Sul concetto newtoniano di massa
Angelo Pagano
Nella prefazione ad un suo lavoro Max Jammer1 crede opportuno rafforzare
l’importanza della sua ricerca storica sul concetto di massa riportando una citazione
del Burniston Brown che recita: “..... uno dei fatti più sorprendenti della
storia della fisica è la confusione che circonda la definizione del concetto
fondamentale della dinamica: la massa”.
Che tale fatto sia vero, lo si prova facilmente confrontando le assai varie e variopinte opinioni che si ritrovano nei libri di testo di fisica delle nostre scuole di ogni ordine e grado. I più, forse per paura di dire cose insensate, ripetono ciò che hanno creduto di capire dalle definizioni di un precedente libro di testo che rappresentava, al momento, la più alta autorità. Altri, più coraggiosi ed intraprendenti, enunciano un loro personale concetto di massa nel quale fanno convivere nozioni tra loro inconciliabili camuffando le tante contraddizioni col recitare frasi assolutamente “misteriose” come quella, oramai di moda, che “la massa e l’energia sono la stessa cosa”, con ciò dimostrando di non sapere che cosa sia una grandezza fisica.
Ma che la citazione che abbiamo sopra
riportato non dice ancora tutto, lo si prova leggendo le opere di Newton e di
Galilei o, ancora, quelle del più antico Archimede, oppure quelle di molti
altri autori che ad essi si rifanno in modo non ambiguo.
Infatti, benché il concetto di massa a cui si
rifanno questi autorevoli scienziati (lo indicheremo nel seguito con
l’abbreviazione CNM = concetto newtoniano di massa), sia stato ritenuto, nel
corso dei secoli e sulla base delle mode del momento, ora “inadeguato”, ora
“tautologico”, ora “metafisico”, tuttavia non si registrano critici seri che lo
qualifichino come “confuso”.
Ma vediamo più da vicino, servendoci di un
commento di Alberto Pala, in una nota ai “Principia” di Newton da lui curata,2 cosa esattamente viene
rimproverato a Newton:
“La definizione proposta dal Newton tiene
conto, storicamente, delle esperienze di Boyle sui gas compressibili ; ma è
chiaro in pari tempo, che questa definizione non è felice - come fece osservare
il fisico e filosofo Ernst Mach - in quanto costituita da un circolo vizioso. È
noto che la densità di un corpo esprime il rapporto tra la sua massa ed il suo
volume; ma detto questo va da sé che per definire la massa non possiamo
ricorrere - come invece fa Newton - alla densità. Ciò infatti lascia ancora da
definire uno dei due termini: o la massa o la densità…”.
Nel seguito mi prefiggo di mostrare come questo tipo di critica sia privo di fondamento logico.
La definizione del Newton è:
“La quantità di materia è la misura della
medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il suo volume.”3
Proviamo a leggere Newton con il rispetto dovuto ad un grande pensatore e analizziamo la definizione, necessariamente concisa, ad uso didascalico.
Noto il concetto di Grandezza Fisica, che
indichiamo con il simbolo G, osserviamo che il volume, υ ,
la massa, m e la densità, ρ sono tre grandezze fisiche,
distinte tra loro, che si introducono nella teoria fisica per caratterizzare
le proprietà fondamentali degli enti introdotti per descrivere il mondo fisico.
La prima proprietà che si può introdurre, che
chiameremo “estensione servirà a distinguere gli enti “in estesi” e “non
estesi”, diciamo poi che l’estensione, in questo caso, si chiama “volume”.
La seconda proprietà che si introduce, che
chiameremo “materia”, servirà a distinguere gli enti estesi in “fisici” e
“geometrici”, e poi diciamo che gli enti fisici hanno massa. Gli enti fisici
sono detti anche “corpi” o “masse”.
La terza proprietà che si introduce, che
chiameremo “realtà fisica”, servirà a qualificare ulteriormente i corpi in
“porosi o “sensibili” (naturalmente anche l’idea di “corpo sensibile” è
un’“astrazione”) da un lato e “solidi” o “ideali” dall’altro, come in seguito
sarà descritto.
È chiaro che ogni massa ha volume (per
definizione), ma non ogni volume ha massa. Analizziamo un dato corpo, a,
più in dettaglio dal punto di vista della logica.
Poiché il “volume” di a è una
grandezza fisica lo si può sempre decomporre in n parti in modo tale
che:
υ = υ1 + υ2 +
… +
υn
Se, qualunque sia n, tutti gli enti
estesi ai, (i = 1, n), di volume υi
, sono corpi (ovvero hanno massa) allora il corpo a è detto
solido. Si noti che questa definizione coincide con quella democritea (650
a.c.) di solido come “corpo senza pori” o “pieno”. Segue necessariamente che
nel solido la massa è grandezza proporzionale al volume con una costante di
proporzionalità universale, cioè che vale per tutti i “solidi”, così definiti,
che indicheremo con , dove si sono indicati con mu e υu
, rispettivamente, la massa ed il volume del solido assunti come
unitari.
Quindi, detto υ il volume di un
solido di massa m si avrà:
.
Essendo una costante
universale, ne possiamo scegliere arbitrariamente le dimensioni fisiche ed il
numero.
Da quanto detto segue banalmente che il volume di un corpo qualunque può essere decomposto nella somma del volume del solido (pieno) e del volume del vuoto rimanente (vuoto) secondo l’espressione:
υ = υp + υυ
per cui, ad ogni corpo verrà ad essere associata una “densità
volumica”, data dal rapporto e la massa di un
corpo “sensibile” viene naturalmente espressa in termini di densità volumica
tramite l’uguaglianza:
(1) ,
identificando con la densità di materia
del corpo (newtonianamente intesa), risulta giustificata completamente la
descrizione (e non “definizione nominale”) del concetto di massa esposta nei “Principia”.
Notiamo che il CNM come dato dalla (1) deriva
logicamente dai postulati democritei e dal concetto di grandezza fisica.
Fino a questo momento non ci siamo occupati
della determinazione empirica della massa in casi particolari. Ma, la
relazione (1) già è largamente sufficiente a giustificare molte osservazioni
empiriche che riguardano la natura dei corpi come determinabile
sperimentalmente. L’opera di Archimede, notissima a Newton che lo cita
esplicitamente, legittima pienamente il contenuto di questa affermazione.
Notiamo che i concetti sopra introdotti di
pieno, vuoto, solido, massa, densità, pur appartenendo al regno della pura
logica, non sono costruzioni arbitrarie ma, invece, sono il risultato di
determinate astrazioni di operazioni fisiche, che siamo costretti a fare fin
dalla nascita. Un bimbo, appena capace di esprimersi, “sorprendentemente”,
dimostra di maneggiare con disinvoltura i concetti astratti di pieno, di vuoto
e di solido che ha imparato a conoscere a sue spese nelle sue innumerevoli
quotidiane esperienze. L’insegnante deve abbandonare l’assurda pretesa di
“riempire un sacco vuoto”, perché di fatto il “sacco”, già dai primi anni di
vita, è colmo e stracolmo.
Socrate indicava come semplice metodo
didattico “l’arte del far nascere” contrapponendola a quella del “riempire”.
Ma forse, ed in ultima analisi, è il concetto
stesso di astrazione che bisognerebbe imparare a riscoprire.
Per chiarirne il contenuto in modo efficace
prendiamo, come esempio, il modo con cui il Peano “astrae” il concetto di moto
dal mondo fisico:4
“...L’analisi del concetto di moto e la
determinazione dei postulati fondamentali, si può fare seguendo la solita via.
Si scrivano tutte le proprietà che risultano dall’osservazione del mondo
fisico. Si scindano queste affermazioni in tante affermazioni semplici; e poi
si esamini quali di queste affermazioni sono già implicitamente contenute
nelle rimanenti. Procedendo avanti in questo esame, finché sarà possibile,
troveremo un gruppo di affermazioni esprimenti verità irriducibili tra loro, e
che costituiscono i postulati del moto...”
Si sostituisca alla parola “moto” quella di
“grandezza” e le stesse parole varranno per il concetto di “grandezza”. Lo
stesso dicasi per il concetto di “misura”. Continuando ad operare per
astrazione si otterranno tutti gli elementi necessari del discorso scientifico.
Ma ritorniamo al concetto di massa.
È importante precisare che l’eq. (1) non
rappresenta qui una definizione nominale di massa ma esprime una delle sue
proprietà.
In altre parole, la massa, la densità, il
volume sono grandezze note, tra le quali vale la relazione di eguaglianza data
dalla (1). Allo stesso modo come la lunghezza, la superficie e il volume sono
tre grandezze geometriche distinte che è possibile legare tramite una relazione
di uguaglianza simile alla (1), quando si definiscano opportunamente le unità
di misura.
Fino a questo momento non si è fatto alcun
riferimento alla determinazione empirica della massa di un corpo ma, grazie
all’eq. (1), noi possiamo trattare, dal punto di vista logico, tutti i corpi
come solidi di diversa densità arbitrariamente decomponibili in parti e questo
permette di individuare nel modo più opportuno e pratico un campione di massa
scelto come unitario e stabilire una procedura sperimentale che consenta di
scrivere una relazione del tipo
che si legge: “la massa m (grandezza) è (numero) volte l’unità mu (grandezza)” o in
altri modi equivalenti. Tra questi, il più utilizzato, dice che
rappresenta la misura
di m rispetto al campione dato.
Analogamente si deve procedere per la misura della densità e del volume di un corpo.
Spetta alla fisica sperimentale stabilire
quei metodi che meglio consentano di rappresentare le masse relativamente a
campioni dati.
Durante i millenni della storia gli uomini
hanno elaborato diversi metodi pratici di misura per le tre grandezze fisiche
considerate, tutti corrispondenti ad esigenze concrete e alla possibilità di
reperire campioni opportuni.
Concludo questa prima parte della nota
affermando che la presunta tautologia del CNM è un’invenzione tutta di stampo
empirista derivata dalla inconsistente critica di Mach.
Per un insegnamento elementare della fisica
consiglierei la lettura diretta dei testi di Newton, premettendo una elementere
esposizione della teoria delle grandezze fisiche che Newton riteneva, a
ragione, parte integrante della cultura scientifica.
In questo capitolo discuterò un’applicazione
dei concetti su esposti che ritengo particolarmente istruttiva didatticamente,
ma che ha anche rilevanza per la ricerca.
Partiamo da un’osservazione fatta
nell’Introduzione. È comune opinione ritenere che alcuni degli esperimenti
cosiddetti “cruciali” condotti nei primi decenni di questo secolo hanno
costretto a rivedere radicalmente il concetto di massa newtoniano che viene
“definitivamente” sostituito con quello, qualificato come “più aderente ai fatti”,
di massa “inerziale”. Inoltre, cosa che più ci interessa in questa nota, il
concetto di massa (inerziale) e quello di energia vengono modernamente
“unificati” e si scrive la famosa equazione relativistica:
(2)
in cui E, si dice l’energia totale di una “particella”, m0,
massa a riposo, υ
è la velocità della particella, c una costante universale nota come
velocità della luce nel vuoto.
Ho già fatto alcune considerazioni sulla (2)
in un numero precedente dei quaderni.5
Ora farò vedere che, la relazione
(3)
ovvero:
variazione di energia totale = variazione di massa ´ costante universale
,
si può giustificare, sia nella teoria classica newtoniana che nella
teoria relativistica einsteniana, pur di interpretare il parametro empirico
Δ m in modo opportuno. Questo, ovviamente, significa che le
differenze di massa non possono essere portate né a sostegno né contro la
relatività o la meccanica newtoniana.
Per vedere ciò, introduciamo un’ulteriore
astrazione nella descrizione del mondo fisico già utilizzata con successo dallo
stesso Newton. La massa di un corpo è sempre decomponibile in parti.6
Per quanto detto, si può sempre scrivere la
relazione:
m = m1 + m2 +
… +
mn
con n numero intero arbitrario. Si supponga che gli n
corpi siano sufficientemente distanti, l’uno dall’altro, in modo tale che
possa trascurarsi la loro “dimensione propria” rispetto alla loro “distanza
relativa”.
Un corpo “pensato” come privo di parti si
dice punto materiale o punto – massa. Nel seguito faremo l’ipotesi
che esso si possa considerare, in prima approssimazione, come isolato.
Assegniamo ad ogni parte mi
le relative quantità “dinamiche” :
Pi = posizione del
punto – massa mi
di j = distanza relativa dei punti – massa mi ed mj
vi = vettore
velocità,
ai = vettore
accelerazione,
pi = mi vi =
quantità di moto,
fi = mi ai
= forza acceleratrice o inerziale,
Ti = ½ mi
vi2 = energia cinetica.
Si considerino ora le coppie mi
ed mj con i diverso da j e si introduca il
vettore che chiameremo forza
motrice . La definizione di forza motrice consente di introdurre
un’altra importante funzione, detta energia potenziale:
costante .
Infine, stabiliamo il postulato fondamentale della dinamica di Galilei-Newton (additività delle forze):
f i = F i 1 + F i
2 + … + F i n
Le definizioni su esposte ed il postulato
fondamentale corrispondono ai fondamenti della fisica newtoniana e
rappresentano gli elementi di descrizione del mondo fisico.
Per l’applicazione che mi sono proposto
risultano rilevanti due teoremi fondamentali:
Teorema 1) Per un dato corpo pensato come composto
da n parti, supponendo nullo il vettore , la quantità
,
che
chiamiamo “energia meccanica”, è costante.
Se le velocità vengono riferite al centro di
massa del corpo allora l’energia totale è calcolata rispetto al baricentro e si
indica con E c m . Detta v c m la
velocità del baricentro l’energia totale si può scomporre in accordo al:
Teorema 2) Per
un dato corpo, pensato come composto da n parti, l’energia totale Ea
si può scrivere, ad ogni istante, nella forma:
con
.
Nel seguito scriveremo quest’ultima espressione, per comodità, nella
forma:
(4) Ea
= Ta + δa
.
Dove rappresenta l’energia
cinetica del corpo a pensato come punto – massa. L’esperienza sui
gas ci dice che, sotto opportune condizioni (si pensi ai gas ideali), questo
termine cinetico è il solo contributo energetico praticamente osservabile
(ricordiamo che noi possiamo solo osservare differenze di energie). Il
termine δa = E c m rappresenta l’energia interna del corpo e
rimane molto spesso nascosto all’osservazione fino a quando, sotto opportune
condizioni, riappare con prepotenza. Nelle reazioni chimiche o nucleari
l’energia interna svolge un ruolo determinante.
Considereremo solo due possibili applicazioni
(tra le tante) in cui emerge il ruolo dell’energia interna.
Se un corpo a si scinde in due parti b
e c che si separano fino a raggiungere una distanza relativa tale da
poter trascurare la quantità U a b, allora
applicando la conservazione dell’energia, si ottiene:
Ea = Eb + Ec
che ricorrendo all’ eq. (4) si legge:
(5) (Tb
+ Tc) - Ta = δa - (δb + δc).
Il primo membro di questa ultima uguaglianza si
chiama in fisica nucleare “termine di guadagno energetico” e si indica con il
simbolo Q. Ci adegueremo a questa nomenclatura. Si distinguono due
possibili casi:
(a) δa ³ δb + δc
In questo caso la disintegrazione sarebbe energeticamente
possibile e dell’energia interna “apparirebbe” come energia di moto
macroscopica. Un ben noto esempio ci viene dalla disintegrazione spontanea
dell’uranio. Se la disintegrazione avviene “naturalmente” ovvero senza ricorso
ad artifici tecnici il corpo a si dice instabile.
(b) δa < δb + δc
In questo caso la disintegrazione per
avvenire ha bisogno di una sorgente di energia esterna che riesca a fornire al
corpo a un minimo di energia pari alla differenza di energia interna tra
il corpo b ed il corpo c.
Due corpi a e b, messi a
contatto (urti,...) modificano i loro moti interni tal che può succedere che
parti di a si “attacchino” a b o viceversa. Si suole
schematizzare il fenomeno con l’equazione simbolica: a + b → c + d.
Dopo l’urto al posto dei corpi a e b possono apparire i corpi c
e d. Applicando il teorema di conservazione dell’energia meccanica a
questo caso, si ottiene:
(6) (Tc
+ Td) - (Ta + Tb)
= (δa + δb) - (δc + δd).
Anche in questo caso si applicano le
considerazioni sopra esposte e si distingueranno i fenomeni in processi
“esoenergetici” [caso a)] ed “endoenergetici” [caso b)].
La chimica e la fisica nucleare ci danno
innumerevoli esempi di applicazione dell’eq. (6).
È di vitale importanza nelle applicazioni
conoscere il contenuto di energia interna di un corpo. Ma ciò richiederebbe la
perfetta conoscenza dei moti interni relativi delle sue parti che presuppone la
conoscenza delle forze interne. Sfortunatamente, la descrizione del moto
interno è praticamente impossibile (salvo rari esempi).
Sperimentalmente, invece, le equazioni (5) e
(6) ci danno un modo per misurare le quantità di energia interna misurando
variazioni di energia cinetica. Le misure delle energie interne dei corpi
possono essere tabulate e utilizzate per calcolare o predire il guadagno
energetico di una data reazione comunque complessa. L’energia interna si indica
molto spesso con il nome di “energia di legame”.
La chimica e la fisica nucleare postulano l’esistenza di corpi invisibili piccolissimi detti atomi le cui caratteristiche fisiche vengono scrupolosamente riportate nella famosa tavola periodica degli elementi. Per esempio, un litro di idrogeno ad una data pressione ed ad una data temperatura contiene sempre lo stesso numero di atomi tutti identici tra loro.
Un atomo di una sostanza data (elemento) si
pensa essere costituito da un numero dato di elettroni, punti - massa
di carica negativa orbitanti attorno ad un nucleo (modello planetario),
chiamato “Numero Atomico”, Z.
Il nucleo atomico, a sua volta, si pensa come
costituito da un numero A (“Numero di Massa”) di
punti - massa (“nucleoni”), distinti in Z “protoni”ed
N “neutroni”.7
Indicando con me, mp
ed mn, rispettivamente, le masse di elettrone, protone e
neutrone, per quanto detto sopra, la massa di un atomo m(N, Z)
è per definizione data dalla relazione:
(7) m(N,
Z) = (me + mp) Z + mn
N .
Per le (5) e (6), indicando con ΔE
la variazione di energia cinetica macroscopica e con Δδ la
corrispondente variazione di energia interna microscopica, si può scrivere:
(8) ΔE
= Δδ .
Introduciamo una nuova grandezza m′(N,
Z), che chiameremo “massa efficace”:
(9) m′(N,
Z) = m (N, Z) + .
In altre parole, la massa efficace viene
definita come la somma della massa del corpo e di una quantità proporzionale
all’energia di legame.
La costante c ha le dimensioni fisiche
di una velocità ed è introdotta per motivi dimensionali; il suo valore può
arbitrariamente prendersi come uguale alla “velocità della luce nel vuoto”.
L’equazione (6) allora si può scrivere:
(Tc + Td)
- (Ta
+ Tb) = (m′a + m′b)
- (m′c + m′d)
o anche:
(10) ΔE
= Δ m′ c2 ,
che è formalmente identica all’equazione relativistica massa-energia
come data dalla eq. (3).
Inoltre è chiaro che, grazie alla (9),
possiamo scrivere la formula di cui al teorema 2 (vedi eq. (4)) nella forma:
Ea = Ta + m′ c2 - m c2 .
Poiché m resta, nel corso di una
qualunque trasformazione, rigorosamente costante, dal momento che stiamo
considerando elettroni e nucleoni come particelle elementari e potendosi solo
osservare differenze di energia totale, essa si può omettere e scrivere
semplicemente:
(11) Δ
Ea = Δ Ta + Δ
m′ c2 .
Quindi i risultati sperimentali delle
disintegrazioni nucleari alle basse energie (ovvero dove non occorre invocare
substrutture nucleoniche)8 possono
venire giustificati pienamente dalla teoria newtoniana.
La precedente analisi mostra che gli
esperimenti “cruciali” della fisica nucleare delle basse energie non possono
discriminare tra teoria relativistica e meccanica newtoniana, dal momento che
quegli esperimenti possono venire giustificati in entrambe le teorie.
La “crucialità” degli esperimenti, come
sempre, viene decisa in base ai paradigmi correnti.
NOTE
1.
M. Jammer, Concept of Mass in classical and
modern physics, Harvard University Press, 1961. TORNA
2.
Cfr.
I. Newton, Principi Matematici della filosofia naturale, a cura di
Alberto Pala, UTET, 1965, nota a pag. 92. TORNA
3.
Nel
latino di Newton (Cfr. Vanni, Nuovo Cimento, Vol.V, torno XIII, pag.89.,
come ripreso dalla III edizione dei “Principia” ad opera di Le Seur et
Jacquier): “Quantitas materiae est mensura ejusdem orta ex illius densitate
et magnitudine conjunctim”. Un’altra interessante definizione in latino
trovasi nella raccolta Unpublished Scientific Paper of Isaac Newton,
curata da A.R. Hall ed M. B. Hall e pubblicata dalla Cambridge University
Press 1962: “Quantitas materiare est quae oritur ex ipsius densitate et
magnitudine conjunctim”. TORNA
4.
G.Peano,
Sui fondamenti della geometria, in Rivista di matematica, voI IV, 1894,
pp 51 e segg., vedi anche: G.Peano, Opere Scelte, a cura di U. Cassina,
Ed. Cremonese, Roma, 1958, Vol.III, pag. 142. TORNA
5.
A.
Pagano, Riflessioni sulla didattica della Fisica, in MONDOTRE/QUADERNI, Grandezze
fisiche e numeri matematici, Supp. al Num. 7 Aprile 1991, pag.65. Nello
stesso Quaderno si raccomanda la lettura dei saggi di G. Boscarino e di S.
Notarrigo. TORNA
6. Può risultare empiricamente difficile o persino impossibile decomporre un corpo dato in parti. Ma questa operazione empirica non riguarda la teoria che è solo controllata dalla logica e dal pensiero. TORNA
7. L’idea di atomo come costituito da elettroni, protoni e neutroni è un’astrazione utile per descrivere i fenomeni per i quali non è necessario considerare la struttura interna degli elettroni e dei nucleoni. In pratica la schematizzazione è largamente sufficiente per lo studio della chimica e di gran parte della fisica nucleare. Non ci occupiamo delle masse degli elementi di cui oggi si pensa siano costituiti elettroni e nucleoni (quark, gluoni, ecc.) perché il problema delle loro masse è ancora in altomare nelle odierne teorie quanto-relativistiche. TORNA
8. Si vedano i risultati raccolti dal Bainbridge che ho già avuto moto di discutere nell’articolo di cui alla nota 5. TORNA