Sviluppo sostenibile ed economia fisica

Angelo Pagano

 

 

 

 

Lo sviluppo sostenibile

 

Il dibattito aperto sullo “sviluppo sostenibile” ha oramai varcato i limiti della speculazione filosofica riservata a pochi eletti ed è diventato un problema che investe tutta la società.1

Pensare di varcare la soglia del duemila senza dare una risposta efficace a tanti problemi che la questione solleva non sembra più possibile. Ma, per dare risposte sicure bisogna porre i termini della problematica in modo chiaro e senza preconcetti.

Tuttavia, in funzione del particolare punto di vista adottato o, se si vuole, in funzione del paradigma dominante di cui si è consciamente o in­cosciamente paladini o ancora in funzione degli interessi economici che si nascondono dietro questo o quel punto di vista, il problema dello “sviluppo sostenibile” può assumere diverse valenze e non è raro il caso in cui va­lutazioni scientifiche che apparentemente sembrano coincidere, conducano, quando tradotte in interventi concreti, a diverse valutazioni operative. Si pensi, per esempio, al tanto famoso quanto consunto problema dell’“effetto serra” sul quale si sono scontrate, di recente, le più disparate posizioni tenute da specialisti appartenenti in “principio” allo stesso credo “scientifico” ma, in realtà, fortemente condizionati dal sistema economico al quale restano fedeli e dal quale, in definitiva, ricevono onori e stipendio.

Ma, accade di consueto che le contraddizioni sono utili perché conten­gono, sotto forma dialettica, delle verità. Tra queste verità ne esiste una particolare: la ricerca di uno “sviluppo sostenibile” passa attraverso una cri­tica del sistema economico-produttivo dominante. In altri termini, ciò che vent’anni addietro era un dogma intoccabile, la corsa allo sviluppo quanti­tativo, il traguardo di un alto reddito procapite, oggi sembra timidamente messo in discussione, benché i molti pappagalli del sistema economico domi­nante ancora insistano sulla necessità dello sviluppo quantitativo. Si osservi che, all’occorrenza, gli stessi pappagalli, per scopi puramente propagandisti­ci, si riempiono la bocca di attributi cari agli ecologisti quali, ad esempio, “qualità della vita”, “ambiente pulito”, ecc.

Ma non occorre essere specialisti per capire che il concetto di “sviluppo quantitativo” o, in termini economici, la crescita del PIL (prodotto inter­no lordo) nasconde un baco. Nessun medico si azzarderebbe a dichiarare “normale” un bambino in cui si sviluppa la gobba; eppure, l’indicatore PCL (peso corporeo lordo, analogo al PIL) potrebbe indicare dei valori medi del peso corporeo del tutto simili a quelli attribuiti ad un bambino che si svi­luppa normalmente. L’esperienza comune ci insegna che qualunque sistema biologico, raggiunta la maturità, si stabilizza attorno ad un valore del PCL caratteristico, tenuto conto delle condizioni ambientali. Questa banale os­servazione vale anche per un sistema economico che se oltrepassa certi limiti quantitativi (fenomeno analogo all’obesità) rischia l’autodistruzione per la comparsa di meccanismi necessari, interni al sistema stesso.

La caduta dei vari imperi sia in epoca passata che in epoca più recente deve essere ricercata prima di tutto nel livello di sviluppo economico rag­giunto e nei meccanismi di riproduzione.

Il sistema di produzione capitalistico non fa eccezione e attualmente, come dai più riconosciuto, versa in una fase di grave crisi. Come un mostro ferito si dimena a destra e a manca. Già altre crisi lo hanno colpito in passato ma e riuscito a riciclarsi grazie all’avvento di due guerre mondiali. Da qual­che tempo questo sistema si è legato con catene a maglie grosse alle radici stesse della vita sulla terra, se queste non verranno spezzate l’intero pianeta sarà trasportato in un baratro profondo dal quale nessuno sa come e quando uscire. Molte sono le indicazioni che lasciano sospettare uno stato di avanza­ta vecchiaia del sistema economico oggi prevalente (incluso un fenomeno di saturazione del PIL). Tuttavia, i fatti più o meno gravi che oggi si potrebbe­ro elencare con tragica abbondanza non sono da soli sufficienti a convincere nessuno perché qualsiasi fatto, staccato da un contesto generale, potrebbe avere una diversa interpretazione e dietro le interpretazioni si nasconde mol­to spesso la confusione. Allora, bisogna ricorrere alla ragione o se si vuole ad una teoria generale in grado di giustificare i fatti che cadono sotto i nostri sensi.

Il problema della “minaccia ambientale” è venuto alla ribalta drammati­camente da almeno trent’anni sia nei paesi industrializzati che in quelli detti “in via di sviluppo”. Ad un depauperamento delle risorse naturali, costituite in gran parte da patrimonio organico (foreste, suolo fertile, combustibili fos­sili), si contrappone una sovrabbondanza di “beni” di consumo in gran parte concentrati in regioni ad alto reddito procapite. Beni un tempo considera­ti “scarsi” sono oggi assolutamente sovrabbondanti, mentre quei beni che erano considerati “abbondanti” (aria e acqua non inquinate, legname, olio combustibile, ecc.) sono oggi diventati scarsi. Vi è un nesso estremamente chiaro tra questo ribaltamento di valutazioni e la crisi mondiale del sistema economico capitalistico che l’attuale modo di intendere l’economia non riesce a spiegare all’interno della propria “dittatura” di pensiero.

Lo sfruttamento dell’energia (elettrica, termica, nucleare,...) è causa di vaste trasformazioni. Le industrie sono un esempio significativo di come, at­traverso l’intermediario del lavoro umano, enormi masse di materia vengono trasformate in merci destinate al consumo.

Il processo di produzione industriale di merci di consumo implica due fenomeni distinti.

Nel primo fenomeno, che possiamo chiamare fisico, si ha una trasforma­zione di materia da una qualche forma elementare in un’altra forma com­posta. Per esempio, del legname viene trasformato in mobili, dell’alluminio viene trasformato in infissi, dei composti metallici divengono autovetture, ecc. Questo processo avviene attraverso l’uso di energia sotto diverse forme. La natura ci offre diverse fonti di energia ed è compito della tecnica scoprire i modi più idonei per il loro sfruttamento.

Lo sviluppo delle macchine termiche (motori a combustione durante il XX secolo) ha condotto il grado di sfruttamento delle risorse energetiche ad un livello che non ha avuto precedenti in tutta la storia dell’uomo. È noto, ad esempio, come il livello di sfruttamento delle miniere di carbone in Inghilterra sia dipeso dall’uso delle macchine termiche e lo stesso dicasi per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e dei giacimenti dei minerali. Dunque, lo sfruttamento delle risorse energetiche, dal punto di vista del fenomeno fisico, è all’origine dell’enorme sviluppo industriale sia dei paesi a “libero mercato” che di quelli a “socialismo reale”.

Consideriamo adesso il fenomeno, che chiameremo economico, della trasformazione di materia in prodotto per il consumo, cioè in MERCE. In questo tipo di trasformazione, la sostanza primaria da trasformare in merce (sia essa fornita gratuitamente dalla natura benigna o acquistata sotto for­ma di merce) e da destinare al mercato dei consumatori, non si presenta più sotto le spoglie materiali, aggregato di atomi, peso corporeo. Infatti, in quan­to merce, essa subisce un processo di valorizzazione che l’economia volgare rappresenterebbe sotto forma di quanto denaro si ricava rispetto a quello che si investe.2

Il processo di valorizzazione, nella sua brutale crudezza, viene ricondot­to al calcolo del rendimento economico misurato dal rapporto  , dove Dr rappresenta il denaro ricavato, Di quello investito ed η l’efficienza monetaria o profitto monetario.

Di fatto misurare i rendimenti economici in termini di profitto monetario maschera la vera essenza del fenomeno economico riducendolo ad un mero meccanismo di produzione di denaro. Supponiamo per un istante di poter e saper misurare il valore delle merci, non più in termini monetari, ma in termini fisici. Per esempio, si dica che per produrre una vettura di media cilindrata si deve impiegare un certo contenuto di bioenergia pari a quella prodotta da un albero in un anno. Allora si vedrebbe come la produzione di milioni di vetture all’anno comporta, in termini di consumi di biomassa, una vera catastrofe ecologica e si capirebbe immediatamente l’origine della rapida scomparsa di molte foreste antiche anche milioni di anni, con conseguenti fenomeni di sempre più frequenti alluvioni.

Un altro esempio può essere dato dalla produzione di prodotti agricoli. In questo campo negli ultimi anni si e assistito ad un vero e proprio miracolo quantitativo. La legge dell’ottimizzazione del profitto monetario ha prodotto una crescita senza precedenti nelle quantità prodotte. In alcuni settori, negli ultimi trentanni, la produzione è stata mediamente duplicata. Tuttavia, se consideriamo la quantità di risorse impiegate (fertilizzanti, anticrittogami­ci, insetticidi, diserbanti, combustibili, energia elettrica, macchinario, forza lavoro, ecc.) ci accorgiamo che queste, mediamente, sono aumentate, nello stesso periodo, di un fattore 10. L’efficienza globale allora, definita in termi­ni fisici, come rapporto tra risorse ricavate e risorse impiegate, è fortemente calata in tutti i paesi fortemente industrializzati. Ad esempio, in Sicilia si è passati da un rapporto di 2,62 del 1950 ad un rapproto di 1,16 nel 19803. Da questo punto di vista, l’agricoltura statunitense additata ad esempio di massima efficienza versa in una situazione di assoluta schiavitù rispetto alle risorse energetiche impiegate. E si potrebbe continuare, di questo passo, ridefinendo opportunamente i parametri essenziali utili ad una economia in­tegrata per scoprire inaspettate inefficenze del sistema economico sul quale si dovrebbe invece poter scommettere per un futuro migliore. Ma non ci sarà comprensione del futuro senza comprensione del presente, per capire le perversioni del quale suggeriamo di meditare sulle seguenti parole di Albert Eistein:4

“A mio avviso l’attuale decadenza sociale dipende dal fatto che lo svi­luppo dell’economia e della tecnica ha fortemente esacerbato la lotta per l’esistenza e quindi la libera evoluzione degli individui ha subito durissimi colpi... noi vogliamo sperare che gli storici futuri presenteranno le manifesta­zioni patologiche del nostro tempo come malattie infantili, di un’umanità dalle possenti aspirazioni, provocate dalla corsa troppo rapida della civiltà.”

 

 

Economia fisica

 

Malgrado da tempo valenti studiosi abbiano intrapreso lo studio delle interconnessioni tra economia ed ambiente, allo stato attuale non esiste an­cora una teoria economico‑ambientale integrata. Ne segue che molte delle speculazioni sul problema dello “sviluppo sostenibile” appaiono come delle affermazioni staccate tra loro e spesso anche in contrasto reciproco.

Per fondare una teoria integrata dell’economia che abbia generalità suf­ficiente bisognerebbe prescindere da qualunque meccanismo economico par­ticolare e da qualunque modello fenomenologico e procedere a stabilire dei ragionamenti generali o idee applicabili non solo al sistema economico capitalistico, che oggi è il sistema predominante, ma a qualunque sistema economico possibile e immaginabile, quale che sia la sua particolare forma sociale (usi e costumi) e quale che sia il particolare quadro legislativo che lo regoli.

Spogliando il sistema dalle apparenze e dalle particolari forme sociali rimane l’elemento oggettivo ovvero il processo di produzione e le sue con­nessioni con l’ambiente. L’attuale economia che tende a spiegare il sistema economico come il risultato di non meglio identificate leggi della domanda e dell’offerta è incapace di dare la benché minima indicazione sul modo concre­to di risolvere la questione ambientale.

Prescindere dalle apparenze e staccarsi dalle forme particolari e contin­genti significa astrarre dai contenuti empirici quegli elementi universali sui quali fondare i ragionamenti astratti e generali, i quali essendo generali sono facilmente applicabili ad ogni situazione particolare. Del resto numerosi in­dizi ci suggeriscono di percorrere questa via di ricerca, dalla quale i fenomem particolari spesso ci allontanano.

Si prenda, per esempio, l’architettura come esempio concreto di espres­sione sia scientifica che artistica. Sin dagli inizi l’uomo ha costruito le case sempre con gli stessi elementi fondamentali, malgrado le apparenze dei di­versissimi stili che si potrebbero enumerare. Troviamo le fondamenta senza le quali la costruzione sarebbe trascinata dalle tempeste. Troviamo i tetti senza i quali la pioggia invaderebbe l’interno. Troviamo gli ingressi senza i quali si dovrebbe violare l’impenetrabilità dei corpi.

Anche l’economia, intesa come scienza empirico-formale, deve essere fon­data su dati elementari universali comuni a tutte le situazioni economiche siano esse “progredite” o “primitive”.5

Si deve procedere secondo i principi, descritti mirabilmente dal Peano, che nei precedenti numeri dei Quaderni di Mondotre abbiamo assunto come unico criterio di analisi logico-deduttiva universale,6:

“Si scrivano tutte le proprietà che risultano dall’osservazione del mondo fisico. Si scindano queste affermazioni in tante affermazioni semplici; e poi si esamini quali di queste affermazioni sono già implicitamente contenute nelle rimanenti. Procedendo avanti in questo esame, finché sarà possibile, troveremo un gruppo di affermazioni esprimenti verità irriducibili tra loro, e che costituiscono i postulati”.

Allo stesso modo con il quale Peano procede nel campo della matema­tica ‑ fisica, Marx procede nel campo dell’economia ‑ fisica. La sua analisi, che poggia sui due elementi universali “merce” e “valore” è un esempio di rara potenza intellettuale che bisognerebbe leggere quasi in silenzio religioso. Leggiamone qualche stralcio:

“La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come una “immane raccolta di merci” e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l’analisi della merce...

Una certa merce, p.es. un quarter di grano, si scambia con X lucido da stivali, o con Y seta, o con Z oro, ecc.: in breve, si scambia con altre merci in differentissime proporzioni. Quindi il grano ha molteplici valori di scambio sostituibili l’un con l’altro o di grandezza eguale tra loro...

Prendiamo poi due merci: P. es. grano e ferro. Quale che sia il loro rapporto di scambio, esso è rappresentabile in una equazione, nella quale una quantità di grano è posta come eguale a una data quantità di ferro, p.es., un quarter di grano un quintale di ferro. Che cosa dice questa equazione? Che in due cose differenti, in un quarter di grano come pure in un quintale di ferro, esiste un qualcosa di comune e della stessa grandezza. Dunque l’uno e l’altro sono uguali ad una terza cosa, che in sé e per sé non è né l’uno né l’altro...

Questo qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fi­sica, chimica o altra qualità naturale delle merci. Le loro prorietà corporee si considerano, in genere, soltanto in quanto le rendono utilizzabili, cioè le rendono valori d’uso. Ma d’altra parte è proprio tale astrarre dai loro valori d’uso che caratterizza con evidenza il loro rapporto di scambio delle merci...

Come valori d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un atomo di valore d’uso.

Ma, se si prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una qualità, quella di essere prodotti del lavoro...

Dunque, un valore d’uso o bene ha valore soltanto perché in esso viene oggettivato, o materializzato, lavoro astrattamente umano. E come misurare ora la grandezza del suo valore? Mediante la quantità della “sostanza valo­rificante”, cioè del lavoro, in esso contenuta. La quantità del lavoro a sua volta si misura con la sua “durata temporale”...

Potrebbe sembrare che, se il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro spesa durante la produzione di essa, quanto più pigro o quanto meno abile fosse un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiché egli avrebbe bisogno di tanto più tempo per finirla. Però il lavoro che forma la sostanza dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza-lavoro umana. La forza-lavoro complessiva della so­cietà che si presenta nei valori del mondo delle merci, vale qui come unica e identica forza-lavoro umana, benché consista di innumerevoli forze-lavoro individuali.., e dunque abbisogna, nella produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario...

“come valori, tutte le merci sono soltanto misure determinate di tempo di lavoro coagulato.”7

La definizione della misura della grandezza di valore proposta da Marx è esattamente un esempio di quello che un fisico chiamerebbe definizione operativa di una grandezza fisica ovvero di un ente suscettibile di misurazione quantitativa. In altri termini sia a una merce scelta una volta per tutte come campione e sia ta il Tempo Socialmente Necessario per la sua produzione, allora detta b una qualunque altra merce si ha, con ovvio significato dei simboli:

 

(valore di a) : (valore di b) = (ta : tb)

 

che rappresenta l’espressione di omogeneità fondamentale del processo di misura. Da questa espressione si vede come solo i rapporti di scambio delle merci sono determinabili quantitativamente.

La scelta del Tempo Socialmente Necessario per la misura del valore è in qualche misura arbitraria, nel senso che si potrebbe scegliere, a convenienza, un qualunque altro parametro proporzionale.

Si manifesta, in questo caso, la stessa arbitrarietà che si ha nel processo di misura di qualunque altra grandezza fisica. Tuttavia la scelta operata da Marx è quanto mai opportuna proprio in vista di una connessione diretta tra valore di una merce e risorse naturali in essa trasferite tramite il processo di produzione. Infatti l’attività umana viene gestita come strumento potente con il quale si realizza il depauperamento delle risorse naturali, come ci dice chiaramente lo stesso Marx, che a buon diritto deve essere annoverato tra i primi e più consapevoli ecologisti della storia:

“La grande industria e la grande agricoltura gestite industrialmente ope­rano in comune. Se esse originariamente si dividono per il fatto che la prima dilapida e rovina prevalentemente forza-lavoro, e quindi la forza naturale dell’uomo, e la seconda la forza naturale della terra, più tardi esse si danno la mano, in quanto il sistema industriale nella campagna succhia l’energia anche degli operai, e l’industria e il commercio, dal canto loro, procurano all’agricoltura i mezzi per depauperare la terra”8.

Nella nostra visione del processo di produzione ci atterremo a questa idea fondamentale: La grandezza del valore di una merce, che denoteremo con il simbolo ΔS, in quanto cristallizazione di lavoro umano, è direttamente misurabile dal contenuto di bio-energia fornita dal lavoratore il quale deve reintegrare la sua forza produttiva a spese di energia libera a sua volta sottratta all’ambiente sotto diverse forme.

Avendo individuato gli elementi su cui fondare l’economia fisica si può lasciare il mondo della comune esperienza e procedere attraverso gli stru­menti della logica deduttiva esattamente allo stesso modo di come si fa in qualunque altra scienza empirico-formale. Si otterranno in questo modo delle proposizioni universali e generali che permetteranno di giustificare, attraver­so opportune analisi quantitative, l’evoluzione temporale di un qualunque sistema economico una volte stabilite le condizioni di partenza del sistema stesso.

Di fatto, quest’analisi formale è stata sviluppata a suo tempo da S. Notarrigo ed in questo contributo mi limiterò ad utilizzare liberamente alcuni di quei risultati, lasciando al lettore interessato il piacere della lettura diretta dei lavori originali.9

Qualunque sistema economico deve essere in grado, in primo luogo, di garantire la riproduzione delle condizioni materiali di sussistenza del sistema stesso. Intanto osserviamo che per produrre certe quantità di beni, ad es. ql tonnellate di grano, q2 quintali di ferro, q3 kilometri di cavo elettrico, ecc., bi­sogna utilizzare necessariamente certe quantità di grano (sementi, pane degli agricoltori, ecc.), certe quantità di ferro (falci, martelli, ecc.), certe quanti­tà di cavo elettrico (trasporto di elettricità, ecc.), ecc., dunque la macchina economica deve essere in grado di reimpiegare le quantità prodotte (output) attraverso un sistema di riproduzione per ricrearle in un ciclo successivo.

Indicando con ψout l’insieme di tutte le quantità prodotte in un ciclo, ordinate per esempio secondo il vettore riga (ql, q2, q3,…, qn), con ψin l’in­sieme di tutte le merci utilizzate nella produzione, deve necessariamente va­lere l’uguaglianza:

 

ψout - ψin = δ ψ = r (t)  ψin

 

dove r(t) rappresenta l’incremento percentuale del prodotto in un ciclo pro­duttivo. Scegliendo la durata di un ciclo economico pari ad un tempo δt suf­ficientemente piccolo, rispetto ad un tempo globale di evoluzione del sistema (ad esempio un anno rispetto ad un secolo), ma grande in modo da poter mediare opportunamente su eventuali oscillazioni produttive dovute a cause esterne al sistema ma che su di esso hanno effetto come perturbazioni “casu­ali” (per esempio, un cambiamnto momentaneo del clima, un possibile guasto alle centrali elettriche, ecc.), è conveniente riscrivere l’uguaglianza nella for­ma:

 

δ ψ = R (t)  δ t ψ ,

 

dove si è indicato con   l’incremento per unità di tempo (in pra­tica l’incremento annuo). L’ultima espressione ha la forma di un’equazione differenziale ben nota. In altre parole, il vettore delle quantità al variare del tempo t deve mostrare un andamento dato dall’espressione:

 

 

dove si è indicato con ψ0  il vettore delle quantità ad un determinato momento considerato come iniziale. Per un incremento annuo costante R(t) = R0 si otterrebbe un andamento esponenziale sia per le quantità che per l’ammon­tare complessivo del valore di tutte le merci presenti sul mercato secondo l’espressione:

 

 

Ovviamente l’andamento del sistema (che per il momento è rappresen­tato simbolicamente dal vettore ψ dipende drasticamente dal valore di R0. Solo per valori positivi di R0 il sistema può espandersi e si ottiene un regime di “riproduzione allargata”, mentre per valori non positivi il sistema tende al collasso in tempi più o meno lunghi.

Notarrigo analizza in dettaglio le condizioni fisiche caratteristiche della riproduzione del sistema economico collegando i possibili valori di R0 con i coefficienti tecnologici di produzione presenti in quel momento, che in ultima analisi condizionano la produzione delle merci.

La condizione di riproduzione economica viene descritta da un opera­tore lineare P a dimensione finita, cioè una matrice n x n, che opera sul vettore delle merci per produrre un altro vettore merci, generando un ciclo riproduttivo:

 

(1)                                                        P ψ = z ψ ,

 

ove si pone   , essendo T  il periodo di tempo scelto per rappresen­tare un ciclo riproduttivo completo.

L’ultima equazione per ψ è, dal punto di vista della matematica, una equazione, detta agli autovalori, che in generale ammette soluzioni solo sotto la condizione che det (P zI) = 0 essendo I  la matrice unità. Le incogni­te di quest’ultima relazione sono proprio quei valori di z che, in definitiva, determinano in modo necessario lo sviluppo economico.

Per una data matrice P, in generale, si avranno al massimo n autovalori distinti zi , con i = 1,…,n che sostituiti nell’eq. (1) permettono di ricavare gli n autovettori ψi ,  (i = i,…,n).

In generale, per un sistema complesso, quale ad esempio un sistema eco­nomico sufficientemente vasto, trovare gli autovalori e i corrispondenti auto­vettori può risultare estremamente difficile anche utilizzando i più potenti calcolatori in nostro possesso.

Senza entrare nel dettaglio della questione, per la quale rimandiamo alle analisi di Notarrigo, si può far vedere che sotto opportune condizioni sui coefficienti produttivi della matrice di produzione P esiste sempre ed è unica la soluzione economicamente rilevante della eq. (1) e si possono avere tre casi distinti:

a) z < 1 il sistema economico è detto a riproduzione allargata, detto ψ0  l’autovettore corrispondente, il sistema economico si espanderà nel tempo secondo l’eq. (1);

b) z = 1 il sistema economico è detto a riproduzione semplice. Il sistema è capace di riprodurre ad ogni ciclo solo le quantità in input. Necessariamente il sistema risulta economicamente instabile per mancanza di scorte (alimen­tari, tecnologiche, ecc.). Una qualunque pertubazione sarà avvertita in modo critico.

c) z > 1 il sistema economico non è in grado di riprodursi nel tempo, la produzione tenderà verso valori via via decrescenti e le condizioni materiali della sopravvivenza vengono compromesse.

Le condizioni materiali dello sviluppo economico sono dunque determi­nate unicamente dai coefficienti tecnologici della matrice di produzione che tuttavia possono variare nel tempo determinando, in molti casi, il passag­gio, in tempi più o meno lunghi rispetto alla vita media di un individuo, il passaggio da un regime economico ad un altro.

È banale a questo punto osservare, che solamente in fase di riproduzione allargata si possono creare le condizioni adatte per la formazione di classi sociali che non siano direttamente produttive o anche di classi addirittura completamente parassitarie. Ne segue che né un sistema economico fondato sullo sfruttamento del lavoro “schiavistico”, ne un sistema economico basato sullo sfruttamento di lavoro “salariato” possono sopravvivere in condizioni di riproduzione semplice.

Ovviamente sotto le condizioni della riproduzione allargata il sistema economico può concretizzarsi sotto diverse forme particolari (di cui il capita­lismo è una possibile forma, ma non l’unica!).

Infatti, trovate le condizioni ottimali per la produzione del sovrappiù di prodotto, resta ancora, naturalmente, un’ampia libertà di scelta per le condizioni materiali del suo impiego.

Il sovrappiù può essere completamente utilizzato sotto la forma del consumo interamente produttivo, cioè reinvestito totalmente nel ciclo riprodut­tivo. Le quantità prodotte aumentano allora continuamente ed il fenomeno è simile al comportamento di un’altalena sollecitata da una forza impulsiva avente frequenza uguale alla frequenza propria di oscillazione dell’altalena (autovalore).

Oppure, tale sovrappiù, potrebbe essere consumato tutto improduttiva­mente. In questo caso il valore viene trasferito in oggetti visibili, quali ad esempio, cattedrali e templi maestosi, oppure ospedali e scuole gratuite, ecc.

Ancora, il di più può in parte essere impiegato produttivamente ed in parte improduttivamente.

In generale la quota da assegnare al consumo improduttivo dipende da scelte esterne al sistema economico. Un sistema economico che tendenzial­mente si muove verso le condizioni del massimo impiego del sovrappiù in favore di consumo produttivo assume una forma sociale caratteristica e lo chiameremo semplicemente sistema “capitalistico”.

È utile notare che, sotto condizioni di sviluppo capitalistico, l’ammontare dei consumi energetici, che è sempre proporzionale alle quantità di merce prodotta deve presentare un comportamento di crescita esponenziale.

L’analisi dei consumi energetici a livello mondiale conferma una crescita esponenziale dei consumi in tutti i paesi idustrializzati praticamente dagli inizi del secolo fino a circa il 1980 con un raddoppio dei consumi energetici circa ogni otto anni. A seconda delle nazioni, il dato può leggermente variare ma nella sostanza rimane confermato in tutti i paesi a riproduzione allargata e alto investimento riproduttivo.

Impressionante, a dir poco, è stata la crescita del sistema sovietico nel periodo che va dal 1930 al 1960, malgrado l’avvento della seconda guerra mondiale.10 All’interno di uno schema di pensiero di economia “liberista” questo fatto è rimasto un mistero e di fatto come tale viene presentato ancora oggi. Infatti, una volta deciso che lo sviluppo economico dell’unione sovietica era da accettare come fatto empirico “tout court”, come una di quelle stra­nezze storiche di cui ogni tanto ci delizia il “caso”, è sembrato ancora più paradossale che nel giro di qualche anno quel sistema si sia frantumato.

All’interno dello schema teorico sopra delineato i misteri scompaiono e rimangono solo le certezze logiche che anche nel caso dell’URSS ci indicano dei criteri sicuri per interpretare non solo la rapida crescita economica di quel sistema ma anche la sua rovinosa caduta.

Una macchina economica di tipo capitalistico si comporta, per quanto detto, come un amplificatore di quantità a “feedback” positivo e cioè tale da riciclare completamente l’output prodotto amplificandolo enormemente.

Ad ogni ciclo il vettore delle quantità ψ viene amplificato in modo che tutti i rapporti tra le varie quantità rimangono pressappoco identici. Ovvero il sistema permane in un autostato e si osserva un fenomeno di risonanza gigante nei valori assoluti delle quantità.

In queste condizioni l’ammontare complessivo del prodotto lordo de­ve essere uguale all’ammontare complessivo di valore prodotto, e dunque, all’ammontare complessivo di lavoro umano impiegato. Inoltre, assegnando convenientemente un numerano o merce moneta si potrà assimilare il sovrap­più con il DENARO ricavato alla fine del ciclo di produzione e la macchina economica risulta simile, come vedremo in seguito, ad una macchina termica.

Ma, per il momento, analizziamo ancora, con l’aiuto di un poco di mate­matica, alcune proprietà della quantità R(t), il cui andamento in funzione del tempo influenza in modo determinante le possibili involuzioni di un sistema a riproduzione allargata.

In primo luogo, è chiaro che in situazioni di produzione allargata, ed a maggior ragione sotto condizioni a prevalenza capitalistiche, al crescere del sovrappiù aumenta l’investimento produttivo.

In secondo luogo, all’aumentare dell’investimento produttivo aumenta la quantità di energia consumata ogni anno dal sistema economico. Ma, sotto opportune condizioni di equilibrio termodinamico del sistema biofisico terrestre, i consumi complessivi sono proporzionali alle variazioni di energia libera sottratte all’ambiente esterno.

In ultima analisi, il sovrappiù annualmente prodotto dall’intera società risulta proporzionale alla variazione di energia libera per cui si può porre:

 

 

dove K indica una costante universale dimensionale ed E indica l’energia libera funzione a sua volta del tempo.

In fase di espansione quantitativa (crescita esponenziale) per la funzione f (E) si deve avere: f(E) » kE. In queste condizioni, la crescita economica sembra procedere senza limiti ed è tale da far dimenticare ogni problema rela­tivo all’ecologia perché semplicemente seppellito dai “successi consumistici” del sistema alimentati dalla legge del profitto. I problemi dell’inquinamento appaiono come insignificanti storture, e di fatto ancora oggi continuano ad essere teorizzati come tali dai mass-media, supponendo che, all’occorrenza, potrebbero anche essere corretti da un uso “intelligente” di nuove tecnologie: si genera il mito dello sviluppo quantitativo.

Per capire per quale motivo questo mito deve essere abbandonato e perché occorre con urgenza porre un freno allo sviluppo quantitativo ci ser­viremo dell’analogia tra funzionamento del sistema economico capitalistico e funzionamento di una macchina termica o motore a combustione.

Questa analogia ci permetterà di utilizzare termini noti a tutti e di tirare tuttavia delle considerazioni generali e dunque applicabili ad un qualunque sistema economico a riproduzione allargata ed in particolare al sistema capi­talistico.

 

 

Il ciclo economico ideale di Marx

 

A tutti è capitato di vedere sollevarsi il coperchio della pentola dell’acqua in ebollizione a causa del vapore che ivi si sprigiona. Un motore a vapore si può schematizzare con un forno dove avviene la combustione di qualche elemento (legno, carbone,...), di una caldaia dove il vapore viene portato ad alta pressione, di un cilindro dove il vapore spinge un pistone e di un condensatore dove il vapore ritorna allo stato liquido (acqua) per ritornare nella caldaia.

La produzione del movimento nelle macchine a vapore è accompagnato da un fatto al quale bisogna prestare attenzione. Il fatto consiste nel pas­saggio di energia termica (calore) da un corpo dove la temperatura è alta (serbatoio caldo), l’aria del forno, ad un altro dove essa è notevolmente più bassa (serbatoio freddo), l’acqua fredda del condensatore. Infatti il calore, sviluppato nel forno per effetto della combustione, attraversa le pareti del­la caldaia dove prepara il vapore ad alta temperatura e ad alta pressione. Il vapore, ricco di contenuto energetico, invade un cilindro e produce un movimento di una qualunque parte mobile (turbina, pistone ecc.), infine il vapore che ha perso la gran parte della sua spinta propulsiva passa nel condensatore dove si liquefà al contatto con l’acqua che incontra. Ricordando che al momento dell’evaporazione l’acqua assorbe calore e al momento della condensazione cede calore vediamo che l’acqua fredda del condensatore si impossessa di calore sviluppato nella combustione.

In modo perfettamente analogo la macchina economica, che andremo delineando, ha bisogno, in primo luogo, di un MERCATO dove essa assorbe una quantità di danaro ΔD1. L’assorbimento avviene grazie allo scambio di merce che ha una certa quantità di valore ΔS. In modo del tutto analogo al concetto di temperatura assoluta della termodinamica, e sostituendo al concetto di calore quello di denaro e al concetto di entropia quello di valore della merce, si misura la produttività T del mercato con il rapporto .

Quindi la produttività misura il rapporto tra grandezza di denaro assor­bito dalla macchina economica e la grandezza di valore delle merci immerse nel mercato.

In secondo luogo, la macchina economica ha bisogno di un MERCATO del LAVORO in cui una quantità di denaro ΔD2 viene scambiata con una data quantità di forza lavoro, che analogamente al processo di raffreddamento che avviene nel serbatoio, cede una quantità di valore Δ′, che la macchina utilizzerà per la produzione delle merci.

Analogamete si misura la produttività del mercato della forza lavoro dal rapporto: .

Analizziamo in dettaglio le uguaglianze introdotte. La forza lavoro viene impiegata produttivamente per valorizzare le merci da trasferire sul mercato. Ovvero, è la forza lavoro che rende possibile che la merce scambiata abbia quel valore ΔS. Dunque è necessario che si abbia Δ³ ΔS .

Inoltre, affinché il ciclo economico possa essere efficiente, dal punto di vista del rendimento monetario, si deve necessariamente avere ΔD2 £ ΔD1. Ovvero il denaro investito sul mercato del lavoro deve essere inferiore a quello ricavato sul mercato delle merci.

Da queste considerazioni segue banalmente che la produttività sul mer­cato del lavoro deve essere sempre più bassa di quella presente sul mercato delle merci: T2 £ T1 , come del resto avviene nelle macchine termiche in cui la temperatura della sorgente fornitrice di calore deve essere notevolmente più alta di quella necessaria per il raffredameto del liquido impiegato.

Ed ecco un primo basilare concetto di macroeconomia capitalistica: il sistema produttivo implica necessariamente la presenza di due mercati, un mercato del consumo ad alta produttività ed un mercato del lavoro a pro­duttività molto più bassa.

A parità di condizioni, il percorso del denaro segue il cammino a pro­duttività minore (analogamente al percorso del calore), o in altri termini gli investimenti di denaro destinati al mercato del lavoro si riversano verso quei mercati in cui la produttivià garantisce il massimo dei profitti monetari.

Questa circostanza è ampiamente verificata nella fase avanzata di svi­luppo industriale nella quale gran parte delle merci viene manifatturata in paesi del terzo mondo per essere consumata nei paesi ricchi.

Vediamo più da vicino il processo.

Nel processo di acquisizione di forza lavoro la macchina economica pre­leva una quantità Δ di valore sotto forma di energia libera del lavoratore (cervello, muscoli, ecc.) e la consuma produttivamente trasferendo il valore alle merci. Alla fine del processo produttivo la forza lavoro ha esaurito le sue potenzialità biologiche e dunque è costretta ad uscire dalla fase di valoriz­zazione per affacciarsi al mercato del consumo. La sua produttività diventa uguale a quella del mercato delle merci: il lavoratore diventa consumatore!

Le merci ricche di valore invadono il mercato e vi attirano denaro fino a che tutto il valore prodotto viene interamente scambiato. La forza lavoro che aveva perso gran parte della sua spinta propulsiva consuma improdut­tivamente il denaro ricevuto (salario) e ritorna a reintegrare le sue capacità produttive.

Alla fine del ciclo economico il sistema avrà realizzato un flusso reale netto di capitale produttivo, L (ovvero reinvestibile interamente) dato dalla differenza dei flussi monetari reali:

 

(2)                                                                    L = D1 - D2.

 

In effetti l’eq. (2) è vera solo se si trascurano le “perdite” di denaro che avvengono nella pratica attraverso tutto il percorso che indirizza il valore lungo il percorso di mercato e tutti i fenomeni inflazionistici dovuti alle com­ponenti parassitarie e speculative (incluse le tangenti, le mediazioni bancarie, ecc.)

Più realisticamente si dovrebbe scrivere:

 

L = D1 - D2 - e .

 

È noto come il maggiore sforzo dei governi sia indirizzato verso misu­re adatte a rendere i processi inflazionistici quanto più piccoli possibili. Per rendere conto di questi effetti è tecnicamente vantaggioso distinguere tra flus­so reale di capitale produttivo, ΔL, flusso inflattivo di capitale produttivo, ΔH e flusso nominale di capitale produttivo, ΔM. I tre concetti vengono perfettamente distinti se si introduce in modo opportuno il sistema dei prez­zi. Senza entrare nei dettagli della questione, la relazione formale che deve esistere tra le tre quantità deve essere sempre data da: ΔH = ΔL + ΔM .

Ricordando che in generale l’efficienza monetaria del sistema produttivo viene misurata in termini del rendimento,  η, si ottiene:

 

 .

 

Un rapido sguardo a quest’ultima equazione suggerisce che l’efficienza diviene massima quando i due rapporti  e  vengono resi i più piccoli possibili. Per stabilire idee generali è teoricamente vantaggioso riferirsi al caso “ideale” in cui le inflazioni siano nulle (ΔM = O). Questo presuppone che non vi siano scambi di denaro con sistemi diversi dal mercato dei consumi e dal mercato della forza lavoro (il sistema bancario può essere mantenuto se l’ammonatare delle scorte si trova ad un livello sufficientemente alto).

L’analogo termodinamico si ottiene supponendo che non vi siano perdite di calore negli ingranaggi del macchinario (le pareti devono essere isolate e gli attriti devono essere nulli).

In queste condizioni “ideali”, la termodinamica ci indica un limite mas­simo per la produzione di lavoro che può essere ottenuto da qualunque mac­china termica che lavori in condizioni di reversibilità. Questo limite è stato ottenuto da Sadi Carnot nel 1824 ed è la base del secondo principio della termodinamica.11

Siano T2 e T1, le temperature assolute del condensatore (sorgente fredda) e del forno (sorgente calda), rispettivamente, supposte costanti durante il ciclo, allora, qualunque macchina termica “ideale” che funzioni scambiando calore con le due sorgenti deve avere un rendimento non superiore al valore dato dalla relazione:

 

(3)                                                        .

 

Quest’ultima relazione può essere data a fondamento del secondo prin­cipio della termodinamica. Generalmente, nei libri di termodinamica, si aggiunge un terzo principio, detto dell’irraggiungibilità dello zero assoluto, T2 = 0, che impedisce di avere un redimento pari all’unità. Nel caso del pro­cesso economico produttivo di valore un tale principio risulta assolutamente inutile, come vedremo in seguito.

Ricordiamo semplicemente che il risultato del Carnot si ottiene utiliz­zando come sistema termodinamico un gas ideale, ovvero un gas che nei suoi stati di equilibrio sia descritto da un’equazione di stato che lega la pres­sione, P, il volume, V, e la temperatura, T, per il tramite della relazione: PV nRT, dove n è il numero molare ed R una costante. Il gas viene compresso e rarefatto ciclicamente attraverso un cammino reversibile chiuso dalla sequenza di trasformazioni: ISOTERMA (temperatura T1, costante) ‑ ADIABATICA (scambio di calore nullo) - ISOTERMA (temperatura T2 costante) - ADIABATICA

Il ciclo termico di Carnot si basa sull’ipotesi forte di reversibilità termo­dinamica. Senza entrare nel dettaglio del concetto di irreversibilità,12 qui ci basta solo sapere che la reversibilità significa in sostanza che, nel ciclo sopra descritto non deve restare nessuna traccia del processo né nell’ambiente che ha reagito con il gas (serbatoio di calore), né nel gas impiegato. Conclusosi il ciclo tutto ritorna come se nulla fosse successo! Ovviamente questa ipote­si e sostenibile teoricamente solo invocando sorgenti di calore, praticamente infinite, tuttavia questo risultato ha permesso di risolvere una quantità di problemi pratici che hanno condotto, nel tempo, ad un notevole sviluppo del motore.

Osserviamo che anche in quel caso la negaentropia sottratta al serba­toio freddo (leggasi ordine molecolare) deve uguagliare quella trasferita al serbatoio caldo in condizioni di reversibilltà. Ma l’esperienza più comune ci dice che il funzionamento di una macchina termica “reale” implica una sorgente di irreversibilità per l’ambiente. Nel caso della macchina a vapore, ad esempio, il mantenimento della temperatura costante nella sorgente calda è garantito dal consumo di carbone o altro combustile che deve essere sot­tratto all’ambiente naturale. Al posto del combustibile la macchina termica ci riconsegna una uguale massa di materia sotto forma di scarico (leggasi inquinamento). Anche il serbatoio caldo, essendo di grandezza finita, dopo breve tempo, si riscalderebbe per il fatto di avere assorbito calore. L’efficien­za decrescerebbe nel tempo. Allora, per garantire la costante temperatura del serbatoio freddo, bisogna sostituire il refrigerante con altro refrigerante sottratto all’ambiente (leggasi inquinamento).

Per il rendimento monetario di un ciclo produttivo vale esattamente il risultato espresso dall’eq. 3, dopo l’ovvia trasformazione semantica dei termini, il ciclo economico è l’analogo del ciclo di Carnot, in economia lo chiameremo ciclo ideale economico di Marx 13.

Il ciclo, considerato “astrattamente”, si sviluppa secondo quattro fasi. Nella prima fase viene acquisita una certa quantità di forza lavoro prelevata dal mercato a produttività T2 in cambio della quantità di denaro ΔD2. Nella seconda fase, acquisita la forza lavoro, questa viene consumata produttivamente nel ciclo di produzione per creare il valore ΔS, sotto forma di merci. Nella terza fase, il valore viene scambiato interemente sul mercato del consu­mo a produttività T1 con la quantità di denaro ΔD1. Infine, la forza lavoro reintegra le sue potenzialità consumando merce prelevata sul mercato.

Il ciclo economico ideale implica dunque un trasferimento, dal mercato della forza lavoro verso il mercato del consumo, di certe quantità di valore che necessariamente devono essere prelevate dall’esterno del ciclo stesso in modo perfettamente analogo a quanto avviene nel processo di combustione delle macchine termiche. Questo valore che la forza lavoro cristallizza nelle merci non può essere una sostanza corporea, come abbiamo avuto modo di ribadire precedentemente.

Non resta che identificare il valore con la negaentropia sottratta all’am­biente sotto la forma di “bene biologico” che, nella sua ultima essenza, viene fornita dal processo di trasformazione dell’energia solare in biomassa.

Il limite dello sfruttamento economico è dunque legato ad un bilancio delicato tra quantità di inquinamento prodotto dal consumo delle merci (utili o inutili che siano) e la quantità di biomassa necessaria per il “riciclaggio” dell’ecosistema. Ma, tale recupero di risorse può avvenire solo entro ben determinati limiti biologici e su una scala di tempo dell’ordine dei millenni.

È da questo punto che si deve partire per la costruzione di una teoria economica integrata la quale metta al primo posto non più il concetto di “profitto monetario” ma quello di ottimizzazione dello sfruttamento delle risorse ancora esistenti sulla terra.

Le cose nella “realtà” vanno ancora peggio di come si potrebbe sospet­tare da un’analisi del ciclo ideale proposto. Infatti, mentre Marx da quel grande genio che era, astraeva dalle peculiarità presenti nella natura umana, queste ultime emergono in modo preponderante in una fase di espansione non controllata dei consumi sotto la forma di quelle che Marx chiamava le “furie dell’interesse privato”, come, del resto, l’esperienza più elementare ci suggerisce e come il sistema delle “tangenti” conferma ampiamente.

Ed ecco comparire tutta una schiera di approfittatori, iene e sangu­isughe che provvedono, obbedendo alla cieca legge del “profitto”, a trasfor­mare, anche grazie alla pubblicità, degli individui pensanti in cieche macchine consumistiche. La quantità di merce inutile cresce a dismisura assieme alla cattiva qualità dei prodotti. Tutto ciò che serve al “profitto monetario” viene venduto, anche i veleni. Se qualcosa, anche se è costata duro lavoro umano, non è funzionale alla legge del profitto viene distrutta (vedi la macera degli agrumi) e alla fine tutto si riduce in una massa enorme di rifiuti urbani ed extraurbani.

Alla fine ciò che resta del consumo non è altro che cenere priva di ogni contenuto vitale, (qualche traccia ancora presente potrebbe all’occorrenza essere riassorbita da un sistema di “riciclaggio” di scorie) e tale cenere si presenta sotto la forma di sporcizia di ogni genere che deve necessariamente essere dispersa nell’ambiente (leggasi inquinamento).

Il processo economico di produzione capitalistica appare allora come un’enorme pompa di plusvalore che estratto gratuitamente dall’ambiente sot­to forma pregiata viene in esso reinserito sotto la forma di immondizia. E la terra si trasforma, a poco a poco, in un enorme pattumiera. Fino a che le basi riproduttive del sistema biologico sono in grado di reintegrare, grazie all’azione incessante del sole, dell’acqua pura, dell’aria e della terra, questo deficit negaentropico, il sistema si sviluppa ma, dal momento in cui il bilancio sarà negativo (desertificazione, scomparsa della fauna e della flora, comparsa di malattie nuove, disastri ambientali di ogni genere) gli stessi coefficienti produttivi che garantivano fino a quel momento l’espansione esponenziale si rivoltano contro il sistema. I rendimenti fisici (rapporti tra ouptput di valore prodotto ed input di valore impiegato) decrescono e inizia un generale impo­verimento delle masse produttive e della società. Compaiono i terzi, i quarti, i quinti mondi. Le città si riempiono di poveri e di quartieri malfamati. La disoccupazione aumenta incessantemente e nasce spontanea la perversione dell’idea dello stato forte. Le classi più forti, nella vana illusione di salvare se stesse, affamano sempre più i poveri privandoli anche del necessario. E l’es­sere umano viene visto solo sotto forma di merce di scambio, lo si ammazza per sottragli il sangue, il cuore, il fegato.

Ma, questo non è un mondo che deve venire, perché è il mondo che viviamo già.

C’è una via di uscita da questo inesorabile processo?

L’unica possibilità sembra quella di abolire la legge del profitto che viene chiamata “liberismo”.

Tuttavia una programmazione economica non è possibile in una società complessa come la nostra, come dimostra il fallimento delle società dette del comunismo reale”.

Forse l’unica via di scampo potrebbe essere una considerevole riduzione della base economica della programmazione simile alle antiche città stato.

Tale proposta non si deve confondere tuttavia con la varie proposte di “federalismi”, che oggi vengono avanzate e che hanno a che fare solo con l’or­ganizzazione politica e non con quella economica, la quale ultima, come Marx insegnava, decide dell’organizzazione politica; infatti non si può attaccare il carro davanti ai buoi!

 

NOTE

 

1   Vedi ad es. Il futuro di noi tutti, Rapp. Comm. Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, Bombiani, 1988.   TORNA

2   Useremo il termine di economista “volgare” nel senso indicato da Marx: “Osservo una volta per tutte che per economia politica classica io intendo tutti gli studi economici, da W. Petty in poi, i quali hanno indagato il nesso interno dei rapporti borghesi di produzione, in contrasto con l’economia volgare; quest’ultima si aggira soltanto entro il nesso apparente, e torna sempre a rimuginare di nuovo, allo scopo di rendere comprensibili in maniera plausibile i cosiddetti fenomeni più grossi e di sopperire ai bisogni quotidiani borghesi, il materiale già da tempo fornito dall’economia scientifica: ma per il resto si limita a sistemare, rendere pedanti e proclamare come verità eterne le banali e compiaciute idee degli agenti di produzione borghesi sul loro proprio mondo, come il migliore dei mondi possibili”, Cfr. Karl Marx, Il Capitale, vol.I, pag.113, Ed. Riuniti, V ed.   TORNA

3   Cfr. G.Amata, S. Notarrigo, Energia e ambiente, Ed. C.U.E.C.M., Catania, 1987   TORNA

4   A. Einstein, Come io vedo il mondo, Giachini ed., 1975.   TORNA

5   Si veda E. Terray, Il marxismo e le società primitive, Savelli ed., 1975.   TORNA

6   G.Peano, Sui fondamenti della geometria, in Rivista di matematica, Vol. IV, 1894, pp. 51 e segg., vedi anche: G.Peano, Opere scelte, a cura di U. Cassina, Ed. Cremonese, Roma, 1958, pag.142.   TORNA

7   K.  Marx, Il Capitale, Vol. 1, pag.1 e segg., Ed. Riuniti, V edizione   TORNA

8   K. Marx, op. cit., Voi. III, Editori Riuniti, 1989, pag. 926   TORNA

9   G. Amata, S. Notarrigo, Energia e ambienie, Una ridefinizione della teoria econo­mica, C.U.E.C.M, Catania, 1989.   TORNA

10 Vedi A. Nove, The Soviet Economy, PRAEGER UN. SERIES, New York, 1961.   TORNA

11 S. Carnot, Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur 1es machines propres a développer cette pussance, Bachelier - Libraire, 1824. Si ha accesso alla versione integrale del testo grazie ad una riedizione dell’opera eseguita dall’editore Jacques Gabay 25, rue du Dr Roux 92330 Sceaux - France.   TORNA

12 Vedi l’articolo di Notarrigo in questo stesso numero dei Quaderni di Mondotre.   TORNA

13 vedi S. Notarrigo, op. cit   TORNA