Sviluppo sostenibile ed economia fisica
Angelo Pagano
Il dibattito aperto sullo “sviluppo
sostenibile” ha oramai varcato i limiti della speculazione filosofica riservata
a pochi eletti ed è diventato un problema che investe tutta la società.1
Pensare di varcare la soglia del duemila
senza dare una risposta efficace a tanti problemi che la questione solleva non
sembra più possibile. Ma, per dare risposte sicure bisogna porre i termini
della problematica in modo chiaro e senza preconcetti.
Tuttavia, in funzione del particolare punto
di vista adottato o, se si vuole, in funzione del paradigma dominante di cui si
è consciamente o incosciamente paladini o ancora in funzione degli interessi
economici che si nascondono dietro questo o quel punto di vista, il problema
dello “sviluppo sostenibile” può assumere diverse valenze e non è raro il caso
in cui valutazioni scientifiche che apparentemente sembrano coincidere,
conducano, quando tradotte in interventi concreti, a diverse valutazioni
operative. Si pensi, per esempio, al tanto famoso quanto consunto problema
dell’“effetto serra” sul quale si sono scontrate, di recente, le più disparate
posizioni tenute da specialisti appartenenti in “principio” allo stesso credo
“scientifico” ma, in realtà, fortemente condizionati dal sistema economico al
quale restano fedeli e dal quale, in definitiva, ricevono onori e stipendio.
Ma, accade di consueto che le contraddizioni
sono utili perché contengono, sotto forma dialettica, delle verità. Tra queste
verità ne esiste una particolare: la ricerca di uno “sviluppo sostenibile”
passa attraverso una critica del sistema economico-produttivo dominante. In
altri termini, ciò che vent’anni addietro era un dogma intoccabile, la corsa
allo sviluppo quantitativo, il traguardo di un alto reddito procapite, oggi
sembra timidamente messo in discussione, benché i molti pappagalli del sistema
economico dominante ancora insistano sulla necessità dello sviluppo
quantitativo. Si osservi che, all’occorrenza, gli stessi pappagalli, per scopi
puramente propagandistici, si riempiono la bocca di attributi cari agli
ecologisti quali, ad esempio, “qualità della vita”, “ambiente pulito”, ecc.
Ma non occorre essere specialisti per capire
che il concetto di “sviluppo quantitativo” o, in termini economici, la crescita
del PIL (prodotto interno lordo) nasconde un baco. Nessun medico si
azzarderebbe a dichiarare “normale” un bambino in cui si sviluppa la gobba;
eppure, l’indicatore PCL (peso corporeo lordo, analogo al PIL) potrebbe
indicare dei valori medi del peso corporeo del tutto simili a quelli attribuiti
ad un bambino che si sviluppa normalmente. L’esperienza comune ci insegna che
qualunque sistema biologico, raggiunta la maturità, si stabilizza attorno ad un
valore del PCL caratteristico, tenuto conto delle condizioni ambientali. Questa
banale osservazione vale anche per un sistema economico che se oltrepassa
certi limiti quantitativi (fenomeno analogo all’obesità) rischia
l’autodistruzione per la comparsa di meccanismi necessari, interni al sistema
stesso.
La caduta dei vari imperi sia in epoca
passata che in epoca più recente deve essere ricercata prima di tutto nel
livello di sviluppo economico raggiunto e nei meccanismi di riproduzione.
Il sistema di produzione capitalistico non fa
eccezione e attualmente, come dai più riconosciuto, versa in una fase di grave
crisi. Come un mostro ferito si dimena a destra e a manca. Già altre crisi lo hanno
colpito in passato ma e riuscito a riciclarsi grazie all’avvento di due guerre
mondiali. Da qualche tempo questo sistema si è legato con catene a maglie
grosse alle radici stesse della vita sulla terra, se queste non verranno
spezzate l’intero pianeta sarà trasportato in un baratro profondo dal quale
nessuno sa come e quando uscire. Molte sono le indicazioni che lasciano
sospettare uno stato di avanzata vecchiaia del sistema economico oggi
prevalente (incluso un fenomeno di saturazione del PIL). Tuttavia, i fatti più
o meno gravi che oggi si potrebbero elencare con tragica abbondanza non sono
da soli sufficienti a convincere nessuno perché qualsiasi fatto, staccato da un
contesto generale, potrebbe avere una diversa interpretazione e dietro le interpretazioni
si nasconde molto spesso la confusione. Allora, bisogna ricorrere alla ragione
o se si vuole ad una teoria generale in grado di giustificare i fatti che
cadono sotto i nostri sensi.
Il problema della “minaccia ambientale” è
venuto alla ribalta drammaticamente da almeno trent’anni sia nei paesi
industrializzati che in quelli detti “in via di sviluppo”. Ad un depauperamento
delle risorse naturali, costituite in gran parte da patrimonio organico
(foreste, suolo fertile, combustibili fossili), si contrappone una
sovrabbondanza di “beni” di consumo in gran parte concentrati in regioni ad
alto reddito procapite. Beni un tempo considerati “scarsi” sono oggi
assolutamente sovrabbondanti, mentre quei beni che erano considerati
“abbondanti” (aria e acqua non inquinate, legname, olio combustibile, ecc.)
sono oggi diventati scarsi. Vi è un nesso estremamente chiaro tra questo
ribaltamento di valutazioni e la crisi mondiale del sistema economico
capitalistico che l’attuale modo di intendere l’economia non riesce a spiegare
all’interno della propria “dittatura” di pensiero.
Lo sfruttamento dell’energia (elettrica,
termica, nucleare,...) è causa di vaste trasformazioni. Le industrie sono un
esempio significativo di come, attraverso l’intermediario del lavoro umano,
enormi masse di materia vengono trasformate in merci destinate al consumo.
Il processo di produzione industriale di
merci di consumo implica due fenomeni distinti.
Nel primo fenomeno, che possiamo chiamare
fisico, si ha una trasformazione di materia da una qualche forma elementare in
un’altra forma composta. Per esempio, del legname viene trasformato in mobili,
dell’alluminio viene trasformato in infissi, dei composti metallici divengono
autovetture, ecc. Questo processo avviene attraverso l’uso di energia sotto
diverse forme. La natura ci offre diverse fonti di energia ed è compito della
tecnica scoprire i modi più idonei per il loro sfruttamento.
Lo sviluppo delle macchine termiche (motori a
combustione durante il XX secolo) ha condotto il grado di sfruttamento delle
risorse energetiche ad un livello che non ha avuto precedenti in tutta la
storia dell’uomo. È noto, ad esempio, come il livello di sfruttamento delle
miniere di carbone in Inghilterra sia dipeso dall’uso delle macchine termiche e
lo stesso dicasi per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e dei
giacimenti dei minerali. Dunque, lo sfruttamento delle risorse energetiche, dal
punto di vista del fenomeno fisico, è all’origine dell’enorme sviluppo
industriale sia dei paesi a “libero mercato” che di quelli a “socialismo
reale”.
Consideriamo adesso il fenomeno, che
chiameremo economico, della trasformazione di materia in prodotto per il
consumo, cioè in MERCE. In questo tipo di trasformazione, la sostanza primaria
da trasformare in merce (sia essa fornita gratuitamente dalla natura benigna o
acquistata sotto forma di merce) e da destinare al mercato dei consumatori,
non si presenta più sotto le spoglie materiali, aggregato di atomi, peso
corporeo. Infatti, in quanto merce, essa subisce un processo di valorizzazione
che l’economia volgare rappresenterebbe sotto forma di quanto denaro si ricava
rispetto a quello che si investe.2
Il processo di valorizzazione, nella sua
brutale crudezza, viene ricondotto al calcolo del rendimento economico
misurato dal rapporto , dove Dr rappresenta il denaro
ricavato, Di quello
investito ed η l’efficienza monetaria o profitto monetario.
Di fatto misurare i rendimenti economici in
termini di profitto monetario maschera la vera essenza del fenomeno economico
riducendolo ad un mero meccanismo di produzione di denaro. Supponiamo per un
istante di poter e saper misurare il valore delle merci, non più in termini
monetari, ma in termini fisici. Per esempio, si dica che per produrre una
vettura di media cilindrata si deve impiegare un certo contenuto di bioenergia
pari a quella prodotta da un albero in un anno. Allora si vedrebbe come la
produzione di milioni di vetture all’anno comporta, in termini di consumi di biomassa,
una vera catastrofe ecologica e si capirebbe immediatamente l’origine della
rapida scomparsa di molte foreste antiche anche milioni di anni, con
conseguenti fenomeni di sempre più frequenti alluvioni.
Un altro esempio può essere dato dalla
produzione di prodotti agricoli. In questo campo negli ultimi anni si e
assistito ad un vero e proprio miracolo quantitativo. La legge
dell’ottimizzazione del profitto monetario ha prodotto una crescita senza
precedenti nelle quantità prodotte. In alcuni settori, negli ultimi trentanni,
la produzione è stata mediamente duplicata. Tuttavia, se consideriamo la
quantità di risorse impiegate (fertilizzanti, anticrittogamici, insetticidi,
diserbanti, combustibili, energia elettrica, macchinario, forza lavoro, ecc.)
ci accorgiamo che queste, mediamente, sono aumentate, nello stesso periodo, di
un fattore 10. L’efficienza globale allora, definita in termini fisici, come
rapporto tra risorse ricavate e risorse impiegate, è fortemente calata in tutti
i paesi fortemente industrializzati. Ad esempio, in Sicilia si è passati da un
rapporto di 2,62 del 1950 ad un rapproto di 1,16 nel 19803. Da questo punto di vista, l’agricoltura
statunitense additata ad esempio di massima efficienza versa in una situazione
di assoluta schiavitù rispetto alle risorse energetiche impiegate. E si
potrebbe continuare, di questo passo, ridefinendo opportunamente i parametri
essenziali utili ad una economia integrata per scoprire inaspettate
inefficenze del sistema economico sul quale si dovrebbe invece poter
scommettere per un futuro migliore. Ma non ci sarà comprensione del futuro
senza comprensione del presente, per capire le perversioni del quale suggeriamo
di meditare sulle seguenti parole di Albert Eistein:4
“A mio avviso
l’attuale decadenza sociale dipende dal fatto che lo sviluppo dell’economia e della tecnica ha fortemente
esacerbato la lotta per l’esistenza e quindi la libera evoluzione degli
individui ha subito durissimi colpi... noi vogliamo sperare che gli storici
futuri presenteranno le manifestazioni patologiche del nostro tempo come
malattie infantili, di un’umanità dalle possenti aspirazioni, provocate dalla
corsa troppo rapida della civiltà.”
Malgrado da tempo valenti studiosi abbiano
intrapreso lo studio delle interconnessioni tra economia ed ambiente, allo
stato attuale non esiste ancora una teoria economico‑ambientale
integrata. Ne segue che molte delle speculazioni sul problema dello “sviluppo
sostenibile” appaiono come delle affermazioni staccate tra loro e spesso anche
in contrasto reciproco.
Per fondare una teoria integrata
dell’economia che abbia generalità sufficiente bisognerebbe prescindere da
qualunque meccanismo economico particolare e da qualunque modello
fenomenologico e procedere a stabilire dei ragionamenti generali o idee
applicabili non solo al sistema economico capitalistico, che oggi è il sistema
predominante, ma a qualunque sistema economico possibile e immaginabile, quale
che sia la sua particolare forma sociale (usi e costumi) e quale che sia il
particolare quadro legislativo che lo regoli.
Spogliando il sistema dalle apparenze e dalle
particolari forme sociali rimane l’elemento oggettivo ovvero il processo di
produzione e le sue connessioni con l’ambiente. L’attuale economia che tende a
spiegare il sistema economico come il risultato di non meglio identificate
leggi della domanda e dell’offerta è incapace di dare la benché minima
indicazione sul modo concreto di risolvere la questione ambientale.
Prescindere dalle apparenze e staccarsi dalle
forme particolari e contingenti significa astrarre dai contenuti empirici
quegli elementi universali sui quali fondare i ragionamenti astratti e
generali, i quali essendo generali sono facilmente applicabili ad ogni
situazione particolare. Del resto numerosi indizi ci suggeriscono di
percorrere questa via di ricerca, dalla quale i fenomem particolari spesso ci
allontanano.
Si prenda, per esempio, l’architettura come
esempio concreto di espressione sia scientifica che artistica. Sin dagli inizi
l’uomo ha costruito le case sempre con gli stessi elementi fondamentali,
malgrado le apparenze dei diversissimi stili che si potrebbero enumerare.
Troviamo le fondamenta senza le quali la costruzione sarebbe trascinata dalle
tempeste. Troviamo i tetti senza i quali la pioggia invaderebbe l’interno.
Troviamo gli ingressi senza i quali si dovrebbe violare l’impenetrabilità dei
corpi.
Anche l’economia, intesa come scienza
empirico-formale, deve essere fondata su dati elementari universali comuni a
tutte le situazioni economiche siano esse “progredite” o “primitive”.5
Si deve procedere secondo i principi,
descritti mirabilmente dal Peano, che nei precedenti numeri dei Quaderni di
Mondotre abbiamo assunto come unico criterio di analisi logico-deduttiva
universale,6:
“Si scrivano
tutte le proprietà che risultano dall’osservazione del mondo fisico. Si
scindano queste affermazioni in tante affermazioni semplici; e poi si esamini
quali di queste affermazioni sono già implicitamente contenute nelle rimanenti.
Procedendo avanti in questo
esame, finché sarà possibile, troveremo un gruppo di affermazioni esprimenti
verità irriducibili tra loro, e che costituiscono i postulati”.
Allo stesso modo con il quale Peano procede
nel campo della matematica ‑ fisica, Marx procede nel campo
dell’economia ‑ fisica. La sua analisi, che poggia sui due
elementi universali “merce” e “valore” è un esempio di rara potenza
intellettuale che bisognerebbe leggere quasi in silenzio religioso. Leggiamone
qualche stralcio:
“La ricchezza
delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si
presenta come una “immane raccolta di merci” e la merce singola si presenta come sua forma elementare. Perciò la
nostra indagine comincia con l’analisi della merce...
Una certa
merce, p.es. un quarter di grano, si scambia con X lucido da stivali, o con Y
seta, o con Z oro, ecc.: in breve, si scambia con altre merci in differentissime
proporzioni. Quindi il grano ha molteplici valori di scambio sostituibili l’un
con l’altro o di grandezza eguale tra loro...
Prendiamo poi
due merci: P. es. grano e ferro. Quale che sia il loro rapporto di scambio,
esso è rappresentabile in una equazione, nella quale una quantità di grano è
posta come eguale a una data quantità di ferro, p.es., un quarter di grano un
quintale di ferro. Che cosa dice questa equazione? Che in due cose differenti,
in un quarter di grano come pure in un quintale di ferro, esiste un qualcosa di
comune e della stessa grandezza. Dunque l’uno e l’altro sono uguali ad una terza cosa, che in sé e per sé non è né
l’uno né l’altro...
Questo
qualcosa di comune non può essere una qualità geometrica, fisica, chimica o
altra qualità naturale delle merci. Le loro prorietà corporee si considerano,
in genere, soltanto in quanto le rendono utilizzabili, cioè le rendono valori
d’uso. Ma d’altra parte è proprio tale astrarre dai loro valori d’uso che
caratterizza con evidenza il loro rapporto di scambio delle merci...
Come valori
d’uso le merci sono soprattutto di qualità differente, come valori di scambio
possono essere soltanto di quantità differente, cioè non contengono nemmeno un
atomo di valore d’uso.
Ma, se si
prescinde dal valore d’uso dei corpi delle merci, rimane loro soltanto una
qualità, quella di essere prodotti del lavoro...
Dunque, un
valore d’uso o bene ha valore soltanto perché in esso viene oggettivato, o
materializzato, lavoro astrattamente umano. E come misurare ora la grandezza
del suo valore? Mediante la quantità della “sostanza valorificante”, cioè del
lavoro, in esso contenuta. La quantità del lavoro a sua volta si misura con la
sua “durata temporale”...
Potrebbe
sembrare che, se il valore di una merce è determinato dalla quantità di lavoro
spesa durante la produzione di essa, quanto più pigro o quanto meno abile fosse
un uomo, tanto più di valore dovrebbe essere la sua merce, poiché egli avrebbe
bisogno di tanto più tempo per finirla. Però il lavoro che forma la sostanza
dei valori è lavoro umano eguale, dispendio della medesima forza-lavoro umana.
La forza-lavoro complessiva della società che si presenta nei valori del mondo
delle merci, vale qui come unica e identica forza-lavoro umana, benché consista
di innumerevoli forze-lavoro individuali.., e dunque abbisogna, nella
produzione di una merce, soltanto del tempo di lavoro necessario in media,
ossia socialmente necessario...
“come valori,
tutte le merci sono soltanto misure determinate di tempo di lavoro coagulato.”7
La definizione della misura della grandezza
di valore proposta da Marx è esattamente un esempio di quello che un fisico
chiamerebbe definizione operativa di una grandezza fisica ovvero di un ente
suscettibile di misurazione quantitativa. In altri termini sia a una merce scelta una volta per tutte
come campione e sia ta il Tempo
Socialmente Necessario per la sua produzione, allora detta b una qualunque altra merce si ha, con ovvio significato dei
simboli:
(valore di a) : (valore di b) = (ta
: tb)
che rappresenta l’espressione di omogeneità fondamentale del processo
di misura. Da questa espressione si vede come solo i rapporti di scambio delle
merci sono determinabili quantitativamente.
La scelta del Tempo Socialmente Necessario
per la misura del valore è in qualche misura arbitraria, nel senso che si
potrebbe scegliere, a convenienza, un qualunque altro parametro proporzionale.
Si manifesta, in questo caso, la stessa
arbitrarietà che si ha nel processo di misura di qualunque altra grandezza
fisica. Tuttavia la scelta operata da Marx è quanto mai opportuna proprio in
vista di una connessione diretta tra valore di una merce e risorse naturali in
essa trasferite tramite il processo di produzione. Infatti l’attività umana
viene gestita come strumento potente con il quale si realizza il depauperamento
delle risorse naturali, come ci dice chiaramente lo stesso Marx, che a buon
diritto deve essere annoverato tra i primi e più consapevoli ecologisti della
storia:
“La grande
industria e la grande agricoltura gestite industrialmente operano in comune.
Se esse originariamente si dividono per il fatto che la prima dilapida e rovina prevalentemente
forza-lavoro, e quindi la forza naturale dell’uomo, e la seconda la forza naturale
della terra, più tardi esse si danno la mano, in quanto il sistema industriale
nella campagna succhia l’energia anche degli operai, e l’industria e il
commercio, dal canto loro, procurano all’agricoltura i mezzi per depauperare la
terra”8.
Nella nostra visione del processo di
produzione ci atterremo a questa idea fondamentale: La grandezza del valore di
una merce, che denoteremo con il simbolo ΔS, in quanto cristallizazione di
lavoro umano, è direttamente misurabile dal contenuto di bio-energia fornita
dal lavoratore il quale deve reintegrare la sua forza produttiva a spese di
energia libera a sua volta sottratta all’ambiente sotto diverse forme.
Avendo individuato gli elementi su cui
fondare l’economia fisica si può lasciare il mondo della comune esperienza e
procedere attraverso gli strumenti della logica deduttiva esattamente allo
stesso modo di come si fa in qualunque altra scienza empirico-formale. Si
otterranno in questo modo delle proposizioni universali e generali che
permetteranno di giustificare, attraverso opportune analisi quantitative,
l’evoluzione temporale di un qualunque sistema economico una volte stabilite le
condizioni di partenza del sistema stesso.
Di fatto, quest’analisi formale è stata
sviluppata a suo tempo da S. Notarrigo ed in questo contributo mi limiterò ad
utilizzare liberamente alcuni di quei risultati, lasciando al lettore
interessato il piacere della lettura diretta dei lavori originali.9
Qualunque sistema economico deve essere in
grado, in primo luogo, di garantire la riproduzione delle condizioni materiali
di sussistenza del sistema stesso. Intanto osserviamo che per produrre certe
quantità di beni, ad es. ql tonnellate di grano, q2 quintali di ferro, q3 kilometri di cavo elettrico,
ecc., bisogna utilizzare necessariamente certe quantità di grano (sementi,
pane degli agricoltori, ecc.), certe quantità di ferro (falci, martelli, ecc.),
certe quantità di cavo elettrico (trasporto di elettricità, ecc.), ecc.,
dunque la macchina economica deve essere in grado di reimpiegare le quantità
prodotte (output) attraverso un sistema di riproduzione per ricrearle in un
ciclo successivo.
Indicando con ψout
l’insieme di tutte le quantità prodotte in un ciclo, ordinate per esempio
secondo il vettore riga (ql, q2, q3,…, qn), con ψin l’insieme di tutte le merci
utilizzate nella produzione, deve necessariamente valere l’uguaglianza:
ψout - ψin = δ
ψ = r (t) ψin
dove r(t) rappresenta
l’incremento percentuale del prodotto in un ciclo produttivo. Scegliendo la
durata di un ciclo economico pari ad un tempo δt sufficientemente
piccolo, rispetto ad un tempo globale di evoluzione del sistema (ad esempio un
anno rispetto ad un secolo), ma grande in modo da poter mediare opportunamente
su eventuali oscillazioni produttive dovute a cause esterne al sistema ma che
su di esso hanno effetto come perturbazioni “casuali” (per esempio, un
cambiamnto momentaneo del clima, un possibile guasto alle centrali elettriche,
ecc.), è conveniente riscrivere l’uguaglianza nella forma:
δ ψ = R (t)
δ t ψ ,
dove si è indicato con l’incremento per unità di tempo (in pratica l’incremento annuo).
L’ultima espressione ha la forma di un’equazione differenziale ben nota. In
altre parole, il vettore delle quantità al variare del tempo t deve mostrare un andamento dato
dall’espressione:
dove si è indicato con ψ0 il vettore delle quantità ad un determinato
momento considerato come iniziale. Per un incremento annuo costante R(t) =
R0 si otterrebbe un andamento esponenziale sia per le
quantità che per l’ammontare complessivo del valore di tutte le merci presenti
sul mercato secondo l’espressione:
Ovviamente l’andamento del sistema (che per
il momento è rappresentato simbolicamente dal vettore ψ dipende
drasticamente dal valore di R0.
Solo per valori positivi di R0 il
sistema può espandersi e si ottiene un regime di “riproduzione allargata”,
mentre per valori non positivi il sistema tende al collasso in tempi più o meno
lunghi.
Notarrigo analizza in dettaglio le condizioni
fisiche caratteristiche della riproduzione del sistema economico collegando i
possibili valori di R0 con
i coefficienti tecnologici di produzione presenti in quel momento, che in
ultima analisi condizionano la produzione delle merci.
La condizione di riproduzione economica viene
descritta da un operatore lineare P a
dimensione finita, cioè una matrice n
x n, che opera sul vettore delle merci per
produrre un altro vettore merci, generando un ciclo riproduttivo:
(1) P
ψ = z ψ ,
ove si pone , essendo T il periodo di tempo scelto per rappresentare
un ciclo riproduttivo completo.
L’ultima equazione per ψ è, dal
punto di vista della matematica, una equazione, detta agli autovalori, che in
generale ammette soluzioni solo sotto la condizione che det (P — zI) = 0 essendo I la matrice unità. Le
incognite di quest’ultima relazione sono proprio quei valori di z che, in definitiva, determinano in
modo necessario lo sviluppo economico.
Per una data matrice P, in generale, si avranno al massimo n autovalori distinti zi
, con i = 1,…,n
che sostituiti nell’eq. (1) permettono di ricavare gli n autovettori ψi , (i = i,…,n).
In generale, per un sistema complesso, quale
ad esempio un sistema economico sufficientemente vasto, trovare gli autovalori
e i corrispondenti autovettori può risultare estremamente difficile anche
utilizzando i più potenti calcolatori in nostro possesso.
Senza entrare nel dettaglio della questione,
per la quale rimandiamo alle analisi di Notarrigo, si può far vedere che sotto
opportune condizioni sui coefficienti produttivi della matrice di produzione P esiste sempre ed è unica la soluzione
economicamente rilevante della eq. (1) e si possono avere tre casi distinti:
a) z <
1 il sistema economico è detto a riproduzione allargata, detto ψ0 l’autovettore corrispondente, il sistema
economico si espanderà nel tempo secondo l’eq. (1);
b) z = 1 il sistema economico è detto a
riproduzione semplice. Il sistema è capace di riprodurre ad ogni ciclo solo le
quantità in input. Necessariamente il sistema risulta economicamente instabile
per mancanza di scorte (alimentari, tecnologiche, ecc.). Una qualunque
pertubazione sarà avvertita in modo critico.
c) z > 1 il sistema economico non è in grado di riprodursi nel tempo, la
produzione tenderà verso valori via via decrescenti e le condizioni materiali
della sopravvivenza vengono compromesse.
Le condizioni materiali dello sviluppo
economico sono dunque determinate unicamente dai coefficienti tecnologici
della matrice di produzione che tuttavia possono variare nel tempo
determinando, in molti casi, il passaggio, in tempi più o meno lunghi rispetto
alla vita media di un individuo, il passaggio da un regime economico ad un
altro.
È banale a questo punto osservare,
che solamente in fase di riproduzione allargata si possono creare le condizioni
adatte per la formazione di classi sociali che non siano direttamente
produttive o anche di classi addirittura completamente parassitarie. Ne segue
che né un sistema economico fondato sullo sfruttamento del lavoro
“schiavistico”, ne un sistema economico basato sullo sfruttamento di lavoro
“salariato” possono sopravvivere in condizioni di riproduzione semplice.
Ovviamente sotto le condizioni della
riproduzione allargata il sistema economico può concretizzarsi sotto diverse
forme particolari (di cui il capitalismo è una possibile forma, ma non
l’unica!).
Infatti, trovate le condizioni ottimali per
la produzione del sovrappiù di prodotto, resta ancora, naturalmente, un’ampia
libertà di scelta per le condizioni materiali del suo impiego.
Il sovrappiù può essere completamente
utilizzato sotto la forma del consumo interamente produttivo, cioè reinvestito
totalmente nel ciclo riproduttivo. Le quantità prodotte aumentano allora
continuamente ed il fenomeno è simile al comportamento di un’altalena
sollecitata da una forza impulsiva avente frequenza uguale alla frequenza
propria di oscillazione dell’altalena (autovalore).
Oppure, tale sovrappiù, potrebbe essere
consumato tutto improduttivamente. In questo caso il valore viene trasferito
in oggetti visibili, quali ad esempio, cattedrali e templi maestosi, oppure
ospedali e scuole gratuite, ecc.
Ancora, il di più può in parte essere
impiegato produttivamente ed in parte improduttivamente.
In generale la quota da assegnare al consumo
improduttivo dipende da scelte esterne al sistema economico. Un sistema
economico che tendenzialmente si muove verso le condizioni del massimo impiego
del sovrappiù in favore di consumo produttivo assume una forma sociale
caratteristica e lo chiameremo semplicemente sistema “capitalistico”.
È utile notare che, sotto condizioni di
sviluppo capitalistico, l’ammontare dei consumi energetici, che è sempre
proporzionale alle quantità di merce prodotta deve presentare un comportamento
di crescita esponenziale.
L’analisi dei consumi energetici a livello mondiale
conferma una crescita esponenziale dei consumi in tutti i paesi idustrializzati
praticamente dagli inizi del secolo fino a circa il 1980 con un raddoppio dei
consumi energetici circa ogni otto anni. A seconda delle nazioni, il dato può
leggermente variare ma nella sostanza rimane confermato in tutti i paesi a
riproduzione allargata e alto investimento riproduttivo.
Impressionante, a dir poco, è stata la
crescita del sistema sovietico nel periodo che va dal 1930 al 1960, malgrado
l’avvento della seconda guerra mondiale.10
All’interno di uno schema di pensiero di economia “liberista” questo
fatto è rimasto un mistero e di fatto come tale viene presentato ancora oggi.
Infatti, una volta deciso che lo sviluppo economico dell’unione sovietica era
da accettare come fatto empirico “tout court”, come una di quelle stranezze
storiche di cui ogni tanto ci delizia il “caso”, è sembrato ancora più
paradossale che nel giro di qualche anno quel sistema si sia frantumato.
All’interno dello schema teorico sopra
delineato i misteri scompaiono e rimangono solo le certezze logiche che anche
nel caso dell’URSS ci indicano dei criteri sicuri per interpretare non solo la
rapida crescita economica di quel sistema ma anche la sua rovinosa caduta.
Una macchina economica di tipo capitalistico
si comporta, per quanto detto, come un amplificatore di quantità a “feedback”
positivo e cioè tale da riciclare completamente l’output prodotto
amplificandolo enormemente.
Ad ogni ciclo il vettore delle quantità ψ
viene amplificato in modo che tutti i rapporti tra le varie quantità rimangono
pressappoco identici. Ovvero il sistema permane in un autostato e si osserva un
fenomeno di risonanza gigante nei valori assoluti delle quantità.
In queste condizioni l’ammontare complessivo
del prodotto lordo deve essere uguale all’ammontare complessivo di valore
prodotto, e dunque, all’ammontare complessivo di lavoro umano impiegato.
Inoltre, assegnando convenientemente un numerano o merce moneta si potrà
assimilare il sovrappiù con il DENARO ricavato alla fine del ciclo di
produzione e la macchina economica risulta simile, come vedremo in seguito, ad
una macchina termica.
Ma, per il momento, analizziamo ancora, con
l’aiuto di un poco di matematica, alcune proprietà della quantità R(t), il cui andamento in
funzione del tempo influenza in modo determinante le possibili involuzioni di
un sistema a riproduzione allargata.
In primo luogo, è chiaro che in situazioni di
produzione allargata, ed a maggior ragione sotto condizioni a prevalenza
capitalistiche, al crescere del sovrappiù aumenta l’investimento produttivo.
In secondo luogo, all’aumentare
dell’investimento produttivo aumenta la quantità di energia consumata ogni anno
dal sistema economico. Ma, sotto opportune condizioni di equilibrio
termodinamico del sistema biofisico terrestre, i consumi complessivi sono
proporzionali alle variazioni di energia libera sottratte all’ambiente esterno.
In ultima analisi, il sovrappiù annualmente
prodotto dall’intera società risulta proporzionale alla variazione di energia
libera per cui si può porre:
dove K indica una costante
universale dimensionale ed E indica
l’energia libera funzione a sua volta del tempo.
In fase di espansione quantitativa (crescita
esponenziale) per la funzione f (E) si
deve avere: f(E) » kE. In
queste condizioni, la crescita economica sembra procedere senza limiti ed è
tale da far dimenticare ogni problema relativo all’ecologia perché
semplicemente seppellito dai “successi consumistici” del sistema alimentati
dalla legge del profitto. I problemi dell’inquinamento appaiono come
insignificanti storture, e di fatto ancora oggi continuano ad essere teorizzati
come tali dai mass-media, supponendo che, all’occorrenza, potrebbero anche
essere corretti da un uso “intelligente” di nuove tecnologie: si genera il mito
dello sviluppo quantitativo.
Per capire per quale motivo questo mito deve
essere abbandonato e perché occorre con urgenza porre un freno allo sviluppo quantitativo
ci serviremo dell’analogia tra funzionamento del sistema economico
capitalistico e funzionamento di una macchina termica o motore a combustione.
Questa analogia ci permetterà di utilizzare
termini noti a tutti e di tirare tuttavia delle considerazioni generali e
dunque applicabili ad un qualunque sistema economico a riproduzione allargata
ed in particolare al sistema capitalistico.
A tutti è capitato di vedere sollevarsi il
coperchio della pentola dell’acqua in ebollizione a causa del vapore che ivi si
sprigiona. Un motore a vapore si può schematizzare con un forno dove avviene la
combustione di qualche elemento (legno, carbone,...), di una caldaia dove il
vapore viene portato ad alta pressione, di un cilindro dove il vapore spinge un
pistone e di un condensatore dove il vapore ritorna allo stato liquido (acqua)
per ritornare nella caldaia.
La produzione del movimento nelle macchine a
vapore è accompagnato da un fatto al quale bisogna prestare attenzione. Il
fatto consiste nel passaggio di energia termica (calore) da un corpo dove la
temperatura è alta (serbatoio caldo), l’aria del forno, ad un altro dove essa è
notevolmente più bassa (serbatoio freddo), l’acqua fredda del condensatore.
Infatti il calore, sviluppato nel forno per effetto della combustione,
attraversa le pareti della caldaia dove prepara il vapore ad alta temperatura
e ad alta pressione. Il vapore, ricco di contenuto energetico, invade un
cilindro e produce un movimento di una qualunque parte mobile (turbina, pistone
ecc.), infine il vapore che ha perso la gran parte della sua spinta propulsiva
passa nel condensatore dove si liquefà al contatto con l’acqua che incontra.
Ricordando che al momento dell’evaporazione l’acqua assorbe calore e al momento
della condensazione cede calore vediamo che l’acqua fredda del condensatore si
impossessa di calore sviluppato nella combustione.
In modo perfettamente analogo la macchina
economica, che andremo delineando, ha bisogno, in primo luogo, di un MERCATO dove
essa assorbe una quantità di danaro ΔD1. L’assorbimento
avviene grazie allo scambio di merce che ha una certa quantità di valore ΔS. In modo del tutto analogo al concetto
di temperatura assoluta della termodinamica, e sostituendo al concetto di
calore quello di denaro e al concetto di entropia quello di valore della merce,
si misura la produttività T del
mercato con il rapporto .
Quindi la produttività misura il rapporto tra
grandezza di denaro assorbito dalla macchina economica e la grandezza di
valore delle merci immerse nel mercato.
In secondo luogo, la macchina economica ha
bisogno di un MERCATO del LAVORO in cui una quantità di denaro ΔD2 viene
scambiata con una data quantità di forza lavoro, che analogamente al processo
di raffreddamento che avviene nel serbatoio, cede una quantità di valore ΔS ′, che la
macchina utilizzerà per la produzione delle merci.
Analogamete si misura la produttività del
mercato della forza lavoro dal rapporto: .
Analizziamo in dettaglio le uguaglianze
introdotte. La forza lavoro viene impiegata produttivamente per valorizzare le
merci da trasferire sul mercato. Ovvero, è la forza lavoro che rende possibile
che la merce scambiata abbia quel valore ΔS. Dunque è necessario che si abbia
ΔS ′ ³ ΔS .
Inoltre, affinché il ciclo economico possa
essere efficiente, dal punto di vista del rendimento monetario, si deve
necessariamente avere ΔD2
£ ΔD1. Ovvero il denaro investito sul mercato del lavoro deve essere
inferiore a quello ricavato sul mercato delle merci.
Da queste considerazioni segue banalmente che
la produttività sul mercato del lavoro deve essere sempre più bassa di quella
presente sul mercato delle merci: T2 £ T1 , come
del resto avviene nelle macchine termiche in cui la temperatura della sorgente
fornitrice di calore deve essere notevolmente più alta di quella necessaria per
il raffredameto del liquido impiegato.
Ed ecco un primo basilare concetto di
macroeconomia capitalistica: il sistema produttivo implica necessariamente la
presenza di due mercati, un mercato del consumo ad alta produttività ed un
mercato del lavoro a produttività molto più bassa.
A parità di condizioni, il percorso del
denaro segue il cammino a produttività minore (analogamente al percorso del
calore), o in altri termini gli investimenti di denaro destinati al mercato del
lavoro si riversano verso quei mercati in cui la produttivià garantisce il
massimo dei profitti monetari.
Questa circostanza è ampiamente verificata
nella fase avanzata di sviluppo industriale nella quale gran parte delle merci
viene manifatturata in paesi del terzo mondo per essere consumata nei paesi
ricchi.
Vediamo più da vicino il processo.
Nel processo di acquisizione di forza lavoro
la macchina economica preleva una quantità ΔS ′ di valore sotto forma di energia libera
del lavoratore (cervello, muscoli, ecc.) e la consuma produttivamente
trasferendo il valore alle merci. Alla fine del processo produttivo la forza
lavoro ha esaurito le sue potenzialità biologiche e dunque è costretta ad
uscire dalla fase di valorizzazione per affacciarsi al mercato del consumo. La
sua produttività diventa uguale a quella del mercato delle merci: il lavoratore
diventa consumatore!
Le merci ricche di valore invadono il mercato
e vi attirano denaro fino a che tutto il valore prodotto viene interamente
scambiato. La forza lavoro che aveva perso gran parte della sua spinta
propulsiva consuma improduttivamente il denaro ricevuto (salario) e ritorna a
reintegrare le sue capacità produttive.
Alla fine del ciclo economico il sistema avrà
realizzato un flusso reale netto di capitale produttivo, L (ovvero reinvestibile interamente) dato dalla differenza dei
flussi monetari reali:
(2) L
= D1 - D2.
In effetti l’eq. (2) è vera solo se si trascurano
le “perdite” di denaro che avvengono nella pratica attraverso tutto il percorso
che indirizza il valore lungo il percorso di mercato e tutti i fenomeni
inflazionistici dovuti alle componenti parassitarie e speculative (incluse le
tangenti, le mediazioni bancarie, ecc.)
Più realisticamente si dovrebbe scrivere:
L = D1 - D2 - e
.
È noto come il maggiore sforzo dei governi
sia indirizzato verso misure adatte a rendere i processi inflazionistici quanto
più piccoli possibili. Per rendere conto di questi effetti è tecnicamente
vantaggioso distinguere tra flusso reale di capitale produttivo, ΔL, flusso inflattivo di capitale
produttivo, ΔH e flusso nominale di capitale produttivo, ΔM. I tre concetti vengono perfettamente
distinti se si introduce in modo opportuno il sistema dei prezzi. Senza
entrare nei dettagli della questione, la relazione formale che deve esistere
tra le tre quantità deve essere sempre data da: ΔH = ΔL + ΔM .
Ricordando che in generale l’efficienza
monetaria del sistema produttivo viene misurata in termini del rendimento, η, si ottiene:
.
Un rapido sguardo a quest’ultima equazione
suggerisce che l’efficienza diviene massima quando i due rapporti e
vengono resi i più piccoli
possibili. Per stabilire idee generali è teoricamente vantaggioso riferirsi al
caso “ideale” in cui le inflazioni siano nulle (ΔM = O). Questo presuppone che non vi
siano scambi di denaro con sistemi diversi dal mercato dei consumi e dal
mercato della forza lavoro (il sistema bancario può essere mantenuto se
l’ammonatare delle scorte si trova ad un livello sufficientemente alto).
L’analogo termodinamico si ottiene supponendo
che non vi siano perdite di calore negli ingranaggi del macchinario (le pareti
devono essere isolate e gli attriti devono essere nulli).
In queste condizioni “ideali”, la
termodinamica ci indica un limite massimo per la produzione di lavoro che può
essere ottenuto da qualunque macchina termica che lavori in condizioni di
reversibilità. Questo limite è stato ottenuto da Sadi Carnot nel 1824 ed è la
base del secondo principio della termodinamica.11
Siano T2 e T1, le temperature assolute del condensatore
(sorgente fredda) e del forno (sorgente calda), rispettivamente, supposte
costanti durante il ciclo, allora, qualunque macchina termica “ideale” che
funzioni scambiando calore con le due sorgenti deve avere un rendimento non superiore
al valore dato dalla relazione:
(3) .
Quest’ultima relazione può essere data a
fondamento del secondo principio della termodinamica. Generalmente, nei libri
di termodinamica, si aggiunge un terzo principio, detto dell’irraggiungibilità
dello zero assoluto, T2 = 0, che impedisce di avere un
redimento pari all’unità. Nel caso del processo economico produttivo di valore
un tale principio risulta assolutamente inutile, come vedremo in seguito.
Ricordiamo semplicemente che il risultato del
Carnot si ottiene utilizzando come sistema termodinamico un gas ideale, ovvero
un gas che nei suoi stati di equilibrio sia descritto da un’equazione di stato
che lega la pressione, P,
il volume, V,
e la temperatura, T, per il tramite della relazione: PV = nRT, dove n è il numero molare ed R una
costante. Il gas viene compresso e rarefatto ciclicamente attraverso un cammino
reversibile chiuso dalla sequenza di trasformazioni: ISOTERMA (temperatura T1,
costante) ‑ ADIABATICA (scambio di calore nullo) - ISOTERMA
(temperatura T2 costante) - ADIABATICA
Il ciclo termico di Carnot si basa
sull’ipotesi forte di reversibilità termodinamica. Senza entrare nel dettaglio
del concetto di irreversibilità,12 qui
ci basta solo sapere che la reversibilità significa in sostanza che, nel ciclo
sopra descritto non deve restare nessuna traccia del processo né nell’ambiente
che ha reagito con il gas (serbatoio di calore), né nel gas impiegato.
Conclusosi il ciclo tutto ritorna come se nulla fosse successo! Ovviamente
questa ipotesi e sostenibile teoricamente solo invocando sorgenti di calore,
praticamente infinite, tuttavia questo risultato ha permesso di risolvere una
quantità di problemi pratici che hanno condotto, nel tempo, ad un notevole
sviluppo del motore.
Osserviamo che anche in quel caso la
negaentropia sottratta al serbatoio freddo (leggasi ordine molecolare) deve
uguagliare quella trasferita al serbatoio caldo in condizioni di reversibilltà.
Ma l’esperienza più comune ci dice che il funzionamento di una macchina termica
“reale” implica una sorgente di irreversibilità per l’ambiente. Nel caso della
macchina a vapore, ad esempio, il mantenimento della temperatura costante nella
sorgente calda è garantito dal consumo di carbone o altro combustile che deve
essere sottratto all’ambiente naturale. Al posto del combustibile la macchina
termica ci riconsegna una uguale massa di materia sotto forma di scarico
(leggasi inquinamento). Anche il serbatoio caldo, essendo di grandezza finita,
dopo breve tempo, si riscalderebbe per il fatto di avere assorbito calore.
L’efficienza decrescerebbe nel tempo. Allora, per garantire la costante
temperatura del serbatoio freddo, bisogna sostituire il refrigerante con altro
refrigerante sottratto all’ambiente (leggasi inquinamento).
Per il rendimento monetario di un ciclo
produttivo vale esattamente il risultato espresso dall’eq. 3, dopo l’ovvia
trasformazione semantica dei termini, il ciclo economico è l’analogo del ciclo
di Carnot, in economia lo chiameremo ciclo ideale economico di Marx 13.
Il ciclo, considerato “astrattamente”, si
sviluppa secondo quattro fasi. Nella prima fase viene acquisita una certa
quantità di forza lavoro prelevata dal mercato a produttività T2 in cambio
della quantità di denaro ΔD2. Nella seconda fase, acquisita la forza lavoro, questa viene
consumata produttivamente nel ciclo di produzione per creare il valore ΔS, sotto forma di merci. Nella terza fase,
il valore viene scambiato interemente sul mercato del consumo a produttività T1 con la
quantità di denaro ΔD1. Infine, la forza lavoro reintegra le sue potenzialità consumando
merce prelevata sul mercato.
Il ciclo economico ideale implica dunque un
trasferimento, dal mercato della forza lavoro verso il mercato del consumo, di
certe quantità di valore che necessariamente devono essere prelevate
dall’esterno del ciclo stesso in modo perfettamente analogo a quanto avviene
nel processo di combustione delle macchine termiche. Questo valore che la forza
lavoro cristallizza nelle merci non può essere una sostanza corporea, come
abbiamo avuto modo di ribadire precedentemente.
Non resta che identificare il valore con la
negaentropia sottratta all’ambiente sotto la forma di “bene biologico” che,
nella sua ultima essenza, viene fornita dal processo di trasformazione
dell’energia solare in biomassa.
Il limite dello sfruttamento economico è
dunque legato ad un bilancio delicato tra quantità di inquinamento prodotto dal
consumo delle merci (utili o inutili che siano) e la quantità di biomassa
necessaria per il “riciclaggio” dell’ecosistema. Ma, tale recupero di risorse
può avvenire solo entro ben determinati limiti biologici e su una scala di
tempo dell’ordine dei millenni.
È da questo punto che si deve partire per la
costruzione di una teoria economica integrata la quale metta al primo posto non
più il concetto di “profitto monetario” ma quello di ottimizzazione dello
sfruttamento delle risorse ancora esistenti sulla terra.
Le cose nella “realtà” vanno ancora peggio di
come si potrebbe sospettare da un’analisi del ciclo ideale proposto. Infatti,
mentre Marx da quel grande genio che era, astraeva dalle peculiarità presenti
nella natura umana, queste ultime emergono in modo preponderante in una fase di
espansione non controllata dei consumi sotto la forma di quelle che Marx
chiamava le “furie dell’interesse privato”, come, del resto, l’esperienza più
elementare ci suggerisce e come il sistema delle “tangenti” conferma
ampiamente.
Ed ecco comparire tutta una schiera di
approfittatori, iene e sanguisughe che provvedono, obbedendo alla cieca legge
del “profitto”, a trasformare, anche grazie alla pubblicità, degli individui
pensanti in cieche macchine consumistiche. La quantità di merce inutile cresce
a dismisura assieme alla cattiva qualità dei prodotti. Tutto ciò che serve al
“profitto monetario” viene venduto, anche i veleni. Se qualcosa, anche se è
costata duro lavoro umano, non è funzionale alla legge del profitto viene
distrutta (vedi la macera degli agrumi) e alla fine tutto si riduce in una
massa enorme di rifiuti urbani ed extraurbani.
Alla fine ciò che resta del consumo non è
altro che cenere priva di ogni contenuto vitale, (qualche traccia ancora presente
potrebbe all’occorrenza essere riassorbita da un sistema di “riciclaggio” di
scorie) e tale cenere si presenta sotto la forma di sporcizia di ogni genere
che deve necessariamente essere dispersa nell’ambiente (leggasi inquinamento).
Il processo economico di produzione
capitalistica appare allora come un’enorme pompa di plusvalore che estratto
gratuitamente dall’ambiente sotto forma pregiata viene in esso reinserito
sotto la forma di immondizia. E la terra si trasforma, a poco a poco, in un
enorme pattumiera. Fino a che le basi riproduttive del sistema biologico sono
in grado di reintegrare, grazie all’azione incessante del sole, dell’acqua
pura, dell’aria e della terra, questo deficit negaentropico, il sistema si
sviluppa ma, dal momento in cui il bilancio sarà negativo (desertificazione,
scomparsa della fauna e della flora, comparsa di malattie nuove, disastri
ambientali di ogni genere) gli stessi coefficienti produttivi che garantivano
fino a quel momento l’espansione esponenziale si rivoltano contro il sistema. I
rendimenti fisici (rapporti tra ouptput di valore prodotto ed input di valore
impiegato) decrescono e inizia un generale impoverimento delle masse
produttive e della società. Compaiono i terzi, i quarti, i quinti mondi. Le
città si riempiono di poveri e di quartieri malfamati. La disoccupazione
aumenta incessantemente e nasce spontanea la perversione dell’idea dello stato
forte. Le classi più forti, nella vana illusione di salvare se stesse, affamano
sempre più i poveri privandoli anche del necessario. E l’essere umano viene
visto solo sotto forma di merce di scambio, lo si ammazza per sottragli il
sangue, il cuore, il fegato.
Ma, questo non è un mondo che deve venire,
perché è il mondo che viviamo già.
C’è una via di uscita da questo inesorabile
processo?
L’unica possibilità sembra quella di abolire
la legge del profitto che viene chiamata “liberismo”.
Tuttavia una programmazione economica non è
possibile in una società complessa come la nostra, come dimostra il fallimento
delle società dette del comunismo reale”.
Forse l’unica via di scampo potrebbe essere
una considerevole riduzione della base economica della programmazione simile
alle antiche città stato.
Tale proposta non si deve confondere tuttavia
con la varie proposte di “federalismi”, che oggi vengono avanzate e che hanno a
che fare solo con l’organizzazione politica e non con quella economica, la
quale ultima, come Marx insegnava, decide dell’organizzazione politica; infatti
non si può attaccare il carro davanti ai buoi!
NOTE
1 Vedi ad es. Il
futuro di noi tutti, Rapp. Comm. Mondiale per l’ambiente e lo sviluppo,
Bombiani, 1988. TORNA
2 Useremo il termine di economista “volgare” nel
senso indicato da Marx: “Osservo una
volta per tutte che per economia politica classica io intendo
tutti gli studi economici, da W. Petty in poi, i quali hanno indagato il nesso
interno dei rapporti borghesi di produzione, in contrasto con l’economia
volgare; quest’ultima si aggira soltanto entro il nesso apparente, e torna
sempre a rimuginare di nuovo, allo scopo di rendere comprensibili in maniera
plausibile i cosiddetti fenomeni più grossi e di sopperire ai bisogni
quotidiani borghesi, il materiale già da tempo fornito dall’economia
scientifica: ma per il resto si limita a sistemare, rendere pedanti e
proclamare come verità eterne le banali e compiaciute idee degli agenti di
produzione borghesi sul loro proprio mondo, come il migliore dei mondi
possibili”, Cfr. Karl Marx, Il Capitale,
vol.I, pag.113, Ed. Riuniti, V ed. TORNA
3 Cfr. G.Amata, S. Notarrigo, Energia e ambiente, Ed. C.U.E.C.M.,
Catania, 1987 TORNA
4 A. Einstein, Come io vedo il mondo, Giachini ed., 1975. TORNA
5 Si veda E. Terray, Il marxismo e le società primitive, Savelli ed., 1975. TORNA
6 G.Peano, Sui
fondamenti della geometria, in Rivista di matematica, Vol. IV,
1894, pp. 51 e segg., vedi anche: G.Peano, Opere scelte, a cura di U. Cassina, Ed. Cremonese, Roma, 1958,
pag.142. TORNA
7 K.
Marx, Il Capitale, Vol. 1,
pag.1 e segg., Ed. Riuniti, V edizione TORNA
8 K. Marx, op. cit., Voi. III, Editori Riuniti, 1989,
pag. 926 TORNA
9 G. Amata, S. Notarrigo, Energia e ambienie, Una ridefinizione della teoria
economica, C.U.E.C.M, Catania, 1989. TORNA
10 Vedi A. Nove, The
Soviet Economy, PRAEGER UN. SERIES, New York, 1961. TORNA
11 S. Carnot, Réflexions sur la puissance motrice du feu
et sur 1es machines propres a développer cette pussance, Bachelier -
Libraire, 1824. Si
ha accesso alla versione integrale del testo grazie ad una riedizione
dell’opera eseguita dall’editore Jacques Gabay 25, rue du Dr Roux
92330 Sceaux - France. TORNA
12 Vedi l’articolo di Notarrigo in questo stesso
numero dei Quaderni di Mondotre. TORNA
13 vedi S. Notarrigo, op. cit TORNA