Fisica senza dogma

di Franco Selleri

EDIZIONI DEDALO — Bari, 1989.

Nuova Biblioteca Dedalo

Serie “Problemi della scienza”

 

264 pagine — £25.000

 

 

 

 

 

 

Recensione:

 

 

Sempre più frequentemente, in tutto il mondo, appaiono libri di fisici che si mostrano severamente critici della loro stessa scienza. Anche in Italia il fenomeno comincia a mani­festarsi pur se, il più delle volte, si tratta di traduzioni da autori stranieri. Certamente questo potrebbe essere un segno di qualche difficoltà, in cui oggi si imbatte tale scienza che, da sempre, è stata considerata l’archetipo della “scienza sperimentale”.

Ma il fatto strano, e quindi da capire, è: come mai queste difficoltà vengono avvertite proprio quando, come mai nel passato, sembra che le conquiste della fisica siano così stra­bilianti per quantità e per qualità! Tenuto anche conto che nessuna di tali conquiste, sia sperimentali che teoriche, sembrano avere inficiato menomamente il paradigma dominante che, ormai, resiste da più di mezzo secolo. Certo mezzo secolo è poca cosa se confrontato con i due millenni durante i quali si è potuto mantenere il paradigma aristotelico, ammesso che realmente sia stato spazzato “definitivamente” via, come spesso si sostiene, dalla scienza galileiana! Non resta altra possibile spiegazione, come sempre nella storia, che lo scontento degli scienziati rifletta semplicemente la crisi del rapporto tra la scienza e la società consi­derata nel suo complesso. In altre parole, la gente comincia a perdere fiducia in una scienza che sembra impotente a risolvere le gravi crisi che minacciano l’umanità, a partire dalla sempre più manifesta crisi ecologica, per continuare con le non ancora del tutto sopite paure di catastrofi nucleari (o per cause belliche o “pacifiche”), o con la mancanza delle libertà civili o anche, più semplicemente, di pane o di acqua per la gran parte della popolazione mondiale e così via enumerando.

Spesso gli scienziati cercano all’interno della loro scienza le cause del loro disagio. Infatti la maggior parte di queste critiche sembra nascere da una repentina scoperta, da parte dello scienziato, dell’incommensurabilità tra il concetto di scienza che egli ha coltivato fin da giovane (come, più o meno, rappresentato da Popper nel suo Logica della scoperta scientifica del 1934) e la sua concreta prassi scientifica, vissuta all’interno della scienza istituzionalizzata (come, più o meno, descritta da Kuhn nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche del 1962). In generale, e forse proprio per i meccanismi ipotizzati dal Kuhn, tale divario tra l’idea e la pratica della scienza viene avvertito molto tardi quando lo scienziato ha ormai assorbito il paradigma dominante, al punto tale da essere in grado di avanzare serie proposte innovative, andando oltre la normale routine. Ma quando lo fa, si accorge che il suo contributo viene rifiutato dai suoi colleghi, forse perché, magari senza che egli lo abbia mai voluto, tale contributo potrebbe incrinare i rapporti gerarchici che si sono venuti istituendo all’interno della comunità scientifica. Per cui lo scienziato scopre improvvisamente la divaricazione esistente tra la scienza e l’organizzazione della stessa; ma, non volendo abbandonare alcuni aspetti dei paradigma che ormai sono con lui connaturati, il suo discorso diventa meramente sociologico, terreno in cui egli è scarsamante preparato, e la critica scientifica viene da lui limitata al campo particolare di sua competenza che, data la frammentazione attuale della scienza, non può essere compresa se non da quelli che egli intende contestare.

Diverso è il caso di Franco Selleri, il quale, avendo probabilmente subìto la crisi molti anni fa, già da molto tempo si occupa di problemi connessi ai fondamenti della fisica, spe­cialmente di quella quantistica che oggi viene considerata la teoria fisica fondamentale e alla quale tutte le altre teorie devono adeguarsi se vogliono evitare la scomunica. Per tale ragione il suo libro spazia su quasi tutti i settori della fisica moderna.

Come il lettore viene avvertito nell’introduzione, il libro è una raccolta di dieci testi, “spesso derivati da conferenze fatte dall’autore in luoghi e occasioni diverse, e sottolinea i trionfi della fisica moderna, così come cerca di evidenziarne le distorsioni e le perversioni” e lo scopo principale dichiarato è quello di “avviare ad una reale comprensione di quello che sta accadendo e per favorire un profondo rinnovamento.”

Con l’eccezione dei capitoli rispettivamente dedicati a Popper, al «bing-bang» e alla critica della scienza, gli altri hanno il taglio delle conferenze divulgative dove, da tempo immemore, sembra che sia obbligatoria la glorificazione acritica di tutte le conquiste della fisica. Ma in tutti i capitoli si ritrovano alcune idee ricorrenti, alcune esplicitamente enun­ziate, altre meno esplicite, in cui sono manifesti accenti piuttosto critici.

L’idea centrale è che nella fisica vanno sempre insieme: “contenuti oggettivi” e “contenuti logicamente arbitrari”. I primi costituiscono conquiste “irreversibili” dell’umanità, i secondi sono «reversibili» e possono risultare dannosi per lo sviluppo stesso della scienza, anche se, inizialmente, possono avere avuto un valore euristico che ha potuto permettere il supera­mento di qualche pregiudizio precedente. Tuttavia l’autore non dà un’esplicita definizione, né dei contenuti oggettivi né di quelli arbitrari, tale da permettere ad ognuno di poter giu­dicare, in modo inequivoco, se un dato contenuto sia oggettivo o arbitrario. Egli si limita a dare degli esempi; ma gli esempi sono tali che facilmente possono, da altri che accettassero la bipartizione, essere classificati in modo tutto affatto diverso dall’autore; soprattutto da parte di coloro che navigano dentro il paradigma odierno.

È chiaro che, in astratto, la bipartizione può essere accettata da tutti, almeno da quelli che hanno qualche minima cognizione sulla storia della scienza. Infatti (per citare le parole dell’autore a p. 7 nel capitolo sulla rivoluziomìe copernicana) che “ogni creazione scientifica sia profondamente condizionata dai pregiudizi dei suoi creatori consci o inconsci che sianoè in fondo un fatto naturale”. D’altra parte bisogna accettare che ci siano anche contenuti oggettivi, altrimenti non si vedrebbe alcuna utilità nella scienza. Quindi il problema centrale sarebbe quello di stabilire “oggettivamente” il criterio di giudizio per scoprire i pregiudizi.

Certo il problema è difficile e forse senza soluzione e forse per questo l’autore non se lo pone, per certo convinto di sapere cosa sono i pregiudizi e quali le verità oggettive.

Purtroppo, senza un’esplicita soluzione di tale problema, si può anche convenire con Selleri che esista uno “stato di grave crisi in cui versa la scienza contemporanea, solo un po’ coperto dai veli dell’ottimismo ufficiale, ma normalmente ammesso nelle occasioni informali. Lo sviluppo delle conoscenze forse ancora va avanti nel dettaglio, ma si è quasi completa­mente arrestato nella sostanza. ... Eppure gli scienziati sono ora più numerosi che all’inizio del secolo e sono dotati di finanziamenti e di apparati strumentali e di calcolo che allora non potevano neppure essere sognati. Qualcosa di terribile deve essere accaduto nella scienza mondiale se le capacità conoscitive di tante menti brillanti sono state offuscate” (p. 6), ma non sapremo mai come uscirne!

Un altro tema ricorrente e a nostro giudizio estremamente importamìte è quello dei rapporti tra matematica e fisica che viene più in dettaglio affrontato nel capitolo su (La matematica e le cose). Ma nemmeno qui siamo riusciti a cogliere in che cosa si differenzino le idee di Selleri da quelle che, almeno a parole, vengono da tutti riaffermate. Si sente qui la mancanza di esempi concreti, e a mio giudizio se ne possono trovare a bizzeffe, di casi in cui i pronunziamenti teorici di prammatica vengono di fatto calpestati nella prassi concreta delle attuali teorie fisiche.

E non vale citare, approvandole, le parole di Kline secondo cui “Gli sviluppi succe­dutisi nei fondamenti della matematica a partire dal 1900 sono sorprendenti; attualmente la matematica è in uno stato anomalo e giace in una condizione deplorevole. La luce della verità non illumina più la strada che deve essere seguita” (p. 59) se poi si afferma (p. 235) che “la portata dei dibattiti sui fondamenti è probabilmente molto più chiara ai matematici che ai fisici”; e non vale riportare le critiche di Von Neumann, di Bourbaki, di Poincaré, di Russell, di Frege, di Gòdel, o contro il distacco della matematica dalla “fonte empirica”, o contro la soverchia specializzazione, o contro lo scarso rigore, dimenticando di dire che oggi tali personaggi sono considerati i creatori della nuova matematica che ha tutti i difetti di quella già criticata da questi illustri matematici.

Il fatto vero è che ognuno di costoro era solo interessato a criticare uno solo di questi aspetti deteriori proponendo una medicina che ne aggravava gli altri. Il risultato, come ovvio in questi casi, è stato che, in nome di queste critiche (considerate solo parzialmente e indipendentemente dalle altre), si sono aggravati tutti i mali che venivano denunziati; con il vantaggio che ognuno dei moderni può dire che oggi tali mali sono stati appunto superati dopo le taumaturgiche critiche e i suggerimenti di questi grandi scienziati.

Non sorprende quindi che, parlando dei fondamenti della matematica, l’autore si di­mentichi di citare il nome di Peano, che viene solo nominato nel capitolo dedicato a Enrico Fermi dove si ricorda, tra parentesi, che era uno degli “autori di primissimo piano” dei libri che sono serviti per la formazione scientifica del grande fisico, costruttore della prima pila atomica. Ed era, forse, per tale tipo di formazione che il Fermi si lamentava della nascente meccanica quantistica dicendo, nel parlare dei suoi fondatori: “Per il mio gusto mi pare che comincino a esagerare nella tendenza di rinunziare a capire le cose” (p. 71). E, forse, a nostro parere, non è un caso (come si rileva dal fatto opportunamente notato da Selleri) che Fermi abbia ricevuto il premio Nobel solo per il lavoro dove oggi si ritiene che abbia sbagliato, quando, a dire di Pontecorvo, ne avrebbe meritato almeno altri sei! Ma, sarebbe da aggiungere: ammesso che i premi Nobel significhino qualcosa di diverso dal mero rafforzamento del paradigma dominante!

Nel capitolo su Il dualismo onda-corpuscolo e nel settimo su Popper, Selleri affronta i problemi fondazionali della meccanica quantistica che sono gli argomenti di cui princi­palmente egli si è occupato nella sua carriera scientifica. Qui, ovviamente, la critica è più pungente e, anche, più sicura. Tuttavia, anche qui, mi pare di notare che egli ac­cetti senza esitazione alcuni dogmi del paradigma corrente, che a nostro giudizio, sono i più pericolosi e rischiano di fare risultare perdente la sua pur giusta battaglia. È proprio qui che bisognerebbe tenere a mente quello che Selleri scrive a p. 193, parlando intorno alla teoria della relatività: “In genere, tanto più «sacra» viene considerata una legge negli ambienti scientifici, tanto meno fondata sperimentalmente quella legge è. Insomma la sacralità è una difesa sociale di un concetto che non si sa bene come difendere scientifi­camente.” Bisognerebbe aggiungere, però, che la fondatezza non è solo sperimentale ma anche, e soprattutto, logica e matematica.

La critica dei fondamenti della meccanica quantistica coinvolge tutti i principali concetti che vengono usati nelle varie scienze in quanto attengono alle ipotesi metafisiche fondamen­tali su cui, necessariamente, ogni scienza può fondarsi. Tali sono i concetti di: teoria, esperimento, materia, realismo, determinismo, causalità, località, separabilità, caso, proba­bilità, onda, corpuscolo, ecc. Su tali concetti la confusione è stata ed è ancora massima come Selleri non manca di far notare contrapponendo i suoi concetti a quelli degli altri, ma senza preoccuparsi di sottolinearne le differenze, dando per scontato che il suo personale uso di tali termini sia l’unico possibile.

Intanto egli, come la maggior parte dei fisici teorici, dà per scontata l’interpretazione degli esperimenti che viene fuori dal paradigma ufficiale che egli si propone di criticare (allo stesso modo di come la maggior parte dei fisici sperimentali dà per scontata la teoria che intendono empiricamente verificare —— questa reciproca fiducia sulle questioni al di fuori delle proprie competenze specifiche è una delle principali cause della lunga durata dei vari paradigmi — è proprio su questo che bisognerebbe cercare di emulare Fermi!). Per tale ragione Selleri crede che la diseguaglianza di Bell possa dire qualcosa sui concetti di realismo e separabilità, cosa che si può dimostrare come non vera quando la si volesse applicare a “qualunque” possibile esperimento concretamente realizzabile; per cui, dal momnento che tale diseguaglianza porterebbe, se fosse violata, alla negazione di quello che egli chiama “realismo locale”, pensa che gli esperimenti finora fatti, che nell’assoluta maggioranza dei casi appunto la violano, siano carenti in quanto hanno trascurato alcuni dettagli che egli giudica fondamentali. E’ chiaro che una tale linea di attacco deve necessariamente risultare perdente ai fini di ristabilire il realismo e la separabilità cne sono il suo, pur condivisibile, scopo.

Né la proposta, che egli fa risalire a De Broglie e ad Einstein, di una non chiara as­sociazione tra onda e corpuscolo potrà mai risolvere quello che viene ritenuto il più grosso problema della meccanica quantistica se prima non si chiariscono epistemologicamente i concetti di corpuscolo e di onda, specialmente se questa è “vuota”! D’altra parte, questa distinzione tra corpuscolo e onda sembra cozzare contro la tesi di Selleri, secondo cui e un “contenuto oggettivo irreversibile”, proveniente dalla relatività di Einstein, il fatto che non c’è distinzione tra massa (identificata stranamente con la “quantità di materia”!) ed energia. Varrebbe la pena di riflettere ulteriormente su questa contraddizione!

Condividendo molte delle tesi di Popper, l’autore sembra dare notevole importanza al concetto popperiano di “propensione” come una possibile nuova interpretazione del concetto di probabilità da usare per un’interpretazione realistica della meccanica quantistica. A me personalmente non è mai risultato chiaro, nonostante le moltissime pagine che Popper ha dedicato alla questione, in che cosa esso si differenzi dall’antico concetto di probabilità “a priori” come definito dal Laplace, se non nel fatto che la definizione di Laplace è, in modo non ambiguo, formalizzabile a partire dagli eventi elementari, come fatto da Peano (anche se ora, stranamente, tale formalizzazione la si chiami “di Kolmogoroff ” il quale l’ha proposta più di trent’anni dopo), mentre la propensione non lo può essere se vuole rendere conto delle probabilità quantistiche che sono definite, non sugli eventi, ma sui vettori di uno spazio di Hilbert, per cui somigliano più al quadrato di un coefficiente di correlazione che ad una probabilità.

E, quando si voglia limitare la propensione agli evemìti, si scopre che non è altro che l’asserzione metafisica, d’altronde necessaria ed inevitabile e che lo stesso Laplace faceva, che anche se non siamo in grado di definirla, nella scienza, dobbiamo ammettere che esista sempre. La fisica classica ha sempre fatto tale ipotesi ed ha sempre usato, invece, il con­cetto di probabilità “a posteriori”, legato al concetto di frequenza delle osservazioni, solo come un mezzo per la verifica sperimentale delle predizioni fatte a partire da quella “a priori”. La riproposta popperiana, con il conseguente cambiamento di nome, è solo dovuta al deterioramento del significato di probabilità, dovuto agli empiristi che ne identificavano il concetto con quello di frequenza così come formalizzato dal Von Mises, che resta tuttavia il solo mezzo, a parte le forti obiezioni di natura epistemologica che si potrebbero fare, per potere continuare a chiamare «probabilità» anche quelle quantistiche. Nella scienza bisogna sempre diffidare degli inutili cambiamenti di nome e delle generalizzazioni affrettate!

Il capitolo su Einstein e quello su energia e movimento soffrono troppo di quella “dia­lettica”, volutamente programmata dall’autore, tra il “sottolineare gli aspetti criticabili di scienze «dure» come la matematica, la fisica teorica, e l’astrofisica, ma di valorizzare le loro grandi conquiste conoscitive e di celebrare i loro trionfi” (p. 233) per cui è difficile stabilire fino a che punto le sue soventi critiche a certi aspetti dell’interpretazione corrente, specialmente a livello didattico e divulgativo, siano rivolte alla teoria o solo alle conclusioni che, sul piano metafisico, dai concetti della relatività, ed in particolare da quelli di massa ed energia, vengono indebitamente tratte.

Resta il fatto che, parlando di energia e di termodinamica, mai viene menzionata la parola “entropia”, per cui non sorprende che a p. 163 può concludere (sfortunatamente, sembra, in tono di recriminazione): «Comunque la situazione dell’energia nucleare italiana è quella di scarso sviluppo che tutti conoscono, per via delle scelte politiche antinucleari costantemente portate avanti nel nostro paese”.

Il capitolo sul concetto di infinito in fisica è una critica serrata a certi usuali procedi­menti, sia teorici che sperimentali, di quella che è oggi considerata la “fisica d’avanguardia” e cioè la fisica delle particelle elementari. Anche qui molte critiche colpiscono nel segno ma, dati i sempre presenti toni trionfalistici, non si riesce mai a capire l’effettiva sostanza delle critiche.

Molto più chiaro, a questo riguardo, è nel successivo capitolo dedicato alla controversia sul «bing-bang” in cui si schiera nettamnemìte a favore della critica, sia sul piano osservazionale che su quello teorico, portata dal fisico americano Arp contro le contraddizioni esistenti nelle più quotate teorie cosmologiche fondate sulla teoria della relatività di Einstein. D’accordo con Selleri, credo che le critiche di Arp siano molto giuste, tuttavia hanno il grave difetto di non proporre una teoria alternativa. E questo è assolutamente insufficiente per sconfiggere un paradigma; tanto più che la cosmologia, nell’impossibilità di verifiche sperimentali dirette, è sempre sotto il costante pericolo di restare solo metafisica, eventualmente utile o anche necessaria ma sicuramente insufficiente perchè si possa fare “scienza”.

Il capitolo più interessante è l’ultimo dove più direttamente si affrontano i problemi che riguardano la sociologia della scienza attuale. Qui viene analizzata e condivisa la critica che il fisico R. L. Oldershaw ha condotto nei confronti della fisica delle “particelle elementari”, che tutto possono essere tranne che particelle, e qualunque altro aggettivo si può proporre tranne che elementari. Vengono anche analizzate le idee dei principali epistemologi contemporanei, concludendo che la causa dei mali della fisica è l’abbandono delle filosofie realistiche in favore di quelle idealistiche, ma anche qui mancano precise definizioni di questi termini che, nel corso della storia della filosofia, più di una volta, si sono scambiati di significato, nel senso che tutto quello che veniva definito realistico a un certo punto diventava idealistico e viceversa.

Infine vengono commentate le risultanze di un’indagine (questionario) condotta a cura della Fondazione Agnelli su un campione di scienziati italiani (fisici, biologi e genetisti, esperti di intelligenza artificiale). Anche se le conclusioni che Selleri ritiene di tirare da tali risultanze sono, possibilmente, vere è difficile, a mio giudizio, ritenerle confermate da tale indagine; sia perchè, in generale, in tali indagini “a quiz il ricercatore (spesso inconscia­mente) prepara le domande in modo che la tesi che vuole provare risulti confermata, sia perché l’indagine era esclusivamente rivolta ad accertare il rapporto che tali scienziati hanno, oggi, con la religione. La prima impressione che a me pare di poter ricavare dai dati è che gli scienziati hanno sostituito la religione con la scienza e, forse, anche al livello della fede indi­scussa verso i nuovi sacerdoti” o “bramini della scienza”, più che verso i dogmi che hanno bisogno di un’autorità; e tutti sanno che i “fatti empirici” da soli non bastano, altrimenti ci sarebbe una sola religione!

A parte le doverose osservazioni che abbiamo, via via, fatto e a parte le (poche) in­evitabili sviste tipografiche, riteniamo che quello di Selleri è un libro che va senz’altro letto per diversi motivi: per tutti gli importantissimi problemi che pone, è molto più importante porre un problema serio che risolverlo; per l’illustrazione “critica” dei vari argomenti della fisica moderna, cosa rarissima ai nostri giorni; per la chiara e appassionata esposizione; per i validi fini che si propone.

 

Salvatore Notarrigo