nascere aggregazione di atomi e il dissolversi disgregazione, anche per Democrito il divenire non che modificazione di stato che pu aversi solo per modificazione della struttura interna dei corpi proprio causata dallo spostamento interno.

Ma vediamo ancora, in unaltra importante questione, come Democrito usa la logica della matematica per mostrare lassurdit delle unit indivisibili e la necessit dei punti indivisibili (PR p. 780): Se un cono viene secato da un piano parallelo alla base, come si dovranno immaginare le superficie di sezione? verranno uguali o disuguali? Perch, se saranno disuguali, renderanno irregolare il cono che verr ad avere tante incisioni e scabrosit a gradini; ma se saranno uguali le superfici saranno uguali anche le sezioni e il cono verr ad assumere laspetto del cilindro, in quanto risultante dalla sovrapposizione di cerchi uguali e non disuguali: il che manifestanaente assurdo.

Ecco perch Archimede mostra grande stima per Democrito (PR p. 780): Perci appunto anche circa questi teoremi sul cono e sulla piramide, di cui Eudosso ha trovato per primo la dimostrazione, e cio che il cono la terza parte del cilindro e la piramide del prisma che abbiano la medesima base e uguale altezza, non piccola parte di merito da attribuire a Democrito che per primo formul, senza dimostrazione, lenunciato relativo alle figure suddette.

Notiamo che Archimede, dicendo senza dimostrazione, intende semplicemente senza luso del metodo (detto di esaustione) di Eudosso. Ma il merito di Democrito non piccolo perch ha usato il concetto dei punti indivisibili e Archimede ne sa qualcosa, come risulta dal suo Metodo Meccanico! (vedi rifer. di cui a nota20).

 

 

Mito e scienza.

 

Da quanto detto, analizzando la scienza dei cosiddetti presocratici, emerge che Platone e Aristotele rappresentano un profondo, incommensurabile arretramento nellevoluzione del linguaggio scientifico. Quindi chiaro che la teoria delle PULCI non valida. Ci resta da capire il perch.

Dobbiamo cercare di individuare i meccanismi che producono landamento fluttuante dellefficacia del linguaggio a descrivere la realt.

Abbiamo accennato, nel Preambolo, che tali meccanismi sono esterni al sistema della scienza e hanno radici sociali ed economiche.

Lazione di tali meccanismi, la si pu osservare seguendo la nascita, lo sviluppo e la morte dei linguaggi scientifici anche nelle pi antiche civilt della storia umana.

Si pu ipotizzare un coerente modello per descrivere levoluzione di tali linguaggi. Ma prima necessario sgombrare il campo dai secolari (o, forse, millenari!) pregiudizi creati dal mito di quella che abbiamo chiamato la teoria delle PULCI, dalla quale si pu solo dedurre che gli antichi scienziati non potevano essere molto di pi che promettenti bambini; mentre, esaminando le cose a fondo, si affaccia prepotentemente alla mente il fondato sospetto che la profondit e lampiezza del loro pensiero non era per niente inferiore a quella dei pi grandi geni della nostra era e di gran lunga superiore a quella, inesistente, dei falsi profeti.

Infatti, riesce difficile poter conciliare le sbalorditive conoscenze di matematica, fisica e astronomia dei popoli della valle del Nilo o di quelli delle regioni attorno al Tigri ed allEufrate (come testimoniate da papiri e iscrizioni scoperti negli ultimi due secoli; conoscenze che si fanno risalire a pi di mille anni prima di Talete, considerato il progenitore della scienza Greca) con le sciocchezze che Aristotele ed i suoi successori fanno dire agli eredi di lingua greca di tali popoli e cio ad Italici e Ionici.

Per tale ragione faremo lipotesi, che oggi potrebbe apparire rivoluzionaria ma che gi era stata adombrata ai tempi di Pitagora da Teagene di Reggio, secondo la quale, a brevi periodi particolarmente felici in cui si ha un effettivo progresso scientifico susseguano lunghi periodi di caligine in cui si perde persino la capacit di capire quello che, nel periodo precedente, era stato conquistato spesso a caro prezzo.

Naturalmente, questo non avviene per caso; perch un sistema, ormai corrotto, di simboli serve a proteggere la classe che detiene il dominio del potere e della CULTURA, pur se di questa se ne possa mantenerne il nome (ad ogni buon conto ed a scanso di equivoci, le abbiamo riservato lonore dei caratteri maiuscoli non potendo qui abusare di quelli cubitali).

Infatti, per fare solo alcuni tra i mille possibili esempi, come spiegare il fatto che, nonostante le immense conquiste scientifiche di Egizi e Mesopotamici, in Ionia ed in Italia, agli albori della civilt greca, si deve praticamente ripartire da zero? E, ancora, come spiegare, altrimenti, il fatto che Ionici ed Italici, dopo enormi conquiste riescono a raggiungere le vette della scienza archimedea e, nonostante ci, Galileo e Newton devono ripartire anchessi quasi da zero?

Le spiegazioni che usualmente se ne danno non hanno n capo, n coda come acutamente osserva il Farrington,35 il quale, giustamente, propone una spiegazione fondata sulla struttura sociale e politica.

Noi, qui, ci proponiamo di ampliare questa tesi, mostrando lo stretto legame tra le strutture sociali e le strutture linguistiche della scienza.

Il reggino Teagene, intorno al 500 a. c., difende Omero dallaccusa di essere dannoso e sconvenientemente irriguardoso verso gli di adducendo che i miti omerici non riguardavano gli di, in quanto i nomi ad essi attribuiti stavano a rappresentare le concrete forze della natura. Certo, ai tempi dellovviamente altrettanto sacrilega scienza pitagorica della natura, e particolarmente a Reggio, dove allora Teagene scriveva, egli si poteva permettere una tale difesa di Omero; trovandosi in un posto ed in unepoca tra quelle fortunate, se pur brevi, in cui risulta possibile la pratica e lo sviluppo della scienza; chiss se lavrebbe potuto nellAtene di Socrate!

Si potrebbe attribuire un senso politico al mito, riportato da Filodemo, secondo il quale il poeta ed indovino Epimenide diceva che le Arpie figlie di Oceano e di Gea furono uccise presso Reggio!

Ma, per ironia della sorte, sono rinate da quelle parti, costringendo proprio a Reggio gli ultimi Pitagorici, scacciati a forza dalle loro citt-Stato.

Ma, a noi, resta il problema di sapere perch Omero sentiva la necessit di nascondersi dietro il nome degli di dellOlimpo!

Non sar forse la stessa ragione per cui qualcosa sembra anche nascondersi nei miti attribuiti ad Orfeo, il quale viene spesso associato ai Pitagorici?

Nel coro degli uccelli di Aristofane si sente leco della teogonia orfica:

 

Il Caos e la Notte, lErebo oscuro, il Tartaro immenso primi regnarono;

n Terra, n Aere, n Oceano potevano esistere ancora;

ma dentro gli sterminati spazi di Erebo

un uovo senza seme, per primo, le buie ali della Notte partorirono;

si susseguirono le stagioni ed emerse da questo lamabile Eros,

dal tergo splendente di ali dorate, qual vortice duragano

egli si un al Caos alato; nella notte del Tartaro sconfinato,

il genere dei mortali fu creato e portato alla luce.

Non esistevano ancora gli di immortali, prima che Eros accoppiasse le cose.

Ma quando ogni cosa allaltra fu accoppiata, Urano e Oceano comparvero

e Terra; e, degli altri di, lintera progenie immortale.

 

Proviamo a interpretare tali versi secondo il suggerimento di Teagene:

Prima che luovo senza seme, cio luomo in quanto astratto dal suo substrato materiale, in quanto pensiero, potesse condurre i mortali alla luce del sapere, luniverso appariva disordinato; era semplicemente Caos, sterminato come il Tartaro, informe come lErebo e buio come la Notte. Prima che la mente delluomo distinguesse le cose, lidea stessa di materia, nei suoi tre stati di aggregazione: solido, liquido e gassoso (= Terra, Oceano ed Aria), non era nemmeno pensabile.

Solo dal primigenio pensiero pu sorgere lidea di Eros, cio della connessione intima di cose contrapposte tra loro (lidea dei contrari dei Pitagorici cantata nei versi di Empedocle, da cui pu nascere, in seguito, anche lidea di attrazione reciproca tra cariche di opposta polarit). Questa, unendosi allidea di materia ancora informe, ma in eterno movimento, rappresentata dal Caos alato, col susseguirsi delle stagioni, porta i mortali dalla notte dellignoranza alla luce del sapere. Non pu esistere il concetto di immortale senza quello, di origine empirica, di mortale. Infatti, nei versi di Aristofane, gli di nascono dopo!

Solo cos si possono creare i concetti scientifici (gli di immortali) di cielo, di mare e di terra (=Urano, Oceano e Terra). Tali concetti, in quanto concetti, possono essere creati solo dopo che siano nati gli uomini, con la luce del loro intelletto, ma ogni concetto , per sua natura, eterno come, necessariamente sar successivamente, anche lEssere di Parmenide.

E qua Aristotele e soci scoprirebbero unaporia: come possibile che siano eterni e quindi increati se sono stati creati dalluomo? Naturalmente, questo lo ipotizziamo perch Aristotele non riesce mai a distinguere il concetto da quello che esso rappresenta. La nostra stupida domanda sembra molto simile a quella che porta al paradosso di Russell. lo stesso che chiedersi come pu essere immortale il nome immortale che luomo stesso ha inventato?!

Che il mito orfico si riferisse alla spiegazione razionale e soprattutto logica delluniverso testimoniato dallaltro grande poeta greco Euripide che nellAlceste, riferendosi alle tavolette di Orfeo di Tracia, canta:

 

Io, grazie alle Muse,

mi son librato in alto,

ho esaminato ogni discorso,

ma, della Necessit, niente di pi cogente

ho potuto scoprire, n altro si pu ricavare

dalle tavolette di Tracia

che la voce di Orfeo ha dettato...

 

Ricordiamo che Euripide ha difeso con i suoi versi il suo amico Anassagora accusato di empiet.36

La spiegazione orfica della natura percorre tutta la scienza dei cosiddetti presocratici, dove, di volta in volta, se ne mette in luce un qualche aspetto particolare, molto probabilmente, per controbbattere le obiezioni pi stupide che ad essa si venivano facendo. Anche se fra tali obiezioni ce ne potevano essere di pi serie e meritevoli di essere considerate e superate; come di fatto sono state via via superate. Per esempio, il ruolo della necessit logica, menzionata nei versi di Euripide, sar di fondamentale importanza nella scienza degli Italici e culminer nella ferrea logica di Parmenide e del suo discepolo Zenone.

Tradizionalmente, dato che solo in anni relativamente recenti si sono decifrati i papiri e le tavolette di Egizi e Mesopotamici, la nostra scienza si f cominciare da Talete. Questi riduce il principio di tutte le cose allacqua.

Questa visione, se dobbiamo fare lipotesi che i dossografi riportino correttamente, sembra un regresso rispetto al mito orfico echeggiato da Aristofane.

Lipotesi che i dossografi riportino correttamente sembra altamente improbabile. Infatti costoro in massima parte si limitano a riportare le opinioni di Platone o di Aristotele, spesso anche peggiorandone il senso; ma quasi sempre daccordo con i paradigmi interpretativi di questi due personaggi che si sono imposti nei secoli bui della scienza.

Tuttavia, alla luce dei risultati e delle credenze della scienza galileiana, esaminando le critiche che, con una presunzione inaudita, i due sommi filosofi rivolgono agli scienziati che li avevano preceduti nel tempo, appare manifesta la loro assolutamente bambinesca concezione del mondo che, in nessun modo, pu reggere il confronto con la profondit di pensiero di tutti i loro predecessori. E per capire questo bastano le loro stesse critiche!

E ci, come crediamo di avere mostrato, risulta pienamente confermato dai pochissimi frammenti che di tali antichissimi veri scienziati ci sono pervenuti.

Potrebbe apparire sorprendente ed addirittura misterioso il fatto che di tutti gli scienziati, anteriori, contemporanei o anche posteriori a Platone e ad Aristotele, niente o quasi ci sia pervenuto; mentre di questi due campioni abbiamo quasi tutto quello che hanno scritto e, forse, anche qualcosa che non hanno scritto, visto che sono infinite le diatribe sullautenticit di alcune loro opere. Ma, alla luce della su accennata legge dellentropia, sarebbe sorprendente se fosse successo il contrario.

Proviamo a chiederci quali opere resteranno tra mille anni a partire da oggi?

Naturalmente non i libri di scienza, la cui diffusione irrisoria in confronto ai libri che hanno un mercato! Il pronostico si pu fare facilmente esaminando il mercato dei libri o le vetrine dei librai!

 

***

 

Per tornare alle prove contrarie alla teoria delle PULCI, supponiamo, solo per un momento, che il pensiero dei presocratici sia giusto quello che dai dossografi ricaviamo.

Allora per spiegare il regresso degli Ionici rispetto ai miti orfici, come reinterpretati alla luce dellipotesi di Teagene, ci rimarrebbero pochissime possibilit.

Accettando la tradizione che vuole Talete di stirpe fenicia e che, a detta di Flavio, Ferecide di Siro, Pitagora, Talete, furono per ammissione generale discepoli degli Egizi e dei Caldei allora o la scienza di Egizi e Caldei era meno avanzata di quella tramandata dai miti orfici o larmamentario culturale di Talete non era sufficientemente adeguato per capire appieno la scienza di quei popoli. Si dovrebbe scartare la seconda ipotesi dal momento che Proclo dice che Talete fece molte scoperte nel campo della geometria che aveva appreso in Egitto e, daltra parte, Plutarco (PR p. 89) dice che i sacerdoti egizi pensano che anche Omero, come Talete, pose lacqua inizio e matrice di tutte le cose, avendolo appreso dagli Egizi: infatti Oceano Osiride, Tetide Iside ....

Certo, pensando che la civilt degli Egizi, come quella dei Caldei, si sviluppata in assoluta dipendenza dai fiumi attorno ai quali vivevano, si potrebbe ritenere che lacqua potesse essere vista come lelemento primordiale.

Ma questa rozza concezione del mondo contrasterebbe con le meravigliose conquiste scientifiche oggi abbondantemente documentate dai ritrovamnenti scritti (tenuto conto della legge, sopracennata che i libri si conservano proporzionalmente alla loro diffusione, legge confermata empiricamente in tutti i ritrovamenti presso i resti delle civilt sepolte).

Del resto, sembra accertato che la scienza della Mesopotamia, dopo uno sviluppo notevole nel corso di pochi secoli, ristagner per millenni, fino alla totale distruzione.

Come scrive un noto storico della scienza antica,37 si hanno due gruppi di testi relativi alla matematica mesopotamica che corrispondono a due periodi nettamente delimitati e molto lontani tra loro. Il primo va dal 1800 a.C. al 1600 a.C., il secondo si riferisce agli ultimi tre secoli a.C. (per la maggior parte, tavolette che dovevano servire come libri di scuola o altre di contabilit relativa ai commerci del tempo).

Pochi sono i mutamenti che si possono osservare passando da un gruppo allaltro e nel secondo gruppo non vi interviene alcun principio nuovo che non fosse gi pienamente utilizzato nel periodo precedente. Per cui il Neugebauer conclude: E consuetudine postulare un lungo sviluppo, che si suppone necessario, per raggiungere un alto livello di intuizione matematica. Non so su quale esperienza si basi un giudizio del genere. Tutti i periodi, storicamente noti, di grandi scoperte matematiche hanno raggiunto il loro apice dopo uno o due secoli di rapidi progressi, preceduti e seguiti da molti secoli di relativo ristagno.

Del resto, anche in tutti gli altri campi della cultura, si nota un decadimento della cultura Assira e Babilonese rispetto a quella dei Sumeri, loro predecessori in Mesopotamia.38

Non pu essere un caso che i maggiori progressi scientifici, sia nella Ionia, sia nella Magna Grecia, sia nella Mesopotamia si abbiano in corrispondenza di una organizzazione socio-economica fondata su pacifiche citt-Stato.

Sia in Mesopotamia, nel passaggio dalle sumeriche citta-Stato agli imperi AssiroBabilonesi, che in Grecia, nellanologo passaggio allegemonia ateniese, si osserva nella cultura un parallelo passaggio dal naturalismo spontaneo, che si riflette nelle credenze religiose, ad un pi stretto rigore moralistico che accentua la trascendenza del divino; ma lo stesso fenomeno trova conferma nella storia di tutte le civilt.

Questo si riscontra nei miti sumerici confrontati con quelli babilonesi. Spesso, basta una semplice trasposizione dei nomi degli di per ottenere lo stesso significato dei miti delle diverse civilt anche lontane tra loro nello spazio e nel tempo.

Tuttavia, spesso, gli storici della scienza si affannano nel cercare di sminuire le conquiste del passato, ci al solo scopo di far tornare i conti con la teoria delle PULCI.

A che punto siamo oggi?

Siamo nella fase della Scienza o in quella del Mito?

Per il momento lasciamo al lettore la risposta a tale arduo quesito.

 

 

Appendice.

Un sistema di logica.

 

 

Diamo qui di seguito un elenco di formule, gi riportate nei vari lavori di logica scritti dal Peano (cfr. OS-II e FM)39, ordinate in modo da costituire uno tra i possibili sistemi deduttivi che dalle formule di Peano si possono estrarre.

Lo scopo quello di dare un esempio concreto di sistema deduttivo e un riferimento immediato per le formule che si incontrano nel testo. Per tale ragione sono state introdotte alcune lievi modifiche nei segni usati dal Peano per renderli omogenei alle convenzioni adottate nel testo.

 

***

 

Termini, descrizioni e assiomi della metalogica:

Termini:

= significa significa.

C . = . propriet.

I . = . individuo.

P . = . proposizione.

. = . un (copula).

. = . implica (deduzione).

. = . e (congiunzione).

. = . propriet complementare dellintersezione delle propriet a e b.

 

Simboli: le lettere minuscole dellalfabeto italiano.

 

Assiomi:

 

(M1) ,

 

(M2) x a . . x I a C (x a) P,

 

(M3) ,

 

(M4) ιa C ,

 

(M5) a C . . a C .

 

Definizioni, assiomi e teoremi della logica.

 

Termini primitivi: , ι, , ~, .

Descrizioni:

 

. = . un .

ι . = . identico a .

. = . propriet che implica la .

~ . = . incompatibilit tra due propriet o proposizioni.

. = . propriet assurda o proposizione assurda.

 

Definizioni:

 

(A1) = .=. ι

 

(A2) .=.

 

(P1)

 

(Q1)

 

(A3)

 

(A4) ax .=. x a

 

(A5) x a .= . ax

 

(A6) 'x ax .=. a

 

(A7)

 

significa la propriet banale cio quella propriet che posseduta da qualunque individuo o (negli altri contesti appropriati) la tautologia cio la proposizione necessariamente vera.

 

(P2)

 

(Q2)

(P3)

 

(Q3)

 

 

(P4)

 

 

(Q4)

 

Assiomi :

 

(P5)

(Q5)

 

(P6)

 

(Q6)

 

(P7)

 

(Q7)

 

(P8)

 

(Q8)

 

(P9)

 

(Q9)

 

(P10)

 

(Q10)

 

(P11) a b . = . ab = a

 

(Q11) ax by . = . axby = ax

 

La formula (Q11) non si trova in Peano; ma non da arguire che possa essere asserita in base al calcolo proposizionale di Whitehead e Russell (nel seguito li indicheremo con la sigla WR).

Infatti, la (Q11) ha un significato affatto diverso da quanto viene asserito in tale calcolo, in quanto non si riferisce a proposizioni categoriche, come per i succitati autori, ma a schemi di proposizioni.

Ricordiamo che, per Peano, le proposizioni categoriche non fanno parte della logica (cfr. OS-II p. 314).

Notiamo intanto che il segno (che possiamo leggere implica) ha un significato profondamente diverso dallimplicazione materiale di WR e, daltra parte, non corrisponde nemmeno alla loro implicazione formale, la quale corrisponde al segno x di Peano, che definito dallidentit:

 

(a1) a, b Cls . : . a b . =: x a . x .x b .

 

 

Cio, se a e b sono classi (=propriet) allora dire che lestensione di a inclusa nellestensione di b lo stesso che dire che, per ogni individuo x, x a implica x b (vedi FM p. 7), avendo, tuttavia, fatto la convenzione che le estensioni definiscano completamente le propriet (come chiarito nella Parentesi epistemologica).

Nel calcolo delle classi di Peano il segno di inclusione rappresenta una relazione tra propriet (analoga al segno tra numeri) e, quindi, per la (al), lo stesso vale per limplicazione formale x.

Nella formulazione di WR (che quella che successivamente si affermata) il segno di implicazione materiale, indicata sempre col segno , rappresenta unoperazione (analoga al segno + tra numeri), essendo definita dalla

├─ (p q = ~ p U q)

 

dove p e q sono proposizioni arbitrarie.

Ricordiamo che per WR il segno ├─ a indica che la proposizione a viene asserita e non semplicemente menzionata (colle convenzioni di Peano, che qui abbiamo seguito, non necessario introdurre un segno speciale per le asserzioni in quanto ogni proposizione della logica si intende, non solo asserita, ma addirittura come necessariamente asserita; essendo che la logica elenca solo proposizioni che sono necessariamente vere e non solo semplicemente vere e non elenca proposizioni false se non per negarle quando siano delle contraddizioni).

Quindi, WR non pretendono nemmeno che si abbia:

 

(a2) ├─ (p q = ├─ ~ p U q)

 

 

Mentre la (Q11) vale [vedi appresso (T21)]:

 

(a3) ax by . = . x U by =

 

cio, esplicitando interamente le nostre convenzioni: ax by , per definizione, la stessa cosa che dire che la proposizione x U by necessariamente vera.

Resta da capire in che modo una proposizione relativa ad un individuo x possa essere collegata in modo necessario ad una proposizione relativa ad un altro individuo y; ma questo lo si potr vedere, in seguito, con lintroduzione delle diadi.

Diamo intanto alcuni assiomi che servono a collegare le propriet alle proposizioni:

 

(C1) (ab)x . = . axbx

 

 

(C2) xa . = . ι x a . = . i x a

 

 

(C3) ax (a b) . . bx

 

 

Questa rappresenta la forma individuale del sillogismo. La (C3) viene data, spesso, come assioma ma si potrebbe (vedi appresso T23) dimostrare come teorema a partire da (C2) e dal sillogismo in forma universale (vedi appresso T22) che si dimostra, indipendentemente, a partire dagli altri assomi.

Sono utili anche i seguenti assiomi:

 

(C4) a b . = . a b . = . a b

 

 

(C5)

 

 

 

(C6) x a . . $a

 

 

(C7)

 

 

 

Con lintroduzione delle diadi si pu ricondurre al formalismo generale delle propriet anche quello delle relazioni.

Consideriamo una relazione arbitraria, p.es., quella che abbiamo indicato col segno , e supponiamo di volere esprimere simbolicamente lidea che che la coppia di simboli x e a stiano nella relazione x a. Considerando la diade (x; a) (coppia ordinata in cui x il primo termine e a il secondo) come un singolo individuo, possiamo scrivere (x; a) R asserendo che R R e R . = . relazione che quindi, per (M2), diventa una propriet (R C)

Avendo indicato col termine (costante) R la propriet che un qualsiasi individuo x ha di possedere una data propriet a.

Cio, nel nostro caso particolare, possiamo scrivere (x; a) R . = . x a.

Allo stesso modo, possiamo definire (x; y) R= . = . x = y, (a; b) R . = . a b, (a; b) R . = . a b, ecc.

Si potrebbe formalizzare il tutto in modo affatto generale ma, per i nostri scopi, ci non necessario.

ovvio che, a partire dalle diadi, si possono definire le triadi: (x; y; z) . = . ((x; y); z) e cos via, per qualsiasi insieme totalmente ordinato con un numero qualsiasi di simboli.

Con queste convenzioni possiamo, p. es., senza bisogno di altri assiomi, ricondurre la (C3) ad una forma particolare della (Q11).

Baster, usando la (A2), riscrivere la (C3) come: ax (b)a . . bx e, ricorrendo al formalismo delle triadi, avendo posto (x; a; b) R . = . ax (b)a , per la (Q11) possiamo scrivere R(x;a;b) bx . = . R(x;a;b) bx = R(x;a;b).

Questo ci fa capire, anche, in che senso unimplicazione tra proposizioni singolari pu esprimere una necessit logica, cio una tautologia e ancora, in connessione con la (T20), ci mostra come non sia necessaria una logica modale come calcolo separato. Infatti le modalit vengono fuori dal significato che abbiamo attribuito al segno $.

Con ci, perdono di significato le logiche intuizionistiche e le altre diavolerie del genere (vedi PF).

 

***

 

Regole deduttive:

Dl. Da ogni singolo schema di proposizione valido della logica si pu dedurre un altro schema valido sostituendo ad un suo simbolo, qualsiasi altro simbolo, purch la sostituzione venga effettuata in ogni posto dello schema in cui compaia il primo simbolo.

D2. Da ogni schema di proposizione valido della logica si pu dedurre un altro schema valido sostituendo ad un suo simbolo, un altro simbolo che risulti identico al primo, per via di qualche proposizione valida del sistema.

D3. Da ogni identit valida del sistema deduttivo (x = y) si ottiene unaltra identit valida (ωx = ωy) operando su ambo i membri dellidentit con un operatore (ω) per il quale abbia senso applicarlo su uno dei due membri della prima identit.

Per la defizione di identit e per le regole deduttive valgono sempre gli schemi seguenti:

 

 

(I1) a = a

 

 

(I2) a = b . = . b = a

 

 

(I3) (a = b) (b = c) . = . (a = c)

 

 

 

A partire dalle definizioni e dagli assiomi precedenti si possono dimostrare moltissimi teoremi, usando tali regole deduttive.

Tuttavia importante ricordare che per Peano i teoremi della logica sono, in generale, evidenti di per s; per cui lo scopo della dimostrazione non quello di assicurarci la verit dei teoremi ma solamente quello di mostrarci come certi modi di ragionamento possono essere ridotti a modi pi semplici.

Noi elencheremo solo pochissimi teoremi e non ne daremo le dimostrazioni; fatta eccezione per alcuni, giusto per mostrare come anche un computer li potrebbe fare.

 

Teoremi:

 

(T1) a . . a

 

(T2) ab . . a

 

(T3) ab . . b

 

(T4) a a . = . a

 

(T5) a = b . = . (a b) (b a)

 

(T6) a b c . = . (a b) (a c)

 

(T7)

 

(T8)

 

(T9)

 

(T10)

 

(T11)

 

(T12)

 

(T13)

 

(T14)

 

(T15) . . a

 

(T16)

 

(T17)

 

(T18)

 

(T19)

 

(T20)

 

(T21)

 

(T22)

 

(T23)

 

Diamo ora alcune dimostrazioni :

(T1) asserisce a a . Partiamo dallassioma (P11) che per D1. (con la sostituzione di a , ovunque compaia b ), si pu scrivere a a . = . aa = a ma aa = a la formula (T10), valida nel sistema, che si dimostra, indipendentemente da (T1), a partire da (P1) che negata (per D3.) diventa giusto la (T10), se teniamo, anche, conto della (P4).

(T22) asserisce il sillogismo espresso in forma universale; le ipotesi del teorema sono:

(L1) a b

(L2) b c

per (P11), D1. e D2. diventano rispettivamente:

(L3) ab = a

(L4) bc = b

per D3. [operando con csu (L1) e asu (L2) ] e (T11), che si dimostra indipendentemente da (P6), si ottiene rispettivamente:

(L5) abc = ac

(L6) abc = ab

Da queste ultime per D2. si ha

(L7) ac = ab

e da questa per (L3) e D2. si ha

(L8) ac = a

che per (P11) e D1. si pu scrivere

(L9) a c

che la tesi del teorema che si voleva dimostrare.

Per finire, diamo la dimostrazione di (T23), che la stessa cosa di (C3), cio il sillogismo in forma individuale.

Partiamo da (T22) e operiamo, per D1., le sostituzioni ι x a, a b, b c, ottenendo:

(ι x a)(a b) . . (ι x b)

per (C2) e D1. otteniamo la (T23).

 

 

 

NOTE

 

  1. Per fare un esempio, sentiamo il giudizio che Benedetto Croce (a nostro parere, filosofo pi che reazionario) dava sui logici matematici (tra i quali vi annoverava esplicitamente anche il Peano). Il Croce dice che costoro tentavano inutilmente di contrapporsi ai logici tradizionali (tra i quali, ovviamente reputiamo, egli si includesse) e pensavano di essere degli innovatori; in realt, a suo giudizio, lo erano solo per modo di dire, perch in effetto, come si notato, sono ultrareazionari, cio assai pi formalisti del formalista Aristotele, scontenti delle divisioni poste da costui, non perch troppe e arbitrarie, ma perch troppo poche in B. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Laterza, 1947, p. 387. TORNA
  2. In latino laggettivo individuus veniva usato nel senso di indivisibile; sia concettualmente, cio nel senso di pensato come indiviso, come noi lo useremo, sia fisicamente, come nel caso degli atomi democritei: Ille atomos quas appellat id est corpora individua propter soliditatem, Cicerone, De Fin., 1 , 17. TORNA
  3. Tanto pi generale una propriet, tanti pi individui essa comprende e tanto meno di altre propriet vi sono incluse. Questa dualit inversa era gi stata individuata da Leibniz: Infatti, dicendo ogni uomo animale, intendo dire che tutti gli uomini sono inclusi in tutti gli animali, ma intendo nello stesso tempo che lidea di animale compresa nellidea di uomo. Lanimale comprende pi individui delluomo, ma luomo comprende pi idee e forme; luno ha pi esempi, laltro pi gradi della realt, il primo ha pi estensione, laltro ha pi intensione, in Nuovi saggi sullintelletto umano, IV, cap. 17, par. 8 riportato in Scritti filosofici di G. W. Leibniz, UTET, 1967, p. 627. TORNA
  4. Il Peano, nel corso della sua opera di chiarificazione dei vari concetti della logica, ha usato diversi segni per esprimere lidea elementare corrispondente al nostro come: K e, in seguito, Cls. TORNA
  5. Relazione . = . ogni termine che collega due altri termini, come nei casi citati nel testo. Tale concetto potr meglio essere precisato nel seguito. TORNA
  6. Contributi notevoli alla realizzazione del sogno leibniziano, in particolare sul calcolo delle classi, erano stati apportati da Boole, Schrder, Peirce, ed altri. TORNA
  7. Notiamo che Peano usava il termine classe come sinonimo di propriet, di concetto, ecc. Ma successivamente (vedi PF) il termine classe stato usato da tutti gli altri logici in senso estensionale, pervenendo a tutta una serie di paradossi irresolubili (a meno di non introdurre delle convenzioni pi che arbitrarie). Perci noi eviteremo accuratamente di usare i termini: classe, insieme, aggregato e simili al posto di propriet per non cadere negli stessi errori dei logici moderni. TORNA
  8. A proposito di scienza e e di metafisica sembra opportuno citare queste appropriate parole di F. Engels in Dialettica della natura, Ed. Riuniti, 1971, p. 221: Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poich senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono per queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cos dette persone colte [osserviamo che a distanza di tempo da quando scriveva Engels, possiamo sostituire le cos dette persone colte con i cos detti epistemologi!] dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, [ molto ottimista Engels!] o da quel po di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente allUniversit (che non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni di persone appartenenti alle pi diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il pi delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di pi la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia Gli scienziati possono prendere latteggiamento che credono: essi sono sotto il dominio della filosofia. C da porre solo il problema se essi vogliono essere dominati da una cattiva filosofia corrente o da una forma di pensiero teorico che riposa sulla conoscenza della storia del pensiero e sui suoi risultati. Fisica, guardati dalla metafisica: del tutto giusto, ma in un senso opposto. Gli scienziati fanno ancora condurre alla filosofia una vita stentata e puramente apparente, servendosi dei rifiuti della vecchia metafisica. Solo quando la scienza della natura e dalla storia avr assorbito in s la dialettica, tutto il ciarpame filosofico, esclusa la pura teoria del pensiero, diventer superfluo, si risolver nella scienza positiva. [Che per Engels, ovviamente, non coincide con il positivismo vecchio o nuovo che sia!]. TORNA
  9. Operazione . = . manipolazione di segni tale che dati due segni che hanno una certa propriet ne produce un terzo colla stessa propriet; p.es. 1+2 = 3 o a b =c sono operazioni dellaritmetica; la prima tra termini, la seconda tra simboli. I termini della prima e i simboli della seconda denotano numeri, in questo caso. TORNA
  10. I termini intensione, comprensione, estensione sono parte integrante del vocabolario della logica scolastica (intesa nel senso pi lato); ma il loro significato ha sempre avuto le interpretazioni pi varie da parte dei diversi autori e spesso anche da parte dello stesso autore da una frase allaltra (un piccolo campionario di questi vari significati si pu trovare alle relative voci nel Dizionario critico di filosofia del Lalande). Noi abbiamo scelto, invece, di usarli dandone una definizione formale. Il Peano non usa tale terminologia. Solo in una nota della sua Logique Mathmatique, OS-II, p. 259. (Qui e nel seguito indicheremo con i simboli OS-I, OS-II, OS-III i tre volumi di Opere Scelte di G. Peano, a cura di U. Cassina, Ed. Cremonese, Roma, 1958) introduce il segno ext a per indicare lestensione della classe a, cio laggregato di tutti gli individui x per cui si pu asserire xa . Da tale nota si desume, se pur ve ne fosse bisogno dati i significati formali di tutta la sua opera, che (al contrario delluso oggi diventato universale in seguito al Russell) per lui una classe nientaltro che una propriet e quindi non la stessa cosa della sua estensione (vedi PF). TORNA
  11. Vedi A. Padoa, Logica, in Enciclopedia delle matematiche elementari e complementari, a cura di L. Berzolari, G. Vivanti, D. Gigli, Hoepli, 1979. Osserviamo che la distinzione tra termini primitivi e termini derivati ha poco valore ma rende omaggio alla tradizione (vedi nota successiva). E unillusione il pensare che il significato dei termini definiti si possa ricavare delle definizioni nominali; infatti, nessuno si sognerebbe mai di credere, che prendendo un complesso di segni a caso, anche se in ottemperanza alle regole formali, di avere inventato un nuovo concetto per il fatto che ha attribuito un nuovo nome a tale complesso di segni. Lo stesso dicasi per la distinzione tra definizioni ed assiomi. Tuttavia la distinzione tra gli assiomi ( includenti le definizioni) e i teoremi, anche se ha un valore solo relativo, pi importante in quanto stabilisce le condizioni necessarie e/o sufficienti per la validit di determinate asserzioni. TORNA
  12. Ci non significa che per far questo non sia necessario conoscere preventivamente i significati reali di essi; perch, nel metalinguaggio, per dare il significato reale di abbiamo dovuto conoscere quello delle particelle e e non che corrispondono ai segni e ~ rispettivamente. Daltra parte, noi possiamo stabilire una definizione nominale se e solo se conosciamo i significati sia del termine da definire che di quelli che lo definiscono (a meno che non si tratti di semplici abbreviazioni). TORNA
  13. Nella (P10), a sinistra compare il simbolo a, che quindi non ha un significato definito, mentre a destra compare un termine con un significato ben preciso. Questo significa che lassioma vale per qualunque significato di a. Cio, sempre vera la : , per qualunque b, anche se b a. Ne segue che la (P10) potrebbe prendersi come definizione di anche se essa non ha la forma standard delle definizioni nominali che pretende la omogeneit dei simboli ai due lati dellidentit. Per questa ragione il Peano definisce la propriet assurda con la formula = x ' (a Cls . a . x a) cio significala propriet che hanno tutti gli individui x di cui si pu affermare che qualunque sia la propriet a essi la posseggono. Con tale definizione risulta ovvio che tali individui dovrebbero avere anche la propriet se hanno la propriet a; ma dal momento che ci assurdo si deduce che non possono esistere individui con la propriet . TORNA
  14. Di fatto il sistema deduttivo diventa, in questo caso, unalgebra di Boole. TORNA
  15. Tale struttura viene detta un reticolo distributivo. La (P11) potrebe prendersi come definizione di . TORNA
  16. Vedi lAppendice e la Parentesi epistemologica. TORNA
  17. M. Bunge, Scientific Research I, Springer-Verlag, 1967, p. 28. TORNA
  18. M. Mller, The science of thought, London, 1887. Cit. In OS-II, p. 458. TORNA
  19. In base a questa osservazione Peano ha speso gli ultimi anni della sua vita nel tentativo di fare accettare, almeno tra gli scienziati, un linguaggio universale. TORNA
  20. Si vedano gli articoli su Archimede sul numero 4-5 di Mondotre. TORNA
  21. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, p. 371, Laterza, 1976. TORNA
  22. A causa di tale metafisica deteriore, oggi, invalso luso di rovesciare il significato di modello che, una volta, rappresentava una idealizzazione della realt, per cui meno ricco di determinazioni rispetto ad essa; e, ora, invece, si usa per indicare una rappresentazione concreta di una struttura astratta la quale necessariamente meno ricca del suo modello (?!). Oh, incoerenza del linguaggio empirista! Il modello diventa una copia imperfetta della realt astratta! Siamo ritornati al peggiore platonismo, rivestito di spoglie empiriste! TORNA
  23. Popper trascura laspetto statistico della falsificabilit, dando a questultima un significato definitivo e discriminante, per cui, alla fine, non pu tenere conto delleffetto paradigma come giustamente gli fa notare Kuhn. Laspetto teorico della realt sensibile correttamente individuato da Popper anche se, a nostro avviso, in maniera insufficiente. Si veda K. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, 1969, p. 112. Per la polemica Popper-Kuhn, si veda AA.VV., Critica e crescita della conoscenza, Feltrinelli, 1976. TORNA
  24. Le stesse osservabili, di cui si abusa nel linguaggio della meccanica quantistica, non sono altro che astratti operatori nello spazio astratto di Hilbert ai quali, solo con un atto di una, a mio parere, deteriore metafisica, si attribuisce lo status epistemologico di rappresentare concreti atti di misura, impossibili ad attuarsi; per cui, alla fine, si ricorre alla, spesso utile ma non sempre necessaria, finzione degli esperimenti ideali. E qui ci sarebbe da chiedersi, a parte la loro utilit, perch un modello teorico si debba chiamare esperimento, sia pure ideale! TORNA
  25. Con la sigla PR indicheremo lopera: I Presocratici Testimonianze e frammenti, Laterza, 1983 TORNA
  26. Con la sigla DL indicheremo lpera di cui a nota 21. TORNA
  27. Tale divisione una delle cause dei contrastanti giudizi che nel corso dei secoli sono stati dati sui Pitagorici, col confondere insieme le dottrine delle due correnti. TORNA
  28. Riferisce Plutarco (PR p. 486): Perci appunto Platone mosse biasimo ad Archita e a Menecmo, che del raddoppiamento del solido cercavano di servirsi per costruire strumenti e meccanismi, sembrandogli che irrazionale fosse il loro sforzo pewr trovare, come potevano, due medie proporzionali; perch, diceva, in questo modo distruggevano e corrompevano quello che il bene della geometria, riconducendola a cercare oggetti sensibili, e non mirando verso lalto, per cogliere le immagini eterne e incorporee, presso le quali il dio essendo sempre dio. TORNA
  29. Infatti pare che Parmenide sia pervenuto allunit secondo il logo, Melisso allunit secondo la materia; perci il primo dice che finita, il secondo infinita. Ed Elias (PR p. 288-89), parlando di Zenone, dice: Al suo maestro Parmenide che diceva che lessere uno quanto al concetto e che invece quanto allevidenza sensibile gli enti sono molti diede la sua adesione una volta, con quaranta argomentazioni nella tesi che uno lessere, ritenendo che fosse bello portare aiuto al suo maestro. Unaltra volta, appoggiando la tesi dello stesso maestro che lessere immobile, con cinque argomentazioni prov che lessere immobole. A questi argomenti non potendo Antistene il Cinico rispondere, si alz in piedi e si mise a camminare, ritenendo che pi sicura di ogni contestazione di ragionamenti fosse la dimostrazione mediante levidenza sensibile. Quello di Antistene il comportamento classico di ogni rozzo empirista. TORNA
  30. Abbiamo aggiunto, in parentesi quadre, alcuni termini e modificato il genere dei relativi pronomi e aggettivi, senza di ch, a nostro giudizio, il testo della traduzione, da cui citiamo, risulterebbe privo di senso, anche grammaticalmente. TORNA
  31. Apprendiamo, infatti da Filopono (PR p. 367-68): E necessario, per Empedocle, ammettere che vi sono corpi solidi e indivisibili, dal momento che non vi sono in ogni parte del corpo pori contigui: e questo appunto impossibile, perch altrimenti tutto il corpo sarebbe poro e vuoto. Cosicch, se questo impossibile, necessario che le parti del corpo, che sono in contatto, siano solide e indivisibili, e vuote quelle intermedietra di esse, le quali Empedocle appunto chiama pori. TORNA
  32. Con numerabile da intendere che allestensione della propriet ente si possa assegnare un numero intero (tanti quanti sono). Essendo che per il modo di pensare, riferito al concreto, degli Italici il numero, definito come corrispondenza tra insiemi, non avrebbe avuto molto senso, perch sarebbe stato giudicato unillecita generalizzazione di propriet che si possono verificare solo nel finito sensibile. Quindi per loro lestensione dei numeri interi sarebbe non numerabile e quindi infinita, senzaltri aggettivi del tipo di quelli di Cantor. TORNA
  33. Aristotele, Fisica, (208b 1-8), Laterza, 1973, p. 73. TORNA
  34. Anzi sembra che attribuisse ai Pitagorici la conoscenza della legge di proporzionalit inversa al quadrato delle distanze (cfr. Pierre Thuillier, Isaac Newton, un alchimiste pas comme les autres, in La Recherche, n. 212, Juillet-Aot, 1989.). Ringrazio il prof. Angelo Cunsolo per aver portato alla mia attenzione questo articolo. TORNA
  35. B. Farrington, Scienza e politica nel mondo antico, Feltrinelli, 1960, p. 16: la colpa fu data al cristianesimo stesso; ma questa non una soluzione, poich, posto che il cristianesimo sia incompatibile con la scienza, rimarrebbe sempre da chiederci perch gli antichi abbandonarono la loro scienza per il cristianesimo. Anche le invasioni barbariche furono considerate causa della distruzione delle tradizioni di civilt. Ma ci solleva la grande questione delle cause per cui la parte civile del mondo perse la sua potenza e la parte incivile prevalse, e la sproporzione divenne cos grande che i barbari sopraffecero lImpero Romano. Si anche detto che la scienza greca decadde perch i romani non seppero assimilarla;discutibile il presupposto razzistico dellattitudine scientifica dei greciDal punto di vista della razza, i pensatori greci erano elementi completamente misti. A quel tempo (come nel mondo moderno) molti dei pi famosi scienziati europei avevano una buona dose di sangue orientale nelle loro vene; se gli italiani moderni hanno molto contribuito alla scienza, mentre gli antichi romani hanno dato ad essa scarsissimi contributi, la spiegazione non va cercata nella razza. Viste insufficienti le cause esternesi cercarono delle cause interne. Cos stato osservato molto giustamente che la base della scienza greca era troppo limitata. i greci, pur avendo conseguito notevoli successi in matematica, fallirono nel campo della fisica. Ma rimane da risolvere unaltra questione, quella delle cause per cui lo sviluppo della scienza greca si arrest. TORNA
  36. Ibidem, p. 52. TORNA
  37. O. Neugebauer, Le scienze esatte nellAntichit, p. 46-47, Feltrinelli, 1974. TORNA
  38. Cfr. S. Moscati, Le antiche civilt semitiche, Feltrinelli, 1958. TORNA
  39. Con la sigla FM indichiamo lopera: G. Peano, Formulario Mathematico, a cura di U. Cassina, Edizioni Cremonese, Roma, 1960. TORNA