GEOMETRIA
E FISICA
G. Boscarino, S. Notarrigo, A. Pagano
Gruppo
Nazionale di Storia della Fisica Unit di Catania
Comunicazione presentata al Convegno Nazionale su
Peano e i
fondamenti della Matematica, Modena. 22-24 Ott. 1991.
Organizzato dallAccademia Naz.le di Scienze,
Lettere ed Arti di Modena
La filosofia di Peano
noto come Peano, con la sua ideografia , abbia portato a
compimento i1 sogno di Leibniz, relativo ad un linguaggio scientifico, privo di
ambiguit, capace di arrivare alle conclusioni per mezzo di un semplice calcolo
simbolico.
Ma anche noto come lo stesso Peano sia
stato tagliato fuori dalle innumerevoli, e a nostro giudizio poco fruttuose,
discussioni sulla cosiddeta crisi dei fondamenti della matematica.
Alcuni pensano che sia stato lo stesso Peano
ad estraniarsi dalla battaglia in corso, ma noi propendiamo verso
uninterpretazione che assegna agli altri il merito o il demerito (a seconda
dei punti di vista, noi siamo per il demerito!) di averlo escluso.
A leggere gli interventi di Peano, cos come
raccolti nelle sue Opere Scelte,1 non c argomento rilevante ai fini di
una discussione, che necessariamente pu solo essere filosofica, sui fondamenti
della matematica, che non sia stato da lui affrontato e, a nostro parere, anche
risolto!2
da riconoscere, per, che raramente si pu
trovare in tali scritti un qualche riferimento agli argomenti che, almeno cos
a noi sembra, pi appassionavano partecipanti alla disputa. Argomenti che,
tuttavia, sono ancora i principali ingredienti dellodierna metamatematica.
Nasce, allora, il problema di capire
lessenza della filosofia di Peano che, necessariamente, doveva essere cos
dissimile dalle altre che si contendevano il campo, in apparente aperto
contrasto tra loro.
Parliamo di contrasto solo apparente perch
una particolarit le accomunava e che drasticamente le differenziava dalla
filosofia di Peano.
La particolarit in comune, tanto per darle un
nome, la chiamiamo modernismo,
in quanto opponentesi al classicismo
difeso dal Peano.
Il paradigma del modernismo si era
manifestato, gi molto tempo prima, come del resto ovvio che doveva essere,
nella letteratura, nella filosofia senza altri aggettivi, e successivamente
nelle scienze, prima fra tutte nelleconomia politica, ed ha poi investito
tutte le altre scienze, logica, matematica e fisica comprese.3
Ma non vogliamo qui toccare questi punti atti
a far degenerare ogni discussione, caricandola di emozioni di non facile
controllo. Del resto, lanalisi di questi rivolgimenti stata fatta da molti,
a partire da Marx, ed oggi opinione quasi generale che le cause sono da
ricercare fuori dal contesto puramente scientifico, essendo rilevanti ed
essenziali i fattori socio-economici.
Quindi ci limiteremo a fare un discorso un
po pi neutrale e pi adatto allAccademia di cui, peraltro, siamo parte.
C un punto sul quale tutti si dichiarano
daccordo: c il mondo dei sensi e c il mondo della ragione. Ma laccordo
cessa immediatamente quando si tratti di stabilire in che misura il discorso
scientifico debba fare appello alluno o allaltro dei due mondi. La
discussione su questo dilemma diventa, parafrasando Popper, un terzo mondo.
Le risposte a tale problema sono sempre state
le pi varie fin dai tempi pi antichi;4
e sempre hanno oscillato fortemente tra due posizioni estreme, luna che
identifica la realt con il mondo delle sensazioni informi (il caos), laltra
con il mondo ordinato per mezzo della ragione (il cosmos).
Le posizioni di compromesso sono sempre
apparse difettose e non coerenti, specialmente nella fisica e nelle altre
scienze che devono fare riferimento ai fatti empirici; ma, anche, nella logica
e nella matematica.
Esaminiamo, p. es., le posizioni
epistemologiche di Einstein. Da un lato egli fa appello ad una particolare
interpretazione del cosiddetto metodo ipotetico-deduttivo,
che secondo lo stesso Einstein dovrebbe ricevere la sua validit, solamente
a posteriori, dalla verifica empirica delle conseguenze matematiche delle
ipotesi; ma, dallaltro lato, per giustificare le sue ipotesi fa appello, a
priori, a dei fatti empirici complessi, difficilmente analizzabili in termini
di elementi, intesi come quei
mattoni, i pi adatti, per la costruzione delledificio teorico.5
Un altro tipo incoerente di compromesso fa
appello ad unerrata interpretazione del cosiddetto operativismo di Bridgmann, nella falsa idea che, a partire dalle
grandezze operativamente definite e dalle relazioni tra di esse empiricamente
trovate, si possa costruire una teoria matematica onnicomprensiva, come, p.
es., capita nella pi popolare interpretazione della meccanica quantistica.
Lo stesso problema si ripresenta, anzi si era
gi prima presentato, nella matematica e nella logica. Il problema dei
fondamenti della matematica e degli assiomi della logica, a nostro avviso, non
consiste, e non mai consistito, nel cercare i mattoni pi adatti, ma quello
di decidere preventivamente luso che se ne voleva fare.
Se la matematica dovesse solo servire ad
organizzare il discorso delle altre scienze, allora il problema dei fondamenti
non si porrebbe affatto. Basterebbe usare la medicina gi proposta da Peano6:
Lanalisi
del concetto di moto e la determinazione
dei postulati fondamentali, si pu fare seguendo la solita via. Si scrivano
tutte le propriet che risultano dallosservazione del moto fisico.
Si scindano queste proposizioni in tante affermazioni semplici; e poi
si esamini quali di queste affermazioni sono gi implicitamente contenute nelle
rimanenti. Procedendo avanti in questo esame, finch sar possibile, troveremo
un gruppo di affermazioni esprimenti verit irriduttibili tra loro, e che
costituiscono i postulati del moto.
Qui Peano si riferisce al moto fisico ma la
stessa ricetta, laveva suggerita con parole solo leggermente diverse, e,
soprattutto, laveva concretamente usata, per determinare i postulati della
geometria, dei numeri e, persino, della logica:7
Nel
Formulario, la logica matematica viene adoperata esclusivamente come strumento
per esprimere e trattare le
proposizioni della matematica usuale; e non fine a
se stessa; essa viene spiegata in 16 pagine; unora di studio sufficiente per
sapere tutto quello che necessario
per applicare la nuova scienza della logica alla matematica.
Per cui gli stessi assiomi dei numeri interi8 vengono as tratti con lo stesso metodo sopradescritto (Peano, dice, pi
precisamente che se ne definiscono le propriet per mezzo di una definizione per astrazione)
a partire dalle operazioni elementari che compiamo nel misurare le
grandezze fisiche per confronto diretto.
Ma, per chi volesse liberare la matematica dalla schiavit verso la fisica, come
hanno voluto fare Cantor e Dedekind,9
abbandonando definitivamente il supporto delle grandezze fisiche,
bisogner pur che trovi una soluzione al problema della coerenza degli assiomi!
Specialmente quando si volesse continuare a parlare dellinfinito e
degli infinitesimi10.
Ma al programma hilbertiano, come tutti
dicono, stata sbarrata la via dal Gdel, ed allora si ricorre a sotterfugi
formali che, sul piano dei significati, ammontano semplicemente a ripristinare
lambiguit tra due idee ben diverse che Peano aveva
nettamente distinto introducendo due diversi simboli, e .
Vediamo, invece, come Peano risolve il
problema dei fondamenti della logica, della matematica e della fisica, tutte
insieme.
La sua soluzione pu essere riassunta col
dire: non c niente da cambiare o da inventare sulle grandiose conquiste di
Democrito, Eudosso, Euclide, Archimede, Galilei, Newton. Resterebbe solo da
inventare un linguaggio (o meglio, unideografia) adeguato per poterle
esprimere senza alcuna ambiguit. Il suo calcolo simbolico perfettamente
adeguato e sufficiente.
Ma qual e la comune filosofia di questi
illustri scienziati che abbiamo nominato?
1) Logica,
matematica e fisica non sono separabili e sono la scienza.
2) Il
linguaggio della scienza non puo essere il linguaggio comune, n una sua
semplice estensione, in quanto, il primo fa riferimento al cosmos, creato dalla ragione ed il secondo al caos, prodotto dalle sensazioni.
3) Il
contatto tra i due linguaggi necessario allinizio del processo di costruzione
della teoria, allo scopo di poter determinare gli assiomi, ma sempre a partire
dalle pi semplici ed elementari operazioni fisiche; ed ancora necessario
alla fine, per la spiegazione dei fatti empirici, siano questi il prodotto di
semplici osservazioni o di raffinati esperimenti. Per determinare gli assiomi
non si pu partire, da fenomeni complessi, la spiegazione dei quali, invece,
deve essere proprio il risultato finale della teoria.
4) La coerenza della teoria, sia essa logica,
matematica o fisica, assicuarata dalla adeguatezza degli assiomi alle
fattibili operazioni fisiche elementari. Lindipendenza di ogni singolo assioma
si pu solo accertare se vi sono modelli fisici concreti e funzionanti che
obbediscano a tutti gli altri assiomi della teoria ma falsificano quello di cui
se ne vuole provare lindipendenza. Per quanto riguarda la completezza,
nessuno potra mai sapere nemmeno cosa mai significhi, se non in relazione ad un
determinato campo fenomenico.
Con tali ricette, gli antichi non potevano
mai inventare la metamatema tica, dal momento che non ne sentivano il bisogno.
Si pu concludere, anche, che gli antichi, e
Peano con essi, non sentivano il bisogno della fisica matematica, intesa come la matematizzazione della
fisica; dal momento che, in modo del tutto naturale, andavano sviluppando una matematica fisica,
cio quella matematica modellata sulle operazioni fisiche, e non riuscivano
a concepire nessun altro tipo di matematica, specialmente di quella che si fa
discendere dagli imperativi deontologici che nascono dalle filosofie platoniche
o aristoteliche.
Come illustrazione delle tesi qui sostenute,
mostriamo ora alcune conseguenze che si possono tirare dallimpostazione del Calcolo Geometrico di Peano.
Peano fa risalire a Leibniz il primo
tentativo nella direzione di unalgebrizzazione degli enti geometrici, che non
facesse uso della intermediazione delle coordinate, e nota che,
successivamente, sono state sviluppate diverse specie di calcolo geometrico.
I pi interessanti, a suo giudizio, sono il Calcolo baricentrico di Mbius (1827),
quello delle Equipollenze di
Bellavitis (1832), quello dei Quaternioni
di Hamilton (1853) e, infine, il calcolo geometrico del Grassmann (1844),
questultimo basato sul concetto di forma
esterna e di prodotto esterno tra
forme.
Tuttavia tali opere, la cui importanza solo
recentemente comincia ad essere riconosciuta in alcuni settori della fisica
matematica, non hanno trovato, fino ai nostri tempi, molto favore, n tra i
fisici, n tra i matematici.
Maxwell si permise di usare il calcolo
quaternionico di Hamilton nel suo famoso trattato sulla teoria
dellelettromagnetismo; ma, da un lato, si limitato ai quaternioni retti (che
oggi si usa, impropriamente, chiamare vettori) e, dallaltro, li ha usati nel
linguaggio delle coordinate, sminuendone, cos, la portata innovativa.
Come noto, intorno al 1888, tutta la
materia stata ripresa dal Peano,11
semplificata nella forma e nei simboli e unificata sulla base del pi
comprensivo calcolo del Grassmann; ma, soprattutto, riscritta in forma assoluta, cio in modo
indipendente da qualunque sistema di coordinate e da qualunque sistema di unit
di misura.
Ma nemmeno tale importantissima opera ebbe
successo, se non in minima parte e ad opera di alcuni collaboratori del Peano
che hanno estratto, dal sistema completo di calcolo, quello che essi chiamavano
il sistema minimo,
che oggi universalmente conosciuto come calcolo vettoriale.
Tuttavia tale calcolo, impostosi in passato
soprattutto tra i meccanici razionali, veniva accettato solo nella sua forma
simbolica, ma, sostanzialmente, tradito nei suoi intendimenti, quali venivano
propugnati dai suoi principali sostenitori, come Burali-Forti, Boggio,
Burgatti, Marcolongo, Bottasso, Pensa, ecc. che condussero una lunga battaglia
con scritti fortemente polemici.
Il succo di tale polemica ha una notevole
rilevanza per i metodi e il ruolo della fisica teorica.
Nellidea di Peano e dei suoi collaboratori,
il calcolo aveva valore in quanto si poteva con esso parlare della realt cos
come ce la rappresentiamo nella nostra mente. Gli enti di cui parliamo (punto,
retta, segmento, massa, forza, ... ), noi li pensiamo indipendentemente dal
sistema di coordinate; e i numeri che esprimono il risultato delle nostre
misure sono solo lultimo atto; tali misure vengono effettuate sempre in
relazione a ben determinati sistemi di riferimento che sono i pi vari, a
seconda del caso concreto, e spesso non i pi semplici dal punto di vista della
matematica.
Se una relazione vale per gli enti, essa deve
valere in tutti i possibili sistemi di coordinate e per tutti i possibili
sistemi di unit di misura, e quindi la notazione deve essere tale da non avere
bisogno di una tale esplicita simbolizzazione, la quale, invece, risulta
assolutamente necessaria quando la relazione viene espressa mediante le
coordinate.
La maggior parte degli utenti, invece,
accettava le relazioni tra simboli (rappresentanti gli enti) come semplici tachigrafi delle coordinate, e
riconosceva come reali solo le misure, almeno a parole, ma nei fatti solo
i numeri, confondendo le misure con le misurazioni; cose tra le quali esiste una differenza
concettuale incolmabile, in quanto le prime sono semplici numeri e le seconde,
invece, ben determinate operazioni fisiche. Alcuni effetti di tale confusione
si registrano nella attuale (ma nello stesso tempo antichissima) problematica
relativa ai concetti di spazio, tempo e movimento.
Negli ultimi tempi, alcuni fisici matematici,
ognuno per conto suo e fuori dal paradigma dominante, sono andati riscoprendo
chi il calcolo quaternionico di Hamilton, chi, e sono i pi, il calcolo delle forme esterne del Grassmann; ma, ancora
una volta, nel linguaggio delle coordinate (quando non possibile farlo
globalmente si ricorre a carte e atlanti) e laggettivo assoluto (sempre lui!), che dai
peaniani (chiamiamoli cos) veniva inteso come indipendente dal sistema di coordinate prescelto (che comprende
anche lassegnazione delle unit di misura prescelte) ora viene inteso come indipendente dallo spazio euclideo in cui
pu sempre essere immerso che, automaticamente (e senza ragione), si
traduce con eventualmente non-euclideo,
dal momento che non si fa pi il bench minimo riferimento alle unit
di misura12.
Va notato, tuttavia, che questi approcci moderni (ma, piuttosto, bisognerebbe dirli antichi anche se sconosciuti) allo studio della meccanica hamiltoniana rappresentano un notevole progresso metodologico rispetto ai metodi che ancora si ritrovano su quasi tutti i libri di testo di meccanica classica, dove lo spazio delle fasi viene assimilato ad uno spazio euclideo; quando che, invece, non assolutamente possibile definirvi alcun concetto di distanza.
Nei nuovi approcci, si dice che un sistema
hamiltoniano viene descritto nello spazio delle fasi, il quale ha struttura di variet simplettica, la quale ultima viene contrapposta
alle variet riemanniane. Ma poi si
continuano tranquillamente a sommare impulsi con coordinate o anche vettori con
multivettori di qualunque grado, come si pu vedere, p. es., nei libri citati
nella nota successiva.
Strana situazione questa: si chiamano non
euclidei degli spazi (?), che si possono sempre immergere nello spazio fisico
(sempre euclideo per le definizioni di distanza, di area e di volume) e si
fanno diventare euclidei degli spazi (?) che non lo possono mai essere se il
termine grandezza fisica deve continuare
ad avere un qualche senso!
Data lartificiosit e lastrattezza di
questi approcci moderni alla meccanica13,
pensiamo che, almeno nella didattica, sia preferibile riprendere largomento a
partire direttamente dal livello, gi abbastanza alto, raggiunto dal Peano.
Peano cerc di fare un po di propaganda in
favore del suo calcolo geometrico per gli usi della fisica; ma, come ben
noto, fu bruscamente fermato, anche a causa della ben nota polemica col
Volterra.
Nella sua prima esposizione, gi citata nella
nota 11, Peano vi fa precedere un capitolo sui simboli della
logica, che, a quella data, non hanno ancora raggiunto la maturit che si
ritrover poi nel Formulario;
e, per gli enti geometrici, usa dei termini che saranno successivamente
modificati nel Formulario,
probabilmente per evitare di confonderli con i diversi significati che,
agli stessi termini, venivano usualmente attribuiti.
Per tale ragione, noi useremo i termini del Formulario e, dato il nostro scopo, ci
permetteremo di modificare lordine della presentazione ed alcuni simboli, e
anche di estenderne le conseguenze dal punto di vista della fisica, ma sempre
nello spirito della filosofia di Peano, come sopra labbiamo delineata; ma,
naturalmente, senza dare dimostrazioni, per le quali rimandiamo alle opere di
Peano e dei suoi collaboratori.
Ma, prima di tutto, faremo uso delle idee (cio dellideografia,
ma senza la grafia!)
di Peano per ricostruire lidea della meccanica che, a nostro giudizio, si
era andata sviluppando negli ambienti pitagorici, per arrivare alla sintesi
archimedea, alla quale fa esplicito riferimento il Galilei, per poi culminare
nella grandiosa opera di Newton, il quale sembra, addirittura, che attribuisse
ai pitagorici la stessa idea della legge dellinverso del quadrato delle
distanze.14
Partiamo dalla teoria dei contrari o, in
linguaggio moderno, delle propriet complementari, come professata dai
pitagorici, che esporremo alla luce delle precisazioni parmenidee e con laiuto
dellideografia peaniana.
Per i pitagorici la realt niente altro che
la ricostruzione razionale delle impressioni sensoriali che sono solo
apparenza. Noi, certamente, inventiamo le propriet a partire dal dato dei
sensi ma poi, nella ricostruzione razionale, sono le propriet che devono
costituire lelemento primario,
il principio. Gli individui possono
solo essere definiti per mezzo di esse, e non viceversa, come in seguito hanno
potuto pensare Aristotele e Russell (per citare solo i capiscuola pi
influenti).
Se di qualche individuo asseriamo
semplicemente che , abbiamo semplicemente enunciato la banalit, che lunica
propriet che lo caratterizza quella di essere,
nel senso parmenideo del termine. Ma questa propro lunica propriet il
cui complemento non pu avere individui. In altre parole la propriet
complementare dellessere niente altro che la propriet assurda, il nulla di Parmenide.
Quindi, ogni altra propriet, se non quella
banale di essere o quella assurda
di non essere,
deve essere non vuota e anche la sua complementare deve essere non vuota.
Per brevit, nel seguito, indicheremo
lessere con il simbolo , e il non essere con .
Se inventiamo la propriet di essere fisico ed asseriamo che essa
non coincide n con , n con , devono necessariamente esistere individui
non fisici. Per caratterizzare gli individui fisici, assegnamo ad essi la
propriet dellestensione, che possiamo definire geometricamente mediante una
relazione tra gli individui dellessere fisico.
Per caratterizzare ulteriormente lessere
fisico, facciamo unaltra dicotomizzazione inventando la materia=ente=atomo e la non
materia=non ente=niente=vuoto; attribuendo alla materia il movimento.
Gli individui dellessere fisico li chiameremo punti, quelli
della materia punti materiali. Un corpo un sistema di punti materiali.
Consideriamo un corpo di N punti materiali dello spazio fisico, che indichiamo con (i=
1,2...,N).
Porremo ,
essendo mi la
massa di
e Pi
il punto geometrico in cui immaginiamo localizzata la
massa.
Chiamiamo sistema meccanico linsieme
di tali punti materiali.
Indicheremo tale sistema con la scrittura:
(*) .
Il sistema costituito da due soli punti
materiali ,
, sara:
.
Il significato del segno + e del segno di
sommatoria nella (*), convenzionale,
tuttavia supporremo che tale operazione goda della propriet commutativa
e della propriet associativa:
,
,
Faremo pure lipotesi:
mi Pi = Pi mi .
Permetteremo, naturalmente, che un sistema
meccanico possa anche essere costituito da un solo punto materiale.
Se un sistema meccanico di N
punti materiali,
, scriveremo, per esso, anche:
.
Chiameremo , la
massa del sistema e
,
il baricentro del sistema.
Daremo significato al prodotto di due punti
geometrici A, B,
e lo scriveremo semplicemente AB,
sottintendendo il segno delloperazione prodotto.
Il significato
di AB sar per noi:
AB un
segmento di retta limitato dai punti A e B e orientato da A verso B.
Lo chiameremo semplicemente bipunto.
La lunghezza di AB la indicheremo con | AB | = | BA |.
Da questa definizione ne viene che il nostro
prodotto deve essere anti-commutativo, cio:
AB
= BA ,
ma assumeremo che sia anche associativo:
A(BC) = (AB)C = ABC ;
per cui daremo significato anche al prodotto di tre punti:
ABC il
triangolo di vertici A, B, C e di area | ABC | che penseremo orientata, immaginando che tale area venga descritta da
AP con P che descrive BC da B verso C.
Lo chiameremo tripunto.
Questa regola di orientazione viene ad essere
daccordo con lanticommutativit del prodotto tra punti:
ABC = BAC
= BCA.
Analogamente, possiamo dare significato anche
al prodotto di quattro punti:
ABCD il
tetraedro di vertici A, B, C, D e di volume | ABCD |, che penseremo orientato, immaginando che tale volume venga descritto
da ABP con P che descrive CD da C verso D.
Lo chiameremo quadripunto.
Se il nostro spazio lo spazio fisico, esso
avr solo tre dimensioni e quindi converremo che il prodotto di cinque o pi
punti sia sempre nullo.
Converremo, anche, che il rapporto tra due
quadripunto sia un numero reale che rappresenti, in valore e segno, il rapporto
tra i volumi dei due tetraedri corrispondenti.
Allora, fissato un volume unitario,
secondo le convenzioni sui sistemi di misurazione coerenti, ABCD pu rappresentare, a seconda dei
casi, sia il volume orientato che il numero che ne costituisce il valore.
ABCD
= 0 significher, allora, che i
quattro punti sono complanari.
E quindi, significher anche: A giace nello stesso piano di BCD; le rette su cui
giacciono, rispettivamente, AB e CD si incontrano in un punto o sono
parallele, e cos via di seguito.
Diremo che due quadripunto sono uguali se i
loro volumi orientati sono uguali, cio, quando, essendo u il volume
unitario, si ha, per definizione:
.
Quindi, il segno =, posto tra i due quadripunto, non si deve intendere come unidentit logica, ma come unequivalenza che fa riferimento solo ai volumi orientati e non alla posizione effettiva dei tetraedri nello spazio fisico.
Perci, ha senso sommare due quadripunto per
ottenere un terzo quadri punto, che pu essere nullo, nel caso che i due
quadripunto abbiano volumi eguali ma siano di segno opposto.
In altre parole, ponendo lunit di volume =
1, i quadripunto si comportano come dei numeri reali.
Ed ha senso una loro qualsiasi combinazione
lineare:
(**) ,
dove v e
i vi sono quadripunto e gli ai sono dei numeri reali.
Dalle precedenti convenzioni deduciamo che se
A un tripunto e A e
B sono punti, allora
luguaglianza:
significher che AB
parallelo adA . Cos,
BA .
significher che A e B
stanno dalla stessa parte rispetto al piano su cui giace A ; e,
se il rapporto precedente invece negativo, allora A star da una parte e B dallaltra
rispetto al detto piano.
Se α e β sono
bipunti, ovviamente sar:
αβ = βα ;
cio, il prodotto tra bipunti commutativo.
Per definizione, diremo che un tripunto, A ,
nullo (A = O), se qualunque sia il punto P, si ha
A P=0 .
Il che significa che larea del triangolo
corrispondente nulla; se A = ABC =
0 i tre punti A, B, C, sono collineari, cio,
stanno sulla stessa retta; se α e un bipunto, Aa = 0 , significa che il punto A giace sulla retta su cui giace α.
Per definizione, diremo che due tripunti sono
uguali (A = B ) se per qualunque punto P si ha:
A P= B P .
Dal che si deduce che condizione necessaria e
sufficiente affinch due tripunti siano uguali che giacciano sullo stesso
piano e che abbiano la stessa area orientata, indipendentemente dalla loro
posizione relativa nel loro piano.
Se A e
B sono punti e α un
bipunto, luguaglianza
α A = α B ,
significher che α e AB
sono paralleli.
Un bipunto α si dice nullo (α
= 0) se, qualunque sia il bipunto ξ si ha: α ξ = 0.
Se ne deduce che la lunghezza del segmento
nulla; o, anche, che AB = 0 significa che i due punti A e B
sono coincidenti, cio in pratica sono lo stesso punto.
Per definizione, due bipunti si dicono uguali
(α = β) se per qualunque bipunto ξ si ha: α
ξ = β ξ .
Se ne deduce che condizione necessaria e
sufficiente perch due bipunti siano uguali che giacciano sulla stessa retta
e che le loro lunghezze orientate siano uguali.
Quindi AB
= AC significher che B e C sono coincidenti.
Due punti sono uguali solo se essi
coincidono.
Ne segue che, per due punti materiali e
, scrivere
, significher che essi sono nello stesso
punto geometrico ed hanno la stessa massa. Mentre, se con gli stessi due
simboli indichiamo due sistemi meccanici con pi punti materiali, luguaglianza
tra i simboli significher che i due sistemi hanno lo stesso baricentro e la
stessa massa totale; in particolare, se il sistema si muove (il movimento si
deve intendere solo come movimento relativo tra i punti del sistema, non avendo
alcun significato il movimento rispetto ad uno spazio assoluto in quiete
assoluta, ch non abbiamo alcun modo di verificare),15 allora il sistema meccanico, per come formalmente
definito, resta uguale a se stesso, indipendentemente dalla posizione relativa
dei singoli punti durante il moto.
Da quanto detto risulta che si pu sempre
dare un significato ad unespressione simbolica come la (**) della pagina
precedente:
1) Se i vi
sono punti geometrici e gli ai , sono i valori delle
masse che si immaginano in essi concentrate, allora v rappresenta il punto materiale corrispondente al baricentro del
sistema meccanico in cui si immagina concentrata la massa totale del sistema.
Ma possiamo, anche, pensare che gli ai siano i valori delle
cariche elettriche che si immaginano concentrate nei punti vi ,
allora v pu rappresentare il
centro delle cariche. Ma notiamo che, in questo caso, la somma delle cariche
pu risultare nulla, in quanto le cariche possono essere sia positive che
negative; in tal caso, il centro delle cariche non pu essere individuato, e
tuttavia si pu dare un significato allente v anche in questo caso degenere. Quindi consideremo, in astratto,
lespressione (**) e, se i vi
sono dei punti geometrici, allora diremo che v una formazione geometrica
di primo grado.
2) Se i vi
sono dei bipunti, dal punto di vista geometrico (cio, se si considerano solo
le grandezze geometriche: angoli, lunghezze, aree e volumi), v rappresenter la somma di N segmenti
orientati che, generalmente, un segmento orientato. Ma, anche qui, si pu
avere una degenerazione, nonostante la quale, si riesce tuttavia a dare un
significato geometrico (o anche fisico a seconda del significato degli ai)
allente v. In astratto: se i vi sono dei bipunti, allora
diremo che v una formazione
geometrica di secondo grado.
3) Se i vi
sono dei tripunti, a meno della solita possibile degenerazione, allora v rappresenter unarea orientata (o, a
seconda del significato degli ai , qualche altra grandezza
fisica dipendente linearmente dallarea) e, poich anche in questo caso si pu
dare significato alla situazione degenere, in astratto, parleremo di formazione
geometrica di terzo grado.
4) Se i vi
sono dei quadripunto, v sar
sempre un volume, il caso degenere non ha alcun interesse, perch viene ad
essere semplicemente un volume nullo (ci dipende dal fatto che abbiamo assunto
che lo spazio fisico ha solo tre dimensioni, il risultato sarebbe diverso in
spazi astratti con pi di tre dimensioni; spazi che spesso vengono considerati
in fisica). In astratto: se i vi
sono quadripunto diremo che v una formazione geometrica di quarto grado.
Riassumendo:
Due formazioni della stessa specie si possono
sommare per dare origine ad unaltra formazione della stessa specie (la specie
decisa dal significato degli ai , la quale pu solo essere
decisa operativamente; la stessa specie implica lo stesso grado ma non
viceversa), ed esse si possono moltiplicare per un numero, restando della
stessa specie e quindi anche dello stesso grado.
Quindi se S ed S ′ sono formazioni della stessa specie e
se a e b sono numeri si ha:
Due formazioni di qualunque grado possono
moltiplicarsi fra loro (termine a termine) di modo che se S e T sono, rispettivamente, di grado s
e t (naturalmente s + t
4) si otterr una formazione
di grado s + t .
Possiamo considerare i numeri reali come
formazioni di grado zero, cio rapporti di grandezze della stessa specie.
Se R,
S, T sono formazioni di specie opportuna si ha:
R (S+T) = RS + RT
,
(S+T) R = SR + TR ,
R (ST) = (RS) T = RST
,
e, se a un numero:
(aR) S = R (aS) = aRS
.
Se R =
S e R ′= S ′ ,
allora si avr: R R ′= S S ′
.
Nel seguito chiameremo massa, la somma
dei coefficienti delle formazioni di primo grado, indipendentemente dal
significato fisico dei coefficienti numerici della formazione; questo ci
permesso per il fatto che, nello sviluppare il calcolo algebrico che abbiamo
istituito, ci occuperemo solo di relazioni puramente formali.
Ai nostri fini, enunceremo solo alcuni
teoremi, naturalmente senza le dimostrazioni, che sono date nella citata opera
di Peano.
Se A e B sono
punti, e a, b sono numeri, tali che a+b 0, allora esiste sempre un unico punto C tale
che (a + b)C = aA + bR.
Se, in particolare, a e b
sono masse, C il baricentro del
sistema costituito dai due punti materiali aA e bB.
Come corollario, si ha che se tre punti A, B, C sono allineati, allora si
possono sempre trovare due numeri, a, b, tali
che (a + b)C = aA + bB.
Per cui possiamo enunciare il seguente
inportante teorema:
Qualunque
formazione di primo grado di massa non nulla si pu sempre ridurre, in un modo
solo, a un punto solo (baricentro) moltiplicato per un coefficiente numerico
(massa).
Ma vediamo che succede se la massa nulla
(caso ovvio quando, con il termine generico massa, vorremo intendere carica
elettrica o massa magnetica).
Sia una formazione di primo grado e sia
; preso ad arbitrio un punto Q, possiamo sempre scrivere:
Ma la formazione entro parentesi ha massa 1 e
quindi per il teorema precedente riducibile ad un punto P con coefficiente unitario.
Quindi .
Chiameremo vettore la differenza di
due punti.
Si pu dire che una formazione di primo grado
degenera nel punto allinfinito (cio nel punto improprio); pi precisamente,
in una direzione, un verso e una lunghezza.
Un altro possibile significato geometrico per
una generica formazione di primo grado quello di una stella di rette nello
spazio; rette passanti per un punto (in effetti si tratta di segmenti
orientati, obbligati a scorrere sulle rette della stella; ma, in geometria
proiettiva, si fa astrazione dalle lunghezze, come anche dalle aree e dai
volumi). Tale stella degenera in un fascio di rette parallele (punto
allinfinito) quando la massa tende a zero.
Quindi:
Una
formazione di primo grado con massa nulla sempre riducibile, in un sol modo,
a un vettore.
E quindi:
Una
formazione di primo grado sempre riducibile a un punto con massa o a un
vettore (la
disgiunzione si deve intendere esclusiva).
importante notare la differenza tra un vettore,
il quale una formazione di primo grado, e un bipunto che, invece, una
formazione di secondo grado: il primo caratterizzato da una lunghezza, una
direzione e un verso; il secondo caratterizzato da una lunghezza, una retta e
un verso.
Due vettori paralleli con la stessa lunghezza
e con lo stesso verso sono lo stesso vettore, non cos per due bipunti che,
invece, saranno lo stesso bipunto solo se stanno sulla stessa retta (tuttavia,
luguaglianza si ha indipendentemente dalla loro specifica posizione sulla
retta).
Se a, b, c, u
sono quattro vettori dello spazio, sempre possibile trovare tre numeri p, q, r
tali che si possa scrivere:
u = pa + qb + rc .
Se S un punto la cui distanza da PQR uguale allunit di misura, che
stata stabilita per le lunghezze, allora il rapporto
rappresenta la distanza del punto A
dal piano di PQR,
presa col segno + o col segno -, a seconda che A ed S stiano dalla stessa parte
o da parti opposte rispetto al piano di PQR.
***
Se AB
un bipunto, diremo vettore di AB ,
il vettore B - A.
Per definizione, porremo:
| B - A | = | AB | .
Ogni bipunto si pu sempre considerare come
il prodotto Aa di un punto A
per il suo vettore a. Infatti baster porre B = A + a e si
avr:
AB = Aa .
Ogni bipunto si pu sempre considerare come
la somma di pi bipunti con coefficienti unitari.
Con il calcolo geometrico su esposto si pu
risolvere qualunque problema di fisica o di geometria in forma simbolica
assoluta, cio senza bisogno di menzionare le coordinate; come, al contrario,
necessario fare in geometria analitica. Anche se, quando si vuole, si possono
sempre introdurre esplicitamente le coordinate.
Ma enunciamo altri importanti teoremi.
Qualsiasi
bipunto si pu trasformare in un altro bipunto avente per origine un punto
arbitrario della retta del primo e per vettore quello del bipunto dato.
La somma di
pi bipunti con la stessa origine un bipunto che ha la stessa origine ed il
cui vettore la somma dei vettori dei bipunti dati.
La somma di
un qualsivoglia numero di bipunti, le cui rette passano per uno stesso punto,
un bipunto passante per detto punto e che ha per vettore la somma dei vettori
dei bipunti dati.
La somma di
due bipunti paralleli, ma con la somma dei loro vettori non nulla, riducibile
a un bipunto parallelo ai primi due ed il suo vettore la somma dei vettori
dei due bipunti dati.
In conclusione, raccogliendo tutti i
risultati precedenti:
Qualsiasi
formazione di secondo grado, in un piano, con la somma dei loro vettori non
nulla, sempre riducibile a un solo bipunto il cui vettore la somma dei
vettori dei bipunti della formazione; se i bipunti della formazione sono tutti
paralleli, lorigine sar il baricentro delle origini, avendo preso, come
masse, numeri proporzionali alle lunghezze dei vettori partecipanti alla somma;
se la somma dei vettori nulla, la formazione sempre riducibile alla somma
di due bipunti aventi vettori uguali e di segno contrario, uno dei due bipunti
si pu assegnare ad arbitrio nel piano (in meccanica si chiama coppia, qui la
chiameremo bivettore, perch si pu intendere sempre come il prodotto di
due vettori).
Notiamo che un bivettore si pu anche
rappresentare come la somma dei tre bipunti che si possono individuare in un
dato tripunto e che tale somma non e il perimetro di quel triangolo che
corrisponde al tripunto ABC;
il perimetro infatti: | AB |
+ | BC | + | CA | .
Diremo che un vettore a parallelo ad
un bivettore bc se i vettori a, b, c sono paralleli ad
uno stesso piano; cio, se abc = 0.
Diremo che due bivettori ab e cd sono paralleli se a, b,
c, d sono paralleli ad uno stesso piano; cio, se abcd =
0.
Tutto questo ci permette di dire che una
formazione di secondo grado, il cui vettore sia nullo, degenera in una retta
allinfinito o, che la stessa cosa: un fascio di piani attorno ad una retta,
degenera in un fascio di piani paralleli orientati e di data giacitura, che pu
essere individuata da un vettore normale a detti piani.
Vale, naturalmente, lo stesso discorso che
abbiamo fatto nel caso dei vettori, cio: anche se in geometria proiettiva non
sono definite lunghezze, areee e volumi, per cui siamo autorizzati ad usare il
linguaggio precedente, bisogna ricordare che il bivettore rappresenta larea di
un triangolo con una giacitura ed un verso; la differenza con un tripunto che
questultimo obbligato a stare in un piano determinato, mentre due triangoli
con la stessa area, con lo stesso verso e con la stessa giacitura sono
rappresentati dallo stesso bivettore, quindi se spostiamo un triangolo
parallelamente a se stesso il bivettore corrispondente non muta, mentre il
tripunto corrispondente varia (tuttavia, il tripunto rester immutato se il
triangolo si sposta sullo stesso piano).
Si pu enunciare la proposizione seguente:
La somma di
quanti si vogliano bivettori nello spazio sempre riducibile ad un solo
bivettore.
Raccogliendo i risultati precedenti possiamo
affermare:
Una
formazione di secondo grado nello spazio sempre riducibile ad un bipunto
avente origine in un punto arbitrariamente scelto ma con vettore (che potrebbe,
eventualmente, anche essere nullo) che la somma dei vettori della formazione,
pi un bivettore (che potrebbe, eventualmente, anche essere nullo).
Cio, se una formazione di
secondo grado allora pu sempre porsi:
,
dove α un bipunto e A un
bivettore.
Quindi:
Una
formazione di secondo grado sempre riducibile alla somma di due soli
bipunti.
In meccanica le forze sono rappresentate da
bipunti; allora, con questo nuovo significato concreto per gli astratti bipunti
(notiamo che stiamo usando gli aggettivi concreto e astratto con significato
relativo, come necessario nella scienza), le conclusioni precedenti possono
essere ritradotte:
Un qualsiasi
sistema di forze pu essere sostituito in infiniti modi con la somma di due
sole forze; si pu prendere ad arbitrio la retta dazione di una delle due
forze purch la somma dei momenti delle forze del sistema (cio la somma delle coppie,
o momento totale delle forze), rispetto a
tale retta, non sia nulla e tale retta non sia parallela alla risultante delle
forze.
Abbiamo, cos, ritrovato il teorema centrale
della statica dei sistemi di punti materiali.
***
La somma di
due tripunti di uguale grandezza e di segno opposto un trivettore, cio il prodotto di tre
vettori.
La somma di
pi tripunti, se la somma dei loro bivettori diversa da zero, si riduce a un
solo tripunto; se invece zero, si riduce ad un trivettore.
Il prodotto di un punto per un trivettore d
il volume di un tetraedro, indipendente dalla posizione del punto.
Analogamente ai casi precedenti, un
trivettore, in geometria proiettiva, pu rappresentare un piano allinfinito.
Avendo fissato il volume unitario u, indicheremo con Ω il suo
trivettore, e per qualunque punto dello spazio si avr: O Ω = u.
La massa di una formazione di prima grado
sar:
Quindi, se , significa che
un vettore.
Se , allora
il baricentro di
.
Se una formazione di quarto grado, il suo trivettore sar dato
da:
.
Si dimostra che, dati tre vettori arbitrari a,
b, c, tali che abc 0, allora ogni altro vettore
dello spazio si pu esprimere come una loro combinazione lineare:
v = xa + yb + zc .
E i tre numeri x, y, z si dicono le coordinate di v,
rispetto ad a, b, c.
Se i
tre vettori coincidono con lusuale terna ortogonale di versori i, j,
k, usualmente si pone ijk = 1.
In termini delle rispettive coordinate
rispetto alla generica terna a, b, c, per un bivettore si
ha:
v
v′ = (yz′ - y′z)bc + (zx′ - z′x)ca + (x y′ - x′ y)ab ;
per cui, un qualunque bivettore si pu porre sotto la forma:
V =
αbc + βca + γab.
In termini delle rispettive coordinate il
prodotto di un vettore per un bivettore vale:
vV′ = (xα′ + yβ′ + z γ′)abc.
E un prodotto di tre vettori vale:
.
Siano i, j, k i tre vettori di riferimento (non
necessariamente ortogonali tra loro, n con la stessa lunghezza), costruiamo i
bivettori
I = jk ,
J = ki ,
K =
ij ,
siano:
v1 = x1i + y1j + z1k
,
v2 = x2i + y2j + z2k
,
V1 = X1I + Y1J + Z1K
,
V2 = X2I + Y2J + Z2K
,
allora si avra:
;
.
Se prendiamo i, j, k ortogonali tra loro e poniamo ijk
= IJK = 1, le due matrici esprimono (almeno per quanto riguarda i
numeri) lusuale prodotto vettoriale: v1 v2.
Ma vediamone il significato geometrico.
Definiamo un operatore ┴, tale che, operando su di
un bivettore, A,
produca un vettore, a, tale che la sua direzione sia ortogonale al
piano di A, il verso sia concorde al verso dellarea orientata stabilito
per A e con lunghezza uguale, in numero, allarea di A; lo
chiameremo, usando la terminologia di Hamilton e di Peano: lindice di A.
Tranne che in particolari situazioni, useremo
la stessa lettera, scritta in minuscolo, per denotare lindice di un bivettore,
che invece scriveremo in maiuscolo:
a = ┴ A .
Notiamo che con tale definizione lusuale
prodotto vettoriale si pu scrivere:
a b = ┴ ab .
Loperazione indicata da ┴ (che fa passare da bivettori
a vettori) biunivoca e quindi possiamo introdurre loperatore inverso che
indicheremo con T (che
fa passare da vettori a bivettori), cio:
( a = ┴ A ) = ( A = T a ) ;
e quindi:
T
┴ A = A ; ┴ T a = a .
Dalle definizioni segue:
( a = b ) = (
T a = T b ) ,
( A = B ) = (
┴ A = ┴ B ) ,
T
( a + b ) = T a + T b ,
┴ ( ab ) = T a T b ,
a T b = b T a ,
┴ ( aV + bW ) = a ┴ V + b ┴ W ,
T
V W = ┴ V ┴ W ,
V ┴ W
= W ┴ V .
(La penultima equazione e da considerare,
qui, come una definizione nominale, dal momento che in uno spazio
tridimensionale non ha senso il prodotto di due bivettori. Tuttavia la formula
si dimostra come teorema dopo avere introdotto il prodotto regressivo, o
intersezione, che qui non necessario introdurre).
Il prodotto scalare fra due vettori, lo
possiamo definire con:
a b = a T b .
Una qualunque formazione di primo grado nello
spazio si pu sempre esprimere mediante le sue coordinate, rispetto a
un arbitrario sistema di riferimento, costituito da quattro arbitrarie
formazioni di primo grado tutte distinte tra loro:
Siano ,
,
,
, le quattro formazioni di riferimento, con
0, allora ogni formazione di primo grado,
, pu scriversi mediante le coordinate x1, x2,
x3, x4:
.
Una qualunque formazione di secondo grado, , si pu esprimere mediante sei coordinate:
.
Una qualunque formazione di terzo grado, , si esprime mediante quattro coordinate:
,
avendo posto:
=
=
=
=
.
Le coordinate di una qualunque formazione si
possono sempre esprimere come rapporti di formazioni di quarto grado (cio, di
volumi orientati di tetraedri):
, ecc.
, ecc.
, ecc.
Il prodotto
di quattro formazioni di primo grado, (i= 1,... ,4),
di coordinate, rispettivamente, xi, yi, zi,
ti, varr:
.
Poich le formazioni di primo grado possono
essere punti o vettori (in ogni caso un punto proiettivo, proprio o improprio), abbiamo diverse
possibili scelte per il sistema di riferimento. La scelta avverr secondo la
comodit e lopportunit del problema concreto in esame; ovviamente, sara
sempre possibile passare da un sistema di riferimento ad un altro mediante una trasformazione
di coordinate.
Diamo alcuni esempi usuali di sistemi di riferimento.
Se si scelgono quattro punti si avranno le
coordinate baricentriche.
Se scegliamo ,
,
,
, con i j = i k = j k = 0 e i2 =
j2 = k2 = 1, si otterranno le coordinate
cartesiane ortogonali ed ogni punto si potr esprimere con:
P
= O + x i + y j
+ z k .
In questultimo sistema di coordinate, una
formazione di secondo grado si pu scrivere:
.
Si ha:
.
***
Le formazioni geometriche, come qualsiasi
altro ente, possono essere costanti o variabili in funzione di uno o pi parametri,
come, p.es, il tempo o un punto o una qualsiasi altra formazione geometrica. Ad
esse, quindi, si possono facilmente estendere le nozioni di limite, derivata,
integrale, ecc.
Sia una formazione di primo grado di massa non nulla che vari con
continuit in funzione del tempo t.
Consideriamo il rapporto incrementale:
.
Se consideriamo il parametro t come una formazione di grado zero,
cio un numero, allora tale rapporto sar un vettore, venendo ad essere una formazione
di primo grado di massa nulla (naturalmente, se fosse gi stato un vettore, sarebbe rimasto tale).
Al limite, per t2 tendente
a t1, avremo la derivata della rispetto a t calcolata in t1; al
variare di t1, essa una nuova funzione del tempo,
che indicheremo con le usuali notazioni:
.
Dora in poi, non useremo pi
sistematicamente, come abbiamo fatto finora, il segno ̃, per distinguere le formazioni
geometriche dagli n-punti; la loro essenza risulter chiara dal contesto.
In dinamica, la derivata di un punto
materiale si chiama quantit di moto; la quantit di moto riferita allunit di massa si chiama velocit (un punto materiale il prodotto di un punto geometrico per
una massa; quindi, nel descrivere a parole le varie situazioni, noteremo,
rispetto alluso tradizionale, una piccola differenza, la quale non pu portare
a confusioni se ci si attiene alle definizioni formali esplicitamente date,
come sempre si deve fare in qualsiasi teoria scientifica; allinterno del
calcolo sopra sviluppato, non si vede alcuna necessit di separare il punto
geometrico dalla massa ad esso associata).
La derivata seconda si chiama forza; e la forza per unit di massa si chiama accelerazione.
Il bipunto A(t1 )A(t) rappresenta la corda istantanea che sottende larco di curva
descritta dal punto A durante
lintervallo temporale compreso tra t1
e t (traiettoria), chiameremo spostamento
tale bipunto (usualmente, con questo nome si chiama il vettore del bipunto,
cio: A(t) - A(t1); noi useremo lo stesso nome per entrambi
i concetti, senza pericolo di ambiguit, dal momento che la sua essenza
matematica viene chiaramente espressa dai simboli, i quali sempre risultano
molto pi chiari del linguaggio comune, una volta compresone il significato; lo
stesso faremo per i termini prima introdotti, cioe: velocit, accelerazione,
quantit di moto, forza).
Il tripunto A(t)A(t1 )A(t2) rappresenta un triangolo che varia nel
tempo. Al limite, per t1e t2
tendenti a t, otterremo il
tripunto: , il piano che lo contiene si chiama piano osculatore;
ovviamente, esso varia al variare di t,
la sua giacitura quella del bivettore
.
Il piano del tripunto A T si chiama piano normale
e la sua giacitura, data dal bivettore T
,
normale alla tangente alla curva, cio alla velocit.
Il vettore
(o, anche, la retta) del bipunto A ┴ si dice binormale.
Lintegrale
rappresenta la lunghezza dellarco descritto dal punto, a partire dal
punto iniziale Ai ,
fino al punto finale Af ;
ovviamente, .
Invece, lintegrale
una formazione di secondo grado che rappresenta il limite verso cui
tende la somma dei tratti consecutivi della curva: AiA1 + A1A2 + . . . An Af ,
al crescere indefinito dei punti segnati sulla curva, in modo da far
tendere a zero la distanza tra due punti consecutivi. La lunghezza di tale
bipunto limite la lunghezza dello spostamento finale, a partire da quello
iniziale, cioe:
.
Le formazioni geometriche sono il paradigma
(nel senso antico del termine) di un sistema lineare, per cui lalgebra delle
formazioni geometriche si pu estendere ad enti di specie pi generale, purch
per essi si possano stabilire le stesse relazioni formali che abbiamo
individuato nelle formazioni geometriche.
Vediamo quali sono tali relazioni formali
elementari (cio quelle relazioni, a partire dalle quali si possono dedurre
tutte le altre, cio, le proposizioni primitive,
distinte in assiomi e definizioni;
le relazioni da esse dedotte sono chiamate da Peano proposizioni derivate o teoremi; per, tali
termini hanno, per lui, un valore soltanto relativo, in quanto spesso si
pu invertire il ruolo di alcune proposizioni primitive con quello di alcune
altre proposizioni derivate):
1) Si dato un significato determinato
alluguaglianza tra enti dello stesso sistema.
2) Si dato significato alla somma di enti
dello stesso sistema che produce un altro ente dello stesso sistema,
asserendone la commutativit e lassociativit.
3) Si dato significato alla moltiplicazione di un ente del sistema per un numero, asserendo che il risultato ancora un ente del sistema e che tale operazione commutativa.
4) Si dato significato allente nullo
del sistema (che si pu indicare sempre con il simbolo 0, senza pericolo di
ambiguit, non potendosi mai confondere con lo zero dei numeri).
Un qualunque sistema di enti qualsiasi, con
le propriet sopraelencate, lo chiameremo un sistema lineare.
Ovviamente, sono sistemi lineari le formazioni
geometriche dello stesso grado (comprese quelle di grado zero, come i numeri).
Ma non sono sistemi lineari i punti, il segmento orientato tra due punti o
larea orientata di un triangolo, in quanto una loro combinazione lineare
potrebbe dare un ente di natura diversa, come un multivettore
(rispettivamente: un vettore, un bivettore o un trivettore). Tuttavia, i
multivettori dello stesso grado formano dei sottosistemi lineari, in quanto una
lora combinazione lineare ancora un multivettore dello stesso grado.
Se n enti
Ai di un sistema lineare
sono tali che si possano determinare n numeri,
ai, non tutti nulli, per cui si abbia:
,
tali enti si diranno linearmente dipendenti tra loro (in caso
contrario si diranno linearmente indipendenti).
Il numero massimo degli enti di un sistema
lineare, che si possono prendere tutti indipendenti tra loro, si chiama il numero
delle dimensioni (o, pi semplicemente, la dimensionalit) del
sistema. Qualunque altro ente del sistema potr essere rappresentato come una
combinazione lineare di n enti
indipendenti arbitrariamente scelti, che si chiamano una base del
sistema:
.
La dimensionalit delle formazioni
geometriche di primo grado nello spazio fisico 4, nel piano 3, sulla retta
2, quella del sottosistema dei vettori 3 nello spazio, 2 nel piano, 1 sulla
retta.
Le formazioni geometriche di secondo grado
nello spazio formano un sistema lineare a 6 dimensioni, quelle di grado zero,
come i numeri, formano un sistema lineare di dimensionalit 1, ecc.
Per altri tipi di sistemi lineari, la
dimensionalit pu essere qualunque, a seconda del caso specifico, anche
infinita, come nel caso di un sistema lineare costituito da una classe chiusa
di funzioni (collaggettivo chiuso intenderemo, in questo contesto, che una
combinazione lineare di enti della classe resta sempre un ente della stessa
classe), per la quale baster intendere la somma di due funzioni come la somma
dei valori che esse assumono per un dato valore (del resto qualsiasi)
dellargomento, ecc., in particolare, il sistema dei polinomi di grado n di una variabile un sistema lineare
a n dimensioni.
Chiameremo operatore, un qualsiasi
ente che applicato ad un ente del sistema produce un altro ente di un altro
sistema o, anche, dello stesso sistema.
Tutti i teoremi enunciati per le formazioni
geometriche, ovviamente, varranno anche per tutti i sistemi lineari, dal punto
di vista delle relazioni formali, indipendentemente dal loro significato fisico,
che pu essere il pi vario; naturalmente, il sistema su cui agisce loperatore
pu essere diverso dal sistema in cui definito il risultato delloperazione;
p. es., loperatore lineare ┴ agisce sui bivettori e d per risultato un vettore,
il viceversa vale per loperatore lineare T; cio quello che per luno il dominio, per
laltro ne il codominio e viceversa.
Particolare attenzione meritano gli operatori
lineari, per la loro importanza nelle teorie fisiche, per cui enuncieremo
alcune proposizioni rilevanti su di essi, in forma astratta. La forma astratta,
appunto per il fatto che astrae dai possibili significati concreti degli enti
di cui tratta, per un verso, fa perdere il contatto con lintuizione fisica,
ma, per un altro verso, proprio per la precedente ragione, assume un grado di
generalit tale che le sue relazioni formali restano valide in moltissimi casi
concreti, i pi diversi tra loro.
Le teorie della fisica sono il miglior
veicolo per lassimilazione del processo dialettico tra astratto e concreto.
La confidenza con una sola di queste due forme di rappresentazione della
realt, renderebbe questultima, cio la realt, assolutamente monca come un
corpo senza testa o una testa senza corpo.
Dora in avanti, useremo le lettere maiuscole
per gli operatori lineari, le lettere minuscole in grassetto per gli enti di un
qualsiasi sistema e le lettere minuscole in corsivo per i numeri.
Un operatore lineare lo chiameremo, anche, trasformazione; e, se dominio e codominio coincidono, lo diremo una sostituzione.
Dati due sistemi lineari A e B di uguale dimensionalit n, e data una particolare
trasformazione, R,
che porta un ente a di A in
un ente b di B, scriveremo:
b = R
a.
Quando vorremo essere pi espliciti
scriveremo:
[b a] = [b1, b2,
. . . , bn a1, a2, . . ., an] ,
per dire che la trasformazione R =
[b a],
la intendiamo riferita ad una rappresentazione in cui si scelto un
sistema di n enti di A : a1, . . . , an
indipendenti (base) per rappresentare ogni ente di A; e una base, b1,
b2, . . . , bn per rappresentare
ogni ente di B.
Che, ovviamente, significa:
R a1 = b1 ; . . . ; R an = bn
.
In particolare, una coordinata di a,
nel dato riferimento (cio nella data base), p. es. c1, si
potr scrivere:
c1 = [1, 0, 0, , 0 a1,
a2, . . ., an]a .
Se R =
[b a],
scriveremo per la trasformazione inversa: R -1 = [a b].
Se R
una sostituzione porremo, per definizione:
(1) .
Un elemento di un sistema lineare con una sola
dimensione si dice uno scalare. Le formazioni geometriche di grado
zero sono quindi scalari.
Un elemento di un sistema di sostituzioni tra
vettori si dice un tensore. Oggi, si usa tale nome anche
per sostituzioni pi generali.
Sia a un vettore fissato dello spazio
e sia x un vettore arbitrario. La relazione:
(2) s = a T x = a x
che d la componente di x lungo la direzione di a, la
possiamo scrivere:
(3) s = ω1(
x )
interpretando ω1 =
a T = a
come una trasformazione con dominio i vettori dello spazio e codominio gli
scalari che rappresentano le loro componenti lungo a.
Viceversa, se si ha una qualunque
trasformazione lineare, ω1, che fa passare da vettori a scalari,
sempre possibile trovare un unico vettore a tale che si possa porre ω1 = a T = a .
Una qualunque funzione lineare definita sui
vettori, come la ω1, si
usa chiamare una 1-forma.
Per quanto detto sopra, chiaro che
linsieme di tutte le 1-forme definite su un dato sistema di vettori si pu
sempre considerare come un altro sistema di vettori (non necessariamente
identificabile con il primo) e quindi costituisce un altro sistema lineare con
la stessa dimensionalit, che si dice il sistema duale
del primo.
Modernamente si usa, impropriamente, chiamare
vettore un qualsiasi sistema lineare, ed in questo senso generalizzato che
continueremo a usare il termine, adeguandoci alluso comune; avvertendo, per,
che bisogna andare molto cauti nelladoperare il termine nelle applicazioni
concrete della fisica. Lo stesso varr per i multivettori che ora possono avere
un grado qualsiasi, in dipendenza della dimensionalit del sistema di vettori,
mediante i quali sono definiti.
Un esempio concreto di 1-forma il lavoro
elementare compiuto da una forza:
(4) dL = F dl .
Consideriamo il trivettore,
nello spazio fisico,
(5) axy
= a T ┴ xy = a (x y) ,
con a,
un vettore fissato, e, x e y, vettori arbitrari.
Dividendo per lunit di misura stabilita per
la grandezza di axy, avremo una funzione scalare s che dipende linearmente sia da x, sia da y,
(bilineare) ed antisimmetrica rispetto a x e y, cio:
(6) axy
= - ayx .
La (5) si pu scrivere:
(7) s = ω2(
x, y ) ,
avendo indicato con ω2 quelloperatore che produce
lo scalare axy, dati due vettori qualsiasi, x e y.
Generalizzando: una qualunque funzione
bilineare e antisimmetrica si dice una 2-forma:
(8) ω2(
a1 x1 + a2 x2 ,
y ) = a1
ω2(
x1, y ) + a2 ω2(
x2, y ) .
(9) ω2(
x, y ) = - ω2(
y, x )
Un esempio di 2-forma larea orientata di
un bivettore xy, che possiamo anche scrivere, in termini di coordinate:
(10) .
Nei casi, in cui fisicamente abbia senso la
somma tra possibili ω2, definite su di un dato
sistema lineare, e si possa scrivere:
(11) ,
allora tale insieme di 2-forme sar anchesso un sistema lineare a
(12)
dimensioni.
Si generalizzano i concetti precedenti e si
definiscono le k-forme come: quelle funzioni multilineari di k
vettori, totalmente antisimmetriche, cio tali che scambiando di posto, tra
loro, due qualsiasi dei k vettori, la
forma cambia di segno, se la permutazione dispari, o resta dello stesso
segno, se la permutazione pari (cio, si comporta come un multivettore).
Definendo le combinazioni lineari di k-forme,
si viene a formare un sistema lineare di dimensionalit ,
essendo n la dimensionalit
dei vettori su cui la k-forma definita.
Quindi, a parte la differenza di
nomenclatura, formalmente (cio, indipendentemente dal loro significato
concreto, da stabilire in ogni singola situazione) le k-forme sono la
generalizzazione delle formazioni geometriche a spazi di qualunque
dimensionalit, e gli elementi di tali spazi, impropriamente chiamati vettori,
sono sempre interpretabili come particolari trasformazioni.
Infatti, qualsiasi k-forma, in uno spazio
a n-dimensioni, si pu sempre esprimere, in un sol modo, come una
combinazione lineare delle forme di base:
(13)
Baster porre:
(14) ,
essendo gli ej, i vettori della base.
In fisica il concetto di campo
frequentemente usato nei pi svariati contesti e spesso, perci, dal punto di
vista epistemologico, sono stati espressi seri dubbi sulla sua effettiva
interpretazione fisica in determinate applicazioni concrete, come, p. es.,
nella teoria elettromagnetica.
Dal punto di vista astratto, cio puramente
formale, invece, la nozione di campo molto semplice.
Diremo campo una qualunque porzione di
spazio fisico in ogni punto P del
quale definita univocamente una determinata grandezza fisica G:
G = G(P) .
Se G uno scalare, lo diremo un campo
scalare; se un vettore, un campo
vettoriale; se un tensore,
un campo tensoriale.
Se G variabile nel tempo, parleremo
di campo variabile:
G = G(P,t) .
Ma, ovviamente, dal punto di vista astratto,
si pu generalizzare il concetto e chiamare campo un qualsiasi elemento G,
di un sistema lineare qualunque, funzione degli elementi P di un altro sistema lineare qualunque; non si pretende che la
funzione che lega G a P sia
lineare; ma, spesso, si pretende che G sia
funzione continua di P e derivabile a
qualsiasi ordine (ma nemmeno queste sono condizioni necessarie per un sistema
fisico, usualmente, esse vengono imposte per rendere pi semplice la
trattazione matematica).
Facciamo alcuni esempi di applicazione del
concetto di campo nella fisica, dove alla stessa struttura matematica (e,
spesso, anche per spiegare lo stesso fenomeno, a causa di diversi paradigmi
filosofici) vengono attribuiti significati del tutto diversi.
Prendiamo, ad esempio, un corpo e
consideriamone, idealmente, una sua porzione qualsiasi, anche interna al corpo
stesso e sia DV il
volume dello spazio occupato da tale porzione e sia D m la
sua massa.
Si definisca la densit media di tale porzione
con il rapporto:
(15) .
Sia P un
punto dello spazio (considerato come elemento di una formazione geometrica di
primo grado), interno a tale porzione del corpo e immaginiamo di prendere
porzioni sempre pi piccole del corpo, che comunque contengano sempre il punto P al suo interno. Se immaginiamo la
materia come distribuita continuamente allinterno del corpo, al limite per DV tendente a zero potremo
scrivere:
(16) .
Se, invece, pensiamo che la materia sia
discontinua, cio fatta di particelle elementari inframmezzate da spazio
vuoto, allora non ha molto senso la nozione di derivata, nella pi usuale
definizione, (naturalmente, se ne pu generalizzare il concetto fino a
comprendere anche situazioni totalmente discontinue come questa) ma, per il
momento, ci accontenteremo di unapprossimazione, quasi sempre ottima nelle
applicazioni pratiche, che ci permette di utilizzare lusuale calcolo
differenziale e integrale.
Cio, si immagina di avere un DV, che
sia sufficientemente piccolo da consentire di poter trascurare infinitesimi di
ordine superiore nello sviluppo in serie della densit, in funzione di uno
spostamento allinterno di DV; e, nello stesso tempo,
sufficientemente grande da contenere un numero enorme di particelle elementari,
in modo che si possano trascurare le fiuttuazioni statistiche, e cos
ottenere, per la densit, una funzione ρ(P),
sufficientemente regolare che possa rappresentare la situazione reale con
buona approssimazione.
Questo genere di approssimazione la norma
nelle applicazioni fisiche della matematica, ma spesso in fisica ci si
dimentica che qualcosa che sottintesa non per niente scomparsa!
Tale distribuzione di densit, ovviamente,
corrisponde ad un campo scalare.
Il valore della densit in un punto P potrebbe variare anche nel tempo,
avremo un campo scalare variabile:
ρ = ρ(P,t) ;
lesempio classico quello di un fluido in movimento.
Supponiamo di essere in una tale situazione, che
con buona approssimazione realizzata da una corrente dacqua di portata
costante che si muova con velocit non molto elevata in una condotta che
possiamo pensare fatta di vetro in modo da vedere cosa accade alla corrente;
anzi, a tale scopo, immaginiamo di immettere in un punto qualunque della
corrente, con opportuni imbutini, un filetto di acqua colorata (p. es.,
inchiostro), o un granello di permanganato potassico che sciogliendosi
rapidamente genera dei filetti fluidi colorati facilmente visibili anche ad
occhio nudo.
Finch tali filetti non si saranno dispersi,
possiamo osservare quelle che si chiamano le linee di corrente
o linee di flusso; un gruppo compatto di tali linee ci d lidea di
quello che in effetti si chiama un tubo di flusso, che linsieme di
tutte linee di flusso che attraversano ogni punto di una qualunque sezione
ideale che tagli la corrente.
In un fluido stazionario tali linee restano
sempre identiche col passare del tempo. La velocit con la quale si propaga il
filetto colorato si suppone essere la stessa con la quale si muove ogni
elemento del fluido. Essa definita in ogni punto del fluido da un vettore v
che varia da punto a punto ma che, nel caso stazionario, resta sempre lo stesso
nello stesso punto del fluido.
Questo un esempio di campo vettoriale:
v = v(P) .
Il vettore v in ogni punto tangente
alla linea di flusso passante per quel punto.
Nel caso non stazionario sar anche funzione
del tempo:
v = v(P,t)
.
Consideriamo ora una porzione elementare di
volume di un solido elastico e immaginiamo di sottoporlo ad uno sforzo di
tensione o di pressione, esso si allungher o si accorcer per effetto dello
sforzo. Per semplicit, supponiamo che lelemento di volume che stiamo
considerando abbia forma cubica e prendiamo un sistema di riferimento con
origine in uno dei vertici del cubo e con assi coordinati lungo gli spigoli che
si dipartono da tale vertice.
Supponiamo di applicare uno sforzo
allelemento di volume considerato, sia dfx
la sua componente lungo la direzione x e che, quindi, si esercita
normalmente alle due facce parallele al piano yz; e, analogamente, definiamo le
componenti dfy,
e dfz (si soliti
considerare la forza allunit di superfice normale in un intorno del punto
considerato). Siano dx,
dy, dz gli allungamenti (positivi o negativi) che subisce lelemento
di volume per effetto dello sforzo complessivo: df = dfxi + dfyj + dfzk
.
In generale si ha:
dx =
a11dfx + a12dfy + a13dfz
dy =
a21dfx + a22dfy + a23dfz
dz =
a31dfx + a32dfy + a33dfz
Dove gli aij
sono dei coefficienti che possono essere funzioni del punto intorno al
quale abbiamo scelto lelemento infinitesimo di volume ed, eventualmente,
anche del tempo, ma non dipendono dallintensit dello sforzo applicato o,
meglio, dalle variazioni degli sforzi, dfx
, dfy , dfz , (proprio mediante
tali condizioni viene data la definizione stessa di solido elastico; in realt
si possono avere delle piccole non linearit per sforzi relativamente grandi).
Per ragioni fisiche, tali nove coefficienti non sono tutti indipendenti tra
loro, ma qui la cosa per noi irrilevante.
Le tre relazioni, che abbiamo scritto sopra,
le possiamo anche scrivere in forma vettoriale, ponendo dl = dxi + dyj + dzk :
(17) dl
= A df ,
dove A una trasformazione
lineare da vettori a vettori e, quindi un tensore.
Questo un esempio di campo tensoriale, anzi il nome tensore deriva dalle tensioni interne con le quali il solido reagisce agli sforzi esterni per equilibrarli e che si ipotizza siano causate dalle forze intermolecolari.
Occupiamoci, ora, pi particolarmente, dei
campi vettoriali, i quali sono di grande rilevanza per lo studio
dellelettromagnetismo.
Qui avremo a che fare con un concetto di
campo che, pur avendo sempre la stessa definizione formale, invece, dal punto
di vista della fisica, risulta concettualmente diverso dallidea che ci siamo
andati formando attraverso gli esempi concreti di natura idrodinamica che
abbiamo dato finora.
Consideriamo una carica elettrica (ma lo
stesso discorso si pu ripetere, senza rilevanti modifiche, per una massa
magnetica o per una massa gravitazionale).
Supponiamola fissa in un certo punto O di un dato riferimento.
Se si pone unaltra carica elettrica in un
punto P, a una certa distanza dalla
prima, fra le due si esercita una forza data dalla:
(18) ;
per una data variazione della carica q si ha:
(19) dF = Edq ,
con
(20)
Quindi il vettore E, definito su tutti
i punti P dello spazio, dal punto di
vista formale, costituisce un campo vettoriale, chiamato appunto campo elettrostatico.
Ma c una sostanziale differenza, dal punto
di vista fisico, con il campo delle velocit che definito nei punti di un
fluido; non perch si tratta di due grandezze fisiche diverse, ch questo
sarebbe irrilevante in questo contesto, ma perch, nel caso del fluido,
lesistenza del campo in un punto del fluido stesso sempre definito, in
quanto il campo creato dal movimento della materia fluida, la quale, a sua
volta, costituisce il campo scalare a partire dal quale definito il campo
delle velocit; mentre, nel caso di un campo di forza con interazione a
distanza, la forza sar effettivamente agente solo in presenza di una carica di
prova, e solo in questo caso potr avere senso parlare di campo di forza in un
punto, essendo questo zero in tutti gli altri punti dello spazio; e, daltra
parte, la presenza della stessa carica di prova verrebbe, indirettamente, a
modificare profondamente il campo delle forze che agisce sul punto P, per effetto dellinfluenza che essa
esercita sulle cariche che creano il campo.
Naturalmente la quantit matematica perfettamente definita e niente ci impedisce di usarla coerentemente nella teoria per determinare altre grandezze fisiche misurabili, solo non possiamo, a partire dalla sua definizione formale, misurare direttamente un campo perch, operativamente, noi possiamo misurare solo forze; anche se, nel caso che la carica di prova sia sufficientemente piccola da non provocare variazioni sensibili, si potrebbe effettuare una verifica diretta.
Per quanto detto, le formule saranno le
stesse sia che vengano interpretate secondo il modello idrodinamico, sia che
lo siano secondo il modello delle forze agenti a distanza, ma il loro
significato fisico potrebbe risultare profondamente diverso e potrebbe
condurre a rilevanti errori interpretativi, se non si fa attenzione alla
sostanziale differenza concettuale che abbiamo messo in luce. Tali errori non
sono infrequenti nelle moderne speculazioni teoriche.
Quello che abbiamo detto risulta molto pi
rilevante nel caso dei campi elettrici e magnetici, di quanto non sia per i
campi gravitazionali, a causa del fenomeno di induzione, dal momento che non ,
in generale, trascurabile il campo creato dalle cariche di induzione che si
vengono ad aggiungere alla carica originale Q
che crea il campo.
Perci appare assolutamente illusoria, come
osservava Boltzmann, la credenza che si possa costruire una teoria fisica a
partire dalle leggi empiriche.
Si usa chiamare intensit del campo, il vettore del campo.
Se la carica Q, che crea il campo, in movimento, allora il campo sar, in
generale, dipendente dal tempo.
Sono importanti per il seguito gli operatori
differenziali introdotti da Hamilton.
Intanto introduciamo il concetto di differenziale
nella forma generalizzata, usata dal Peano, valida per enti lineari qualsiasi:
Sia x un ente di un qualsiasi sistema
lineare S, e sia y = f(x),
una sua funzione, il cui risultato y sia un ente di un altro
qualsiasi sistema lineare R.
Se x′ un ente qualsiasi di S,
poniamo, per definizione:
(21) .
Lente , ovviamente, appartiene al sistema R ed funzione di x e di x′
e, nellipotesi che il limite indicato nella (21) esista, si chiama differenziale
della funzione f(x) calcolato in x.
Lente x′ si dice differenziale della variabile indipendente
x.
Se x e x′ sono ben
determinati, scriveremo semplicemente: df .
Facciamo degli esempi semplici:
Supponiamo che S ed R siano entrambi campi scalari funzioni
di un parametro t,
si avra:
(22) ,
(23) .
Sia S un sistema lineare ad m dimensioni con i vettori di base (e1,...
,em), ed R un sistema lineare ad n dimensioni con i vettori di base (b1,...
,bn) e sia y = f (x).
Si abbia:
x = x1e1 + ... + xmem
(24) x′
= x′1e1 + ... + x′mem
y = y1b1 +
... + ynbn
si avra:
(25)
.
Oggi pi comune la seguente scrittura:
(26) .
Nelloperazione precedente un operatore
lineare sul sistema S:
(27) .
In termini di coordinate, rappresentato da
una matrice rettangolare n m.
Se n = m,
il suo determinante, indicato con:
(28) J
,
si usa chiamare jacobiano.
Sia f(P)
una funzione scalare del punto P di
uno spazio astratto a n dimensioni,
sia u un vettore differenza di due punti di detto spazio; essendo operatore lineare, esister sempre, per quanto detto sui
sistemi lineari, un vettore nello spazio duale,16 che qui indicheremo con a(P),
eventualmente dipendente da P,
ma non da u, tale che si possa porre:
(29) a T u = a u .
Il vettore a si dice il gradiente
di f calcolato in P (nella letteratura pi antica veniva
chiamato, parametro differenziale), spesso si indica, seguendo
Hamilton, con :
(30) .
dove si posto: r = P - O, essendo O un punto arbitrario.
Notiamo che loperazione a = a T un operatore lineare sui vettori u,
e non un vettore, mentre un operatore lineare
sulle funzioni scalari di punto, che le trasforma in vettori, quindi un operatore
vettoriale, nel senso che si pu immaginare come la somma di tre
derivazioni lungo tre direzioni indipendenti, per cui si ha:
(31) (fg) = f g + g f .
A voler essere coerenti, si dovrebbe scrivere
(32) = f T = f ;
ma lidentificazione tra due oggetti algebricamente diversi, che
tuttavia si riferiscono biunivocamente allo stesso concetto geometrico o fisico,
non necessariamente porta a inconvenienti semantici; purch si tenga sempre
ben presente la loro diversit formale, nelle manipolazioni algebriche; le
quali, fatte meccanicamente, potrebbero portare a incongruenze, con ovvie conseguenze
anche sul piano semantico.
Se fissiamo un sistema di coordinate
cartesiane ortogonali, con origine O,
e poniamo r = P - O, si pu scrivere:
(33) ,
come si verifica facilmente, essendo un operatore lineare
sul sistema lineare delle funzioni scalari; tuttavia, ricordiamo che il
gradiente un ente assoluto, cioe indipendente dal sistema di coordinate
scelto, perci si soliti dire che e invariante per arbitrarie trasformazioni
di coordinate.
Naturalmente, il gradiente pu esistere solo
se la funzione scalare derivabile nel punto considerato e in qualsiasi
direzione.
Per un circuito chiuso si ha:
(34) .
Viceversa, se in una campo vettoriale v (r) , per
qualunque circuito si ha:
(35) ,
allora, necessariamente, esiste una funzione scalare j (r),
definita a meno di una costante arbitraria, che si dice potenziale e
tale che si abbia:
(36) .
Un particolare sviluppo in serie per un campo
scalare, in termini delloperatore deriva dal fatto che
loperatore gode di tutte le propriet delle derivate rispetto a una
variabile numerica, e quindi possiamo sviluppare in serie di Taylor una
funzione scalare e scrivere:
(37) ;
che, per la (1), con la quale abbiamo definito loperatore
esponenziale, possiamo scrivere:
(38) .
In un campo vettoriale arbitrario, v (r),
consideriamo lintegrale lungo una linea chiusa, l, supponendo che
sia ben definito il valore di tale integrale di linea:
(39) ,
essendo dl un vettore tangente alla linea nel punto P = O
+ r e O unorigine arbitraria; la quantit C si chiama la circuitazione del campo vettoriale v lungo la
linea chiusa l.
Il valore di dC per un circuito chiuso elementare (preso intorno ad un punto P = O + r) che tuttavia indicheremo
semplicemente con dl, :
(40) ,
ed una funzione scalare di campo.
***
Sia v (P) un arbitrario campo vettoriale.
Si chiama flusso elementare del
vettore v in un punto P dello
spazio, il trivettore:
(41) dF = dS
v T n = v(P) dS ,
essendo n un versore normale allelemento di superficie dS (con verso dato dalla solita regola
di orientazione) e avendo posto per definizione dS =
n dS .
Quindi possiamo anche scrivere:
(42) dF = v dS
= | v | | dS
| cosq =
vn | dS | = | v | dSn ,
essendo q, langolo tra le direzioni
di v e dS, vn la componente normale alla
superficie dS e dSn lelemento di superficie normale
al campo.
Per una superficie arbitraria S, il
flusso del campo attraverso di essa, :
(43) .
Se v il vettore velocit di campo,
in un punto di un fluido, per una superficie elementare si ha:
(44) ;
quindi, esso rappresenta, in questo caso concreto, la portata, cio, il volume di fluido che attraversa la
superficie dS, nellunit di tempo.
Per una superficie chiusa si conviene di assegnare il segno positivo a un flusso uscente e negativo al flusso entrante.
Se allinterno di una superficie chiusa S
non si hanno sorgenti o pozzi per il flusso o se lintensit
che esce dalle sorgenti pari allintensit assorbita dai pozzi, allora il
flusso totale uscente da quel volume (considerato algebricamente) deve essere
nullo perch il volume del fluido entrante sempre uguale e opposto a quello
uscente. Tale terminologia idrodinamica viene usata anche nelle altre
interpretazioni del campo vettoriale, anche in quei casi in cui non possibile
immaginare alcun fluido che scorra.
Se il flusso totale uscente diverso da
zero, allora necessariamente devono esistere delle sorgenti positive o
negative (pozzi) in qualche punto o in tutti i punti del dato volume, tali che
la loro somma algebrica non sia nulla (useremo nel seguito il termine
sorgente, anche per i pozzi, il segno dellintensit di sorgente ci dir se
si tratta dellun caso o dellaltro).
Si chiama divergenza del campo
vettoriale v, nel punto P,
il flusso che attraversa una superficie chiusa e riferito allunit di
volume; dove la superficie racchiude un volume sufficientemente piccolo (sempre
ai fini della possibilit di poter utilizzare il calcolo differenziale) preso
nellintorno del punto dato:
(45) ,
dove:
(46) ,
essendo dS la superficie
chiusa che delimita il volume elementare dV,
il quale comprende il punto P = O + r, con O punto origine arbitrario e dA
una superficie elementare aperta (notiamo che stiamo usando gli aggettivi
aperto e chiuso nel senso fisico e non nel senso in cui la distinzione
viene usata nella teoria degli insiemi).
Si dimostra:
(47) ,
essendo V un volume
arbitrario, dove in ogni punto di esso definito loperatore , e S la superficie chiusa che lo
contorna e in ogni punto della quale definito il vettore v.
Questa importante uguaglianza, che trasforma
un integrale di volume in un integrale di superficie, esteso a tutta la
superficie che circonda il dato volume, nota come la relazione di Gauss.
Ricordiamo che la divergenza, come il
gradiente, un ente assoluto, cioe indipendente dal sistema di coordinate
scelto e quindi invariante per arbitrarie trasformazioni di coordinate.
Consideriamo un esempio, estremamente
importante per le nostre successive applicazioni fisiche.
Supponiamo di voler verificare la (47) in un
caso particolarmente semplice, e calcoliamo prima la divergenza di un campo
vettoriale della forma
(i) E = k r n r
e proponiamoci, successivamente, di trovare
il valore di n per cui la divergenza risulti identicamente nulla.
Usando una nota identit, avremo:
div (k r
n r) = k (r n div r + r grad
r n ) =
(ii) = k (3r
n +n r n-1 r grad r) = k (3r n +n
r r r n-2) = k (3 + n) r
n
quindi, la divergenza sempre ben definita, con lesclusione (nel caso
che sia n < 0) del punto r = 0; escludendo
tale punto, la divergenza identicamente nulla per n = -3, cio si ha:
(iii)
Verifichiamo, ora, la relazione di Gauss per
una sfera di raggio r = R con
un campo della forma (i),
per n - 3.
Il primo membro della (47), con E al
posto di v, per il risultato (ii), vale:
(iv)
(con il segno 0+ intendiamo escludere dallintegrazione il
punto r = 0).
Per n = -3, il primo membro della
(47), per il risultato (iii),
nullo.
Il secondo membro della (47), vale
(ricordando la definizione di angolo solido: ):
(v) ,
la precedente relazione vale qualunque sia il valore di n.
Abbiamo verificato luguaglianza dei due
membri della (47), con questa forma particolare di campo, per qualunque valore
di n diverso da -3; mentre luguaglianza
sembra non valere per n = -3.
Ma ricordiamo che nellintegrazione di volume
avevamo escluso un intorno dellorigine, ancorch arbitrariamente piccolo; punto
origine che non interviene, invece, nellintegrale di superficie.
Per n >
-3
il flusso, come
dato dalla (v), tende a zero
allorigine e quindi il punto origine non d alcun contributo al flusso; per n < -3, allorigine si ha una
sorgente infinita, per cui il flusso calcolato includendo lorigine divergerebbe
anchesso; per n = -3 il flusso, includendo
lorigine costantemente uguale a 4pk, il che significa che
lorigine lunica sorgente del campo, mentre negli altri casi dobbiamo
immaginare delle sorgenti continuamente distribuite nel campo.
Se ne deve concludere che:
la legge dellinverso del quadrato delle distanze la sola legge compatibile con lidea di particella.
Quindi, il valore n = -3, che sopra abbiamo stabilito quale
condizione unica per avere una divergenza dappertutto nulla,
solo una condizione necessaria ma non sufficiente. La condizione diventa anche
sufficiente quando, allinterno del volume considerato, non vi siano sorgenti
per il campo o le sorgenti siano tali che la somma algebrica delle loro
intensit sia nulla.
Se, come si usa fare nelle applicazioni
fisiche, si definisce la divergenza con la (45), ne segue che bisogna andare
cauti nellidentificare la divergenza di un vettore con il prodotto scalare
delloperatore nabla per il vettore di campo, in quanto i domini di
integrazione dei due integrali sono diversi.
Se in ogni punto del campo si ha div v = 0, allora si dice che il
campo solenoidale, ovvero conservativo
per il flusso.
Una formula analoga alla relazione di Gauss
si pu dimostrare per la circuitazione, se introduciamo il vettore:
(48) rot
v = v .
Considerando la circuitazione di v
lungo un circuito chiuso:
(49) ,
con un po di algebra si pu scrivere:
(50) dC = rot v dS ,
a partire dalla quale si arriva ad unaltra importante uguaglianza,
valida per qualunque campo vettoriale, nota come relazione di Stokes:
(51) .
Cio il flusso del rotore di v
attraverso una superficie S uguale alla circuitazione di v
lungo la linea chiusa l,
che rappresenta il contorno della superficie S; in altre parole, il
flusso del rotore dipende solo dal contorno della superficie e non dipende,
invece, dalla forma o dallestensione della superficie stessa.
Con tale relazione un integrale di superficie
pu essere calcolato per mezzo di un integrale di linea e viceversa.
Anche qui bisogna considerare le possibili
eccezioni dovute alla diversa definizione dei domini di integrazione.
Se, in tutti i punti del campo, si ha rot v (r)
= 0, allora il campo si dice irrotazionale.
Nel caso che il campo vettoriale sia un campo
di forza la condizione di irrotazionalit viene a significare che il lavoro
compiuto lungo una linea chiusa nullo e che quindi il campo conservativo
per il lavoro e ci implica lesistenza di una funzione potenziale.
Nel caso che il campo vettoriale rappresenti
il campo delle velocit in un fluido, in condizioni stazionarie di moto, la
condizione di irrotazionalit significher lassenza di vortici.
Ma, in ogni caso, la condizione rot v (r)
= 0 implica lesistenza di un campo scalare, detto, appunto, potenziale
scalare j (r), tale che:
(52) grad j (r) = v (r) .
Analogamente, la condizione div v (r)
= 0 implica lesistenza di un potenziale vettore,
definito a meno del gradiente di una funzione scalare; questo deriva dal
fatto che, necessariamente, per qualunque campo vettoriale v (r), si ha:
(53) div
rot v (r) = v (r) = 0 ,
(purch gli operatori siano definiti nei punti considerati) e per
qualunque funzione scalare j :
(54) rot grad j = j =
0.
Chiariamo che con il termine Meccanica Razionale intendiamo la meccanica
di Newton nellinterpretazione di dAlembert (secondo noi la pi aderente allo
spirito e alla lettera dei Principiadi
Newton), diametralmente opposta a quella successivamente affermatasi sulle
orme di Eulero e di Lagrange.
La prima una scienza che non fonda i suoi
principi matematici sulle leggi empiriche ma che, al contrario, si propone di
spiegare le leggi empiriche a partire dagli elementi
razionalmente definiti da opportune convenzioni linguistiche basate su
modelli semplici e verificabili.
Pensiamo che il calcolo geometrico di Peano
sia lo strumento pi adatto per una tale concezione della meccanica.
Consideriamo un insieme di sistemi di forze
(cio di formazioni di secondo grado, nel seguito, labbrevieremo con F2 e simili abbreviazioni useremo per le altre formazioni); indicando
con il segno = lequivalenza meccanica di due sistemi di forze, con il segno +
la sovrapposizione meccanica di due sistemi, con il segno 0 un sistema in
equilibrio meccanico, i sistemi di forze costituiranno un sistema lineare. Il
numero delle dimensioni di tale sistema (cio il numero dei parametri necessari
e sufficienti per descriverlo completamente) si dice numero dei gradi di libert del sistema; p. es., per un corpo
rigido esso vale 6.
Un sistema di punti materiali, ovviamente,
non un sistema lineare, dal momento che la sua derivata un vettore e non
pi un punto materiale, anche se i vettori sono un sottosistema di un sistema
lineare costituito dalle F1.
Se un sistema di punti materiali, converr
considerare la F2:
,
essendo O un punto
arbitrario.
La meccanica razionale non altro che la
teoria matematica che collega tra loro tali due sistemi di F2 (forze e bipunti). Come gi detto, il calcolo geometrico, come
sviluppato dal Peano, , a nostro avviso, la pi semplice e, nello stesso
tempo, la pi completa di tali teorie matematiche; per di pi, ha il vantaggio
di restare ancorato alle effettive operazioni fisiche che si possono compiere
sui sistemi fisici. Anzi, per le stabilite corrispondenze fra simboli ed enti
fisici, non ci sarebbe altro da aggiungere, se non quello di risolvere
determinati problemi concreti.
Dal punto di vista della matematica, nulla
vieta di considerare un sistema di punti materiali come variabile (p. es., nel
tempo); ma, dal punto di vista della fisica, necessario che ci si possa
accorgere della loro variabilit.
Per accorgersene bisogner essere in grado di
misurare certi parametri numerici che rappresentino determinati rapporti tra
grandezze della stessa specie.
Un punto materiale, oltre alla massa che
supponiamo di sapere come misurare, non ha altri parametri numerici. Noi
possiamo misurare solo le distanze di esso da altri punti. Empiricamente ci
accorgiamo che, per individuarlo univocamente (in un determinato istante),
occorrono quattro parametri (massa compresa). Quindi dobbiamo scegliere quattro
formazioni geometriche arbitrarie per individuarlo. Lalgebra che ne viene
fuori, qualunque sia il tipo di riferimento che vogliamo scegliere, non sar
diversa. Ma, per certi problemi particolari, alcune scelte possono risultare
pi adeguate di altre.
Intenderemo, per riferimento, un ben
determinato sistema fisico. Se si immagina che tale sistema di riferimento sia
fissato una volta per tutte, non sar necessario menzionarlo; ma questo non
significa che sia scomparso.
Ma, ripetiamolo, per tirare fuori conclusioni
di ordine generale, non sar necessario usare le coordinate, tranne che per
qualche esempio concreto; infatti, tutto quello che si pu dire in generale
sugli enti fisici, lo si pu dire senza farne uso; le eventuali diversit, che
si dovessero riscontrare nelle formule che descrivono la stessa fisica, possono
solo dipendere dalla loro particolare rappresentazione in un dato sistema di
coordinate, e non possono essere diversit degli enti fisici; in un linguaggio
assoluto tali diversit devono scomparire; per cui perdono di significato
termini quali: interpretazione attiva e passiva di una trasformazione, quantit
covarianti e controvarianti, e ogni altro termine legato alla particolare
rappresentazione.
Le esposizioni della meccanica classica,
quasi sempre, cominciano col supporre che il sistema di riferimento debba essere
inerziale; ma poi si trovano in difficolt nel cercare di stabilire che cosa
sia un sistema inerziale (naturalmente, questo vale anche per la teoria della
relativit ristretta).
Qualcuno dice che inerziale un sistema di
riferimento in cui valgano le leggi di Newton, ma poi si aggiunge che tali
leggi valgono solo in un sistema inerziale e, cos, si chiude il circolo!, a
parte il fatto che, con la locuzione leggi
di Newton, si intendono cose assolutamente lontane
dalle idee di Newton. Infatti si intendono: la relazione F = ma , e il principio di azione e reazione
inteso nellaccezione forte, cio che le forze tra due punti materiali siano
vettori uguali ed opposti e, in pi, giacciano sulla stessa linea dazione
individuata dalla retta che congiunge i due punti materiali. Vedremo pi avanti
che cosa implicano tali richieste.
Altri dicono che un sistema inerziale se si
muove di moto traslatorio uniforme rispetto al sistema delle stelle fisse; ma,
siccome tale sistema non e certamente inerziale, si aggiunge che lo solo
approssimativamente. Quanto buona sia tale approssimazione e per quali sistemi
di forze debba ritenersi valida, nessuno pu essere in grado di dirlo.
Per tale ragione, per fondare la meccanica di
Newton, proveremo a non nominare i sistemi inerziali; del resto Newton ha
fondato la sua teoria senza che mai gli balenasse lidea che tali inconoscibili
enti potessero servire a qualcosa, visto che mai li menziona! Noi,
nellincertezza, proveremo a vedere fino a che punto si pu andare avanti senza
nominarli.
Ricordiamo che Newton non parla mai di punti
materiali ma di corpi. Il punto materiale stato inventato solo molto tempo
dopo (qualcuno ne attribuisce lintroduzione a Eulero anche se lo stesso parla
ancora di corpi) come idealizzazione di un corpo, nel caso in cui i suoi gradi
di libert interni non influiscano sul fenomeno in istudio. In tal caso si pu
sostituire il corpo con il suo baricentro; anche se spesso non pu essere
esattamente determinato sperimentalmente.
Se leffetto delle forze interne non puo
essere trascurato, si pu pensare di suddividere, idealmente, il corpo in parti
opportune, in modo tale che per ognuna di tali parti, in relazione al fenomeno
studiato, si possano trascurare i gradi di libert interni. Per tali parti
useremo il nome di particelle.
Dal momento che le forze agiscono tra punti
(nel senso sopraspecificato), esse devono essere indicate da bipunti e non da
vettori.
Unultima avvertenza necessaria: la
variabilit nel tempo deve intendersi rispetto a un tempo omogeneo locale.
Quindi quella parte della fisica che pu
essere descritta con dei numeri si riferisce sempre ad un dato sistema di
riferimento (fisicamente determinato) che sottintende anche il modo di misurare
il tempo, almeno localmente, oltre alle unit di lunghezza di area e di volume.
Per collegare gli esperimenti eseguiti
allinterno di un dato riferimento con gli esperimenti di altri osservatori,
che procedono alle loro osservazioni relativamente ad altri riferimenti,
bisogner fare altre ipotesi; da verificare, se possibile, sperimentalmente.
Ma, in ogni caso, la teoria che li collega non pu avere alcuna influenza sulla
fisica di un qualsiasi osservatore; al massimo, costui potrebbe preferire una
matematica piuttosto che unaltra, quando risultassero rilevanti gli scambi di
esperienze tra tali ipotetici osservatori.
***
Sia , una F1 che
rappresenti un sistema di particelle che, per brevit, chiameremo corpo; indicheremo con
la sua massa, con
il suo baricentro. Supporremo, per il momento, che le mi siano costanti nel tempo,
ma che le distanze relative tra le particelle del corpo siano variabili nel
tempo come localmente definito.
Consideriamo il bipunto b
= OB, che
possiamo anche scrivere b
= O (B - O) = O r,
e che chiameremo: la linea istantanea del baricentro, rispetto ad O; diremo
che r il vettore di tale linea o raggio
vettore.
Pi in generale, diremo che bi
= OBi la linea di Bi rispetto ad O e che ri = Bi - O
il suo raggio vettore.
Chiameremo:
Bi (t)
Bi (t + Dt) la linea dello spostamento di Bi (t) nel tempo Dt; il suo vettore lo chiameremo
spostamento.
Per Dt sufficientemente piccolo si
ha:
;
la velocit della particella Bi.
La F2: rappresenta in modo
assoluto, cio indipendentemente dal riferimento, la somma delle quantit di
moto delle singole particelle. Essa si pu scrivere, se O un punto arbitrario:
T
Op +Tc .
Chiameremo p la quantit di moto totale del corpo (per definizione un ente
assoluto, essa diventa una quantit quando si assegnino le opportune unit di
misura). E c il momento
angolare totale del corpo relativamente al punto O.
Consideriamo la F2 (derivata della
precedente): (sistema delle forze che agiscono
sulle singole particelle del corpo), che possiamo anche scrivere:
T
Of +T
,
f la
risultante delle forze relative che
agiscono sul corpo e il momento delle forze relativo al punto O.
Anche se f = 0, il corpo pu avere,
complessivamente, un moto accelerato intorno al baricentro, oltre a un moto
traslatorio uniforme del baricentro, che si aggiunge (algebricamente) a tutte
le particelle (in questo caso sar un bivettore, cioe
una coppia). Ovviamente, un moto intorno al baricentro pu aversi anche quando f
= 0 e p = 0; nel caso particolare di un corpo rigido, si tratterebbe di
un moto rotatorio uniforme (spin).
Notiamo che la relazione che abbiamo scritto
sopra unidentit algebrica e vale qualunque sia il punto O; in particolare, vale se al posto di O mettiamo il baricentro del corpo B, quindi:
T
,
essendo, , la derivata temporale delleventuale momento angolare intrinseco (brevemente:
spin). Quindi:
Of +T = Bf + T
.
O anche:
(ricordiamo che r
la coordinata del baricentro del corpo rispetto ad O).
Dalle precedenti definizioni si pu
concludere:
Per qualunque
osservatore la forza f (in quanto ente assoluto) rester la stessa anche se per i vari
osservatori potr cambiare la loro classificazione tra forze effettive e
forze di inerzia.
Ma questo non significa che non debbano
cambiare i parametri con i quali i vari osservatori individuano tale forza,
ognuno nel proprio riferimento.
Per quanto riguarda il momento delle forze,
losservatore baricentrico pu dire che assoluto, in quanto dipende dalle
forze che si esercitano sulle particelle del corpo; particelle che gli appaiono
girargli attorno con diverse velocit e accelerazioni, ed giusto uguale a ; e
potr dire che gli altri osservatori
ne vedono uno diverso solo a causa della loro diversa posizione.
Se un qualunque osservatore si convince che
non ha alcun senso la quiete assoluta, perch non verificabile
empiricamente, potr sempre assumere, in ogni caso, come leggi universali del
moto, lespressione:
= Of +T
+ T r f ,
e non si preoccuper di sapere se la forza e la coppia che misura siano
effettive o apparenti (dinerzia).
La relazione che abbiamo scritto vale,
ovviamente, anche per una sola particella (un corpo piccolo!), qualunque sia
losservatore O e qualunque sia il
suo riferimento, purch le forze siano quelle da lui misurate e non quelle da
lui ipotizzate, eventualmente potra aversi = 0, se la particella
un corpo effettivamente piccolo in
base alle varie misure sperimentali, indipendentemente dalla sua estensione
geometrica.
E dir che:
il sistema assoluto
di forze che agisce sul corpo; f ne
la sua risultante; s lo spin del corpo, essendone
la sua derivata
temporale (coppia di forze) che dipende dalla posizione relativa di tutte le
altre particelle del corpo; r p il momento
angolare del corpo relativo ad O; e la somma di questi ultimi due termini, c, il momento angolare totale del corpo rispetto ad O.
Supponiamo che si abbia = 0; perch ci si verifichi necessario che siano
separatamente nulli il vettore f e il bivettore T
.
Esaminiamo il caso pi semplice in cui
luniverso sia costituito solo da due particelle mA, nB.
Si avra:
cioe:
le forze
reciproche sono uguali e contrarie ed agiscono nella retta diAB.
Anche nel caso di molte particelle vale la
conclusione che se = 0 deve valere il principio di azione e reazione
nellaccezione forte, per cui possiamo identificare
con il sistema di
forze esterne al corpo; e se
= 0 diremo che il corpo isolato. Se ne deduce che:
solo un
sistema di assi, fisso rispetto al baricentro di un sistema isolato, pu essere
inerziale
e quindi, rigorosamente, solo lo pu essere
un sistema di riferimento fisso rispetto al baricentro delluniverso ammesso
che questo sia finito.
Formalmente:
In un sistema
isolato le forze, di qualunque natura esse siano, agiscono sempre lungo le
rette che congiungono le particelle, dipendono solo dalla distanza relativa tra
le due particelle e le reciproche forze sono sempre uguali e contrarie.
Possiamo asserire qualcosa, senza ricorrere
ad alcuna legge empirica, come del resto abbiamo fatto finora, sulla forma
della dipendenza della forza dalla distanza relativa tra le particelle? Le
leggi empiriche, in ogni caso, ci potrebbero dare solo informazioni molto
approssimate.
Sappiamo gi la risposta se ricordiamo le
considerazioni che abbiamo fatto intorno alla relazione di Gauss:
la sola
possibilit per la legge di forza tra particelle, nello schema democriteo di
atomi e vuoto, la legge
dellinverso del quadrato della distanza.
Notiamo che finora non abbiamo avuto bisogno
di alcuna legge empiricamente derivata; praticamente si sono date soltanto
delle definizioni; Newton, invece, assumeva come ipotesi che la legge dovesse
essere:
Anche se, come qualcuno sostiene, avendo egli
avuto modo di consultare gli inediti di Newton (vedi nota14), che lo
stesso Newton facesse risalire tale legge ai pitagorici (e secondo noi non
improbabile), tuttavia egli, nel rivolgersi ai suoi contemporanei, lassumeva
come ipotesi, giustificandola con il fatto che essa era in grado di spiegare i
moti planetari, le maree, e molti altri fenomeni naturali; tuttavia, non
giurava che essa potesse valere in generale e ipotizzava che, per le cariche
elettriche, le cui forze erano molto pi intense, in futuro, si sarebbe potuto
osservare qualche deviazione; cosa che di fatto il futuro ha confermato. Non si
chiedeva la causa di tale legge, semplicemente perch, allo stato delle
conoscenze empiriche, non si potevano fare ipotesi (stante che lipotesi
cartesiana dei vortici era insostenibile, come meticolosamente si era
impegnato a dimostrare). E, finch non si fossero osservati fenomeni rilevanti,
sarebbe stato assurdo fingere delle ipotesi non verificabili: luna sarebbe
valsa laltra, anche se matematicamente coerenti.
Ma vedremo, subito dopo, che, quando ci si
voglia riferire alle misure sensibili,
laffermazione di Newton non contrasta con il risultato teorico generale
che abbiamo sopra affermato, sullinevitabilit della legge .
Molti interpretano la cautela, che qui
manifesta il grande scienziato, come la propugnazione di un programma
deontologico, secondo il quale bisogna rifuggire dal cercare le cause e ci si
deve limitare alla semplice descrizione dei fenomeni; in altre parole, la
tassonomia dovrebbe sostituire la scienza, secondo il programma aristotelico.
***
Per quanto riguarda lo spin, se losservatore
baricentrico lo vedr variare nel tempo, dir che le particelle del corpo sono
soggette a coppie esterne o, equivalentemente, che le forze che agiscono tra di
esse non agiscono lungo la retta congiungente le due particelle, e il principio
di azione e reazione, se dovesse valere, non lo potrebbe nellaccezione forte.
Il problema del tempo locale non lo
disturberebbe, perch ci riguarda solo i numeri che dalle formule generali si
possono ricavare, quando si siano stabilite le opportune operazioni di misura e
le relative unit di misura; mentre le relazioni, scritte sopra, sono in forma
assoluta.
Scriviamo le relazioni assolute rispetto a
due punti qualsiasi, O e O, che possono, anche, rappresentare le
origini di due riferimenti in moto relativo qualsiasi. Per lidentit algebrica
soprascritta si avr:
.
Se assumiamo che le fi
derivano solo dallinterazione tra tutte le particelle del corpo, secondo il
paradigma democriteo (tale ipotesi non verificabile empiricamente in tutta la
sua generalit, ma solo entro i limiti consentiti dalle nostre operazioni di
misura), allora esse sono assolute, nel senso che non possono cambiare per
effetto del moto relativo dei due osservatori. Ma, naturalmente, varieranno nel
tempo, perch va cambiando la posizione relativa di tutte le particelle;
tuttavia la loro risultante e il momento totale delle forze, rispetto al
baricentro, rimangono invariati per tutti i possibili osservatori; non cos
accade per le loro componenti (cio le misure
sensibili di Newton), le quali possono risultare diverse per i diversi
osservatori.
Spesso nei libri di meccanica si introducono
i concetti di forza assoluta,
forza relativa, forza di trascinamento,
forza complementare.
Conviene esaminarne pi da vicino il loro significato fisico, perch
queste forze apparenti possono modificare il risultato delle osservazioni
empiriche e apparentemente violare
le conclusioni teoriche generali che abbiamo sopra asserito.
Supponiamo che due osservatori O e O′, i quali abbiano scelto terne ortogonali di riferimento diverse e in
moto relativo tra loro, considerino il moto di due punti arbitrari dello spazio
P e A; sia r = P - A il vettore relativo. Tale
vettore , in effetti, un ente assoluto in quanto indipendente da qualsiasi
osservatore. Tuttavia sono diversi i parametri con i quali i due osservatori
scompongono il vettore secondo le rispettive terne ortogonali scelte come
riferimento.
Esaminiamo prima il caso pi semplice, in cui
i due osservatori usino unit di misura simili (cio compiano le stesse
operazioni di misura ognuno nel proprio riferimento; il confronto diretto tra
le unit di misura dei due sistemi, in moto relativo, impossibile e quindi
non ha alcun significato fisico il chiedersi se le stesse operazioni fisiche
fatte nei due sistemi conducano a unit di misura uguali), per cui possono porre uguale ad 1 il
rapporto tra le lunghezze di uno stesso bipunto come misurate nei rispettivi
riferimenti.
In tali circostanze, i vettori unitari della
terna di un osservatore saranno legati a quelli dellaltro da unisometria Ŭ (Ŭ
Ŭ
= Ŭ Ŭ = 1).
Quindi:
r = Ŭ Ŭ r.
Derivando rispetto al tempo si ha:
;
per un teorema generale sulle isometrie,17 esiste un vettore w tale che qualunque sia il vettore r′ = Ŭ r e, in particolare, il primo termine di
diventa:
.
Daltra parte, poich Ŭ operatore lineare sui vettori, si ha: se r = α i + β j + γ k
e r ′ = α i′ + β j′ + γ k′
(essendo i, j, k la terna ortogonale del riferimento di O e i′ , j′ ,
k′ quella di O ′ ),
.
Nel riferimento di O ′,
per definizione, si ha: ; si trova che il termine
coincide con la derivata di r
quando, a sua volta, O si volesse
considerare in quiete.
Per tale ragione, quando si consideri il caso
O = O ′ = A, si dice che rappresenta la velocit assoluta di P, che
si divide in un primo termine w r
che si chiama velocit
di trascinamento e un secondo termine
che si chiama velocit relativa.
Loperatore viene spesso chiamato
la derivata rispetto agli assi mobili e si indica con
. Ma certamente per O
non assolutamente una derivata (non lo neanche per O ′), lo sarebbe solo nel caso che O
si considerasse in quiete, rispetto ad un ipotetico sistema in quiete
assoluta; cosa, per, che pu legittimamente pensare ognuno dei due
osservatori, attribuendo allaltro gli effetti inerziali.
Per cui la
relazione di cui sopra, usualmente, si scrive
.
Ci per dire semplicemente che ha quelle
componenti che avrebbe misurato O (assunto
come riferimento mobile relativamente a un ipotetico riferimento assoluto O ′) se, invece, si fosse considerato in quiete e alla quale si deve
aggiungere (se vuole ottenere il valore effettivamente misurato), per effetto
del moto relativo (che stranamente spesso si chiama moto assoluto) della sua terna, la velocit che avrebbe
misurato O ′ se, a sua volta, il punto fosse stato
fermo rispetto al riferimento di O;
ma, naturalmente e allo stesso titolo, potremmo chiamare assoluta la
velocit di P nel riferimento di O, per il semplice fatto che noi, come
ricordava Newton, possiamo solo osservare i moti relativi.
In effetti i due osservatori misurano la
stessa velocit, varia solo la loro fittizia scomposizione in moto assoluto e
moto relativo, dal momento che nessuno dei due potr mai sapere se fermo
rispetto allipotetica quiete assoluta
o meno; infatti, solo per un ben determinato fenomeno, del quale, per
ragioni puramente teoriche, si riesca a conoscere la legge del moto (cio la relazione
tra accelerazione misurata e forza ipotizzata), si pu, entro gli errori di
misura, stabilire lapprossimata coincidenza con la, matematicamente definita,
quiete assoluta,
che come abbiamo visto potrebbe solo significare il considerare fisso il baricentro
delluniverso, ammesso che esista, ma tenendo presente che anche per tale
ipotetico riferimento, varrano le stesse considerazioni che abbiamo fatto
prima, per il semplice fatto che il baricentro un punto e, invece, il sistema
di riferimento un quadripunto.
Forse la cosa migliore sarebbe quella di
abolire dal linguaggio della fisica termini quali assoluto e relativo,
per il notevole deterioramento semantico subito nel corso dei secoli,
quando appiccicati alla quiete.
Derivando una seconda volta rispetto al tempo
si ottiene:
che con facili passaggi si pu riscrivere:
,
questa viene usualmente scritta:
.
Per le ragioni chiarite sopra, il termine a sinistra
del segno di identit viene chiamato accelerazione
assoluta, la somma dei primi due termini a destra
accelerazione di trascinamento,
il terzo termine a destra accelerazione
complementare e lultimo termine accelerazione
relativa.
Tutti questi termini vengono individuati nel
caso della terra: il primo, dei quattro termini a destra del segno =, si
fa corrispondere alle fluttuazioni che si osservano nella direzione che
individua lasse polare nel cielo delle stelle fisse, il secondo termine rappresenta
la forza centrifuga, il terzo termine laccelerazione di Coriolis, lultimo
si ottiene per differenza, allo scopo di confrontarlo con il valore teorico,
dellaccelerazione di gravit, quando ripulita dalle cosiddette forze apparenti o dinerzia, che tuttavia contribuiscono al valore
empiricamente misurato.
Ma importante notare che la cosiddetta
accelerazione assoluta,
che poi, in effetti, laccelerazione relativa
tra P ed O (od O ′, che lo stesso punto) veramente assoluta, ma nel senso che tutti gli osservatori
ne misureranno sempre la stessa intensit, indipendentemente dal loro moto che
pu solo alterare il valore (il solo direttamente misurabile) delle sue
componenti e la (apparente) classificazione tra forze effettive e forze di
inerzia.
In tal senso si pu accettare il (variamente
interpretato) principio di Mach dicendo, in accordo con gli antichi, che senza
materia non ci sono forze e senza forze non ci sono accelerazioni. Ma queste
sono proprio le ipotesi che stanno alla base della fisica di Newton: infatti
questultimo sostiene che la forza acceleratrice e la forza motrice sono nomi
diversi che diamo alla diversa apparenza sensibile di una sola e medesima cosa
che, ovviamente, deve restare invariata per effetto di una qualunque arbitraria
trasformazione.
Daltra parte, anche dal punto di vista della
matematica, risulta assolutamente banale il fatto che non possibile
trasformare qualcosa se non si suppone che tale qualcosa esista indipendentemente da ogni possibile trasformazione
che possiamo fare su di essa. P. es., la teoria della relativit sostituisce,
nel ruolo di cosa,
il quadrintervallo alla lunghezza; ma si trova in difficolt
nellindividuare la cosa da sostituire
alle forze che agiscono tra due corpi. Ne segue che Mach avrebbe dovuto
rivolgere la sua critica non alla fisica di Newton ma alla sua personale
interpretazione della stessa.
Collalgebra delle sostituzioni si possono
dedurre le relazioni pi generali relative a due riferimenti che non siano
legati da unisometria. P. es., nel caso che uno dei due osservatori scegliesse
come unit di lunghezza la distanza tra due punti, che per laltro osservatore,
invece, apparissero in moto relativo arbitrario, si avrebbe una similitudine,
variabile nel tempo; lo stesso avverrebbe nel caso che le operazioni di misura
del tempo fossero diverse per i due
osservatori e
si avesse un legame arbitrario t ′ = f(t).
Se, inoltre, uno dei due osservatori
assumesse definizioni operative di aree e di volumi diverse dalle usuali (cio
diverse da S = l2 e
V = l3), si avrebbe una sostituzione pi
generale e, in tal caso, se uno dei due osservatori assumesse come valida la
geometria euclidea sarebbe costretto a concludere che quella dellaltro non lo
; e, naturalmente, viceversa.
Sulla identit formale delle leggi della
meccanica e di quelle dellelettromagnetismo, e sulla ingiustificata pretesa
che le leggi della meccanica debbano soddisfare le cosiddette trasformazioni
di Galileo rimandiamo ai nostri articoli, gi citati, nel numero di Aprile 1991
dei Quaderni di Mondotre. Per concludere:
Stimiamo che laver trascurato il calcolo
geometrico del Peano nello studio della fisica sia stata un grandissima
perdita per lo sviluppo della scienza, speriamo, anche, che lopera di Peano
venga risuscitata, per cominciare, nella didattica, alla quale il Peano teneva
moltissimo.
1
G. Peano Opere Scelte, a cura di U. Cassina,
Edizioni Cremonese, Roma, 1958. TORNA
2 G. Boscarino Peano e la filosofia, in Mondotre/Quaderni Ott. 1989. Siracusa. TORNA
3 A. Pagano. Su di unopera dimenticata di fisica di
Boggio e Burali Forti, in Mondotre/Quaderni Ott. 1989. Siracusa; e dello stesso autore: Riflessioni sulla didottica della fisica, ibidem.
Apr. 1991. TORNA
4 S. Notarrigo, Il linguaggio scientifico dei presocrotici
analizzato con lideografia di Peano, in Mondotre/Quaderni, Ott. 1989, Siracusa. TORNA
5 S. Notarrigo, La scienza e la fede,
in Mondotre/Quaderni,
Apr. 1991. Siracusa. TORNA
6 G. Peano Opere Scelte, cit.
vol. III. pag. 142. TORNA
7 Ibidem, II, pag. 389. TORNA
8 A leggere i vari libri
sui fondamenti della matematica, circolanti in tutte le lingue,
sembra che tali assiomi siano i soli contributi di Peano che vengono
menzionati, anche se in modo concettualmente cos distorto che qualcuno,
addirittura, non riesce pi a capire la differenza fondamentale che c con gli
assiomi di Dedekind, per cui propone di assegnare la primogenitura a
questultimo. Tale questione viene trattata da G. Boscarino. Le implicazioni filosofiche del concetto di
numero (Con un saqgio di Peano in Appendice), in Mondotre/Quaderni, Apr. 1991. Siracusa. TORNA
9 Vedi le citazioni pertinenti riportate
nellarticolo citato nella precedente nota. TORNA
10 Pensiamo che ogni
fisico, almeno in qualcuno dei momenti dedicati alla riflessione sulla sua
scienza, si sar chiesto a cosa mai tali ineffabili enti possano servire. Una
usuale risposta che essi servirebbero a semplificare
la dimostrazione di importanti teoremi, o addirittura a dimostrarne altri non
ottenibili con altro mezzo. Ma tale risposta non sembra molto convincente,
visto che Peano riesce a fare tutto quello che serve senza usare tali
misteriosi enti: anzi, asserisce che ogni dimostrazione che usi lassioma di
Zermelo non affatto una dimostrazione secondo
la comune accezione del vocabolo. TORNA
11 Cfr. G. Peano. Calcolo Geometrico, Bocca Editori, Torino, 1888. In una successiva (pi
sintetica) esposizione del suo calcolo Peano scriveva: Ed invero questi vari metodi di calcolo
geometrico non si contraddicono fra loro. Essi sono le varie parti di una
stessa scienza, ovvero i vari modi sotto cui si presenta lo stess soggetto a
pi autori, ciascuno dei quali lo
studia indipendentemente dagli altri.
Poich il calcolo geometrico, come ogni altro metodo, non gi un sistema di convenzioni, ma un sistema di verit.
Cos il metodo degli indivisibili (Cavalieri), degli infinitesimi (Leibniz),
delle flussioni (Newton) sono la stessa scienza, piu o meno perfetta, ed
esposta sotto forme diverse . E pi otre: il calcolo
geometrico ha tutte le propriet del calcolo algebrico sui polinomi. Questa
coincidenza dei due calcoli costituisce limmenso vantaggio del metodo di
Grassmann. Esso permette di operare e ragionare con un grande risparmio di sforzo e di memoria; poichie in questo
nuovo calcolo si opera come in una calcolo gi conosciuto. Questo metodo
risponde quindi al principio del minimo sforzo, il quale sussiste non solo in
meccanica, ma anche in didattica. Cfr. Peano, Opere Scelte, Vol. III. op.
cit., p. 168 e 172. TORNA
12 sorprendente la
disinvoltura con la quale un famoso fisico teorico pu scrivere le
parole di disperazione, qui appresso riportate, nella prefazione di un suo
libro, dove si illustrano i progressi che si sono compiuti, a partire dalla
teoria elettromagnetica di Maxwell: il quale ultimo, peraltro, aveva posto una
grandissima attenzione alle unita di misura, nel suo Trattato; ma, a distanza
di soli tre quarti di secolo da tale Trattato, il nostro moderno fisico
confessa candidamente: personne na pu me dire comment concilier
ladoption des units lectromagntiques
rationelles avec la ncessit pratique de se rfrer des rsultats
exprimentaux exprims dans lancien systme dunits. En dsespoir de cause, jy ai renonc.. Cfr. L. Rosenfeld, Theorie des electrons, Hermann, Paris, 1951. Notiamo che oggi non
si sente nemmeno il bisogno di
chiedere scusa per non sapere come collegare la teoria ai dati sperimentali! TORNA
13 Nella prefazione di uno
dei pochissimi libri di testo tradotti in italiano, dove si fa largo uso delle
forme esterne di Grassmann, si legge: In
meccanica classica si utilizzano metodi e concetti matematici
molto diversi: equazioni differenziali e flussi di fase, applicazioni regolari e variet, gruppi e algebre di Lie,
geometria simplettica e teoria ergodica. Molte delle moderne teorie matematiche
hanno avuto la loro origine in problemi di meccanica e in seguito hanno assunto quella forma astratta ed
assiomatica che ne rende cos difficile lo studio. Vedi V. I. Arnold, Metodi matematici della meccanica classica, Editori
Riuniti, 1979: (per un testo didattico dove, invece, si usa lapproccio con i
quaternioni di Hamilton si veda: D. Hestenes, New Foundations for Classical Mechanics, Reidel, 1987). A nostro parere non lo studio che
viene reso difficile dallastrattezza, la quale se si volesse intendere come astrazione, invece, potrebbe semplificarlo, ma ne risulta difficile la
comprensione quando, dal mondo iperuraneo (sempre facile e bello per
definizione), si voglia scendere sulla terra per applicare il formalismo ai
concetti della fisica; che, se si devono conformare alla natura, potrebbero
risultare incompatibili con le elucubrazioni puramente astratte della nostra
mente, quando non sorrette dal riferimento alle operazioni fisiche, le quali,
spesso, vengono confuse con lintuizione, che nessuno sa cosa mai
possa essere. TORNA
14 Cfr. Pierre Thuillier, Isaac
Newton, un alchimiste pas comme les autres,in La Recherche, n. 212,
Juillet Aot, 1989. TORNA
15 Risulta a noi sorprendente
il fatto che quasi tutti attribuiscano a Newton tale strana idea dello spazio
assoluto in quiete assoluta, che ci sembra, piuttosto, debba attribuirsi
allassiomatizzazione di Eulero, come
mostreremo in altra pubblicazione. TORNA
16 Nella letteratura
moderna, per ragioni per noi incomprensibili, tale banale risultato, enunciato da Peano
nel suo Calcolo Geometrico,
come una semplice applicazione, viene attribuito a Riesz. TORNA
17 C. Burali Forti, T.
Boggio, Meccanica Razionale, Lattes,
1921. TORNA